Gli anatemi contro l’autonomia della politica

di Vittoria Franco
Le parole sono grosse: razzismo, omicidio, rito macabro come ai tempi dell’aborto, mercimonio. Ma di che cosa stiamo parlando? E possibile fare una discussione seria quando si tratta di ricerca scientifica per la salute, per la vita, oppure si deve far ricorso soltanto a improperi e anatemi?

Da parte di esponenti della destra e delle gerarchie ecclesiastiche si registrano reazioni violente e irrazionali alle decisioni del Consiglio sulla competitività sul Settimo programma quadro. Sono reazioni poco giustificate visto che quelle decisioni non cambiano nulla per il nostro paese; si rendono infatti finanziabili con fondi europei progetti di ricerca già possibili anche nei paesi che hanno legislazioni più restrittive, come Italia e Germania. In Italia la legge 40 non vieta affatto ricerche su linee cellulari già esistenti e importate, mentre in Germania sono consentite ricerche su linee cellulari precedenti al 2001 (è questa, fra l’altro, la ragione dell’adesione della Germania al compromesso varato a Bruxelles).

Allora, perchè tanta violenza? Che cosa è davvero in gioco? Temo che ciò che più dà fastidio sia l’esercizio dell’autonomia della politica. In fondo, il lavorio di ricerca di una mediazione alta, che è stato fatto con successo in previsione dell’approvazione di una risoluzione di indirizzo al ministro Mussi, ha testimoniato che quando si disegna il quadro di autonomia responsabile della politica, è possibile creare lo spazio per la mediazione e per ragionevoli compromessi fra credenti e non credenti anche su questioni che chiamano in causa profonde convinzioni etiche e religiose. La mediazione è stata possibile perché ciascuna delle parti ha messo da parte il principio impolitico della non negoziabilità delle proprie convinzioni etiche e religiose.

Il compromesso, contenendo rinunce e conquiste, crea quella condizione in cui ciascuno dei decisori resta soddisfatto e insoddisfatto nello stesso tempo. Personalmente, ho molte ragioni di insoddisfazione, ma so anche che quello che è stato ottenuto ha fatto fare a tutti un duplice passo avanti. Ha posto una pietra importante nella ricostruzione di una dimensione laica della politica e ha dimostrato che etica, politica e scienza non sono in un contrasto irricomponibile, ma l’una può fecondare l’altra: l’etica richiamando la scienza alla responsabilità e al limite, la scienza indirizzando la ricerca verso soluzioni eticamente sostenibili, la politica cercando punti di equilibrio tra libertà di ricerca e attenzione per i valori condivisi, come quelli che riguardano il rispetto della vita.

Probabilmente, l’importante risultato che è stato reso noto nelle ultime settimane, come la produzione di cellule totipotenti non da embrioni è il prodotto anche di quella ricerca di equilibrio. Mi domando allora se la via migliore per arrivare a una ricerca genetica eticamente sostenibile sia il divieto assoluto o non invece proprio la prospettiva della responsabilità e, vorrei aggiungere, della solidarietà. E’ utile richiamare a questo proposito un filone etico così rilevante del ‘900 come l’etica del dono, secondo cui il vivente viene in aiuto del vivente e forme diverse di vita costituiscono una catena di solidarietà: da cellule embrionali esistenti alle possibilità di cura di terribili malattie degenenative.

Non è anche questa ricerca per la vita? La pervicacia con la quale da alcune parti si continua a insistere su veti e divieti diventa allora sempre più palesemente il tentativo di far passare per intransigenza etica una subalternità politica che mortifica il ruolo del legislatore.