Intervista a Carlo Flamigni: Sulla procreazione, con questo Governo, non c’è terreno fertile

di Paola Zanuttini
Carlo Flamigni, pioniere della fecondazione assistita, voce progressista quanto solitaria del Comitato nazionale di bioetica, professore di Ginecologia a Bologna, è anche un instancabile poligrafo. Abitualmente divulga per iscritto il suo sapere, riempendo i ritagli di tempo tra una pubblicazione e l’altra con sconfinamenti nel giallo, ma questa volta si è prodotto in una summa storico antropologico scientifica su Il controllo della fertilità che più di ogni tomo precendente promette di unificare teoria e prassi.

Perché il suo manualone Utet di mille pagine è inevitabilmente una forma di contraccezione secondaria: anche i lettori forti e veloci dovranno dedicargli innumerevoli serate, sacrificandogli altre attività notturne. Nel libro c’è una linea guida: fin dalla notte dei tempi, separare il piacere dalla riproduzione è stata una delle prime attività alla quale il cervello in evoluzione dell’umanità ha cominciato ad applicarsi. Quindi desiderio, piacere, contraccezione, pillola abortiva, ma anche fecondazione assistita, dissidi bioetici e quant altro non risultano essere gli spasmi di una modernità sazia e disperata.
Sono convinto,dice il professore, «che il momento più importante nel processo di umanizzazione della nostra specie si è avuto quando uno dei due esemplari intenti a riprodursi more quadrupedum ha detto all’ altro: “Perché non ti giri?’. Hanno cominciato così a guardarsi in faccia, a trasformare la ricerca di un figlio in amore, dialogo, rispetto reciproco».

Millenni dopo quell’invito, in Italia si resiste ancora per non cambiare posizione sui temi legati alla vita. Il ministro per la ricerca, Fabio Mussi, ha alzato un polverone ritirando, a Bruxelles, la pregiudiziale etica alla ricerca sulle staminali embrionali, firmata dal governo del Polo.

«Bell’ esempio di doppia morale. Ci si scandalizza con Mussi, che ha fatto benissimo, perché con il ritiro della pregiudiziale e l’approvazione della sperimentazione in Europa ci arriveranno grossi finanziamenti per la ricerca, e poi si chiudono gli occhi sul fatto che almeno cinque istituti italiani lavorano su staminali embrionali comprate all’ estero. Noi facciamo ricerca e il lavoro sporco lo lasciamo agli altri.
E la senatrice della Margherita Paola Binetti, fondatrice dell’associazione Scienza e vita, dice che anche se fra le “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” non c’è l’esplicito divieto di importare cellule embrionali, la legge 40 va interpretata. Una stupidaggine: ciò che non è espressamente vietato è lecito».

Con la senatrice Binetti che si occupa di bioetica, pensa che questo maggioranza sarà in grado di riscrivere la legge che il referendum non ha potuto cambiare?

«No. L’unica strada è quella di modificare le linee guida, che comunque vanno riviste entro l’agosto 2007. Le aveva stilate una commissione molto dogmatica in cui aveva grande peso il parere di due professori di Diritto romano, materia non proprio inerente.

Ma chi ha preparato la legge ha inserito le passerelle per un’interpretazione più morbida del testo. Si può intravedere una soluzione alla tedesca che consente di utilizzare e congelare gli oociti, uno stadio precedente all’embrione in cui i patrimoni genetici dell’uomo e della donna non si sono ancora fusi. A lungo la Chiesa ha sostenuto che la vita personale era successiva a questa fusione, poi si è ricreduta».

Quante possibilità di passare ha questa modifica?

«La Commissione linee guida me la bocciò, ma al Comitato di bioetica fu respinta con 24 voti contrari, 12 favorevoli e 20 astenuti: la situazione potrebbe capovolgersi».

Altre migliorie possibili?

«Ripristinare l’indagine genetica preimpianto, che garantisce la salute dell’embrione. E inserirsi in un documento del Comitato che propone di consentire l’adozione degli embrioni sovrannumerari congelati. Si potrebbe ottenere un vantaggio: siccome la proposta reintroduce la fecondazione eterologa, con spermatozoi, ovuli o embrioni di donatore, si potrebbe estendere il diritto di chi adotta anche alle coppie con un coniuge sterile che potrebbe essere sostituito nella procreazione dal gamete di un donatore. Magari abolendo il segreto sul nome di quest’ultimo, questione che agita i cattolici convinti del diritto del figlio di conoscere l’identità del genitore biologico».

Perché anche con un governo di centrosinistra servono tutte queste mediazioni quando si parla di procreazione, unioni di fatto, testamento biologico, droghe?

«Abbiamo fatto un sondaggio sulla procreazione assistita fra i giovani e gli adulti in età fertile. I primi se ne fregano, i secondi sono di un’ignoranza sconcertante. Quando vengono da me le trentacinquenni in menopausa precoce, si sentono incredule, offese, anche se la stessa cosa è capitata alle loro madri e capita all’ l,5 per cento delle italiane. Grande è il disinteresse e forte il potere della Chiesa».

Le coppie che lei assiste come la mettono con la fede?

«Anche se monsignor Greccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, appena senti parlare di queste pratiche le definì “tecniche veterinarie in ausilio all’adulterio”, non sa quante pazienti mi sono state inviate da sacerdoti. Le signore dicono di essere fedeli, ma a modo loro».

Dal suo osservatorio, la Chiesa risulta veramente così potente?
In Spagna, paese cattolicissimo, Zapatero ha molta più libertà di manovra.

«La Spagna ha una storia diversa e una sinistra più autonoma. Qui, ho l’impressione, si va verso due Democrazie Cristiane, una di destra e una di sinistra che si contendono i favori e l’influenza sul voto del Vaticano, puntando una sul clericalismo e l’altra sulla solidarietà».

La convince il tavolo etico» presieduto da Amato?

«Assolutamente inutile. È una camera di decantazione della politica per impedire ai ministri di esternare altrove. E crea anche una certa confusione di ruoli con il Comitato nazionale di bioetica».

Anche quello è in scadenza: continuerà a farne parte?

«Sarebbe bello saperlo. Ma è anche bello sapere che, per la presidenza, si fa il nome di Stefano Rodotà, un uomo coraggioso».