Il 15 giugno si vota a Strasburgo: Fondi comunitari per le staminali embrionali, grandi manovre

Roma. Il Comitato nazionale per la bioetica terminerà lunedì prossimo il proprio mandato quadriennale, e ieri il presidente uscente, Francesco D’Agostino, nel riassumere nella conferenza stampa di saluto le molte cose fatte, ha voluto sottolineare che “la distinzione tra bioetica cattolica e bioetica laica è inconsistente.

Dico questo con tutto il rispetto per cHi la pensa diversamente da me. Quanto è accaduto all’interno dì questo Comitato lo conferma. Molte volte abbiamo trovato assoluta convergenza di opinioni tra coloro che sono esplicitamente cattolici ed esplicitamente laici”. Al Comitato che verrà, quello uscente lascia in eredità trentuno documenti e un lavoro “che anche negli analoghi organismi di altri paesi europei ha riscosso interesse e consensi”, ha detto D’Agostino.

Ma l’eredità è fatta anche di questioni sempre aperte o riaperte, come la liceità della sperimentazione sugli embrioni umani, sulla quale il Cnb non è riuscito a produrre un parere unanime, bensì un documento di maggioranza (contrario) e uno di minoranza (favorevole). Il governo dovrà ora nominare il nuovo Comitato di bioetica. Il galateo dell’alternanza vorrebbe che alla presidenza, dopo il cattolico D’Agostino, fosse designato un laico duro e puro (si fa il nome di Stefano Rodotà), in sintonia anche con l’orientamento della maggioranza.

Ma visto che i ministeri più legati alle questioni bioeticamente sensibili (Salute, Ricerca e Pari opportunità) sono monopolizzati dai diessini, la scelta potrebbe cadere su un nome di confine. Una donna, magari, e sarebbe una prima assoluta. Oppure un personaggio vicino alla maggioranza di governo ma di area cattolica (area Margherita). Non sappiamo se la nomina del nuovo Cnb avverrà in tempi brevi, come il professor D’Agostino si è augurato. E’ certo, però, che nei prossimi giorni la biopolitica continuerà a tenere banco. Di ricerca sulle staminali embrionali si occuperà a Strasburgo, giovedì prossimo, la seduta plenaria del Parlamento europeo, chiamato a pronunciarsi sui contenuti e sulle modalità di attuazione del Settimo programma quadro per la ricerca. Ovvero, quali progetti di ricerca l’Unione europea potrà finanziare con cinquantadue milioni di euro in sette anni. In particolare, il Parlamento si pronuncerà su una proposta formulata dalla Commissione delle comunità europee, e formalizzata lo scorso aprile, che ha già passato il vaglio del Consiglio dell’Unione e della commissione del Parlamento europeo per l’Industria, la ricerca e l’energia (Itre). Proprio in queste due sedi è scoppiata la nota bufera sulle cellule staminali embrionali. Al Consiglio dell’Unione, il neoministro dell’Università e della Ricerca, Fabio Mussi, ha ritirato l’adesione italiana alla Dichiarazione etica varata nel novembre 2005 da Italia, Germania, Austria, Slovacchia, Polonia e Malta. I sei paesi non accettano “che attività comportanti la distruzione di embrioni umani possano beneficiare di un finanziamento a titolo del Settimo programma quadro di ricerca” e invitano quindi la Commissione “ad abbandonare i progetti relativi all’ammissibilità al finanziamento di attività di ricerca che prevedano la distruzione di embrioni umani gli stessi paesi chiedono inoltre che si assuma a livello comunitario l’impegno di rafforzare la ricerca sulle cellule staminali adulte, e che si lasci “ai singoli stati membri la facoltà di decidere se sostenere o meno le azioni di ricerca comportanti la distruzione di embrioni umani Il Consiglio approva le proposte sul Settimo programma quadro con la maggioranza qualificata di due terzi dei votanti. Una minoranza, purché consistente, può dunque impedire che la maggioranza necessaria venga raggiunta, e i paesi che hanno firmato la Dichiarazione etica, insieme al Lussemburgo, raccolgono nel Consiglio 105 voti, cioè 15 in più del limite per la minoranza di blocco. Ma senza l’Italia i voti diventano 76, al di sotto del limite di blocco, e se sarà confermata la linea Mussi, l’Italia finirà per finanziare, in Europa, una ricerca illegale secondo la propria legge nazionale (la legge 40 riconfermata dal referendum di un anno fa). Nel frattempo, ha inoltre ha approvato nei giorni scorsi un emendamento di compromesso (presentato da parlamentari del Ppe, tra i quali Renato Brunetta di Forza Italia, da Pse e dai Liberaldemocratici) che consente di utilizzare i fondi del Settimo programma per cellule staminali embrionali e adulte, a seconda del contenuto del progetto scientifico e delle legislazioni dei singoli paesi, escludendo però la donazione a fini riproduttivi e quella terapeutica (cioè la creazione di embrioni a fini di ricerca). L’apertura dell’Itre non soddisfa l’Associazione Luca Coscioni, la quale, con una petizione al Parlamento europeo, chiede che il programma quadro possa finanziare quantomeno progetti di ricerca sulle cellule staminali derivate da embrioni soprannumerari (lo scorso programma quadro finanziava otto progetti di ricerca di questo tipo) e chiede di estendere i finanziamenti anche alla clonazione terapeutica. Mentre un appello di associazioni che va in senso opposto (perché resti l’interdizione dell’uso dei fondi comunitari per la ricerca sulle staminali embrionali), lo pubblichiamo in questa pagina. Se i radicali non sono soddisfatti, addirittura furibondi sono gli europarlamentari della Margherita. L’Alde (Alleanza democratici liberali europei), della quale fanno parte, ha votato giovedì a maggioranza una posizione del gruppo a favore della finanziabilità delle ricerche sugli embrioni, compresa la clonazione terapeutica. I parlamentari Dl (dal capo delegazione Lapo Pistelli a Vittorio Prodi, cugino del premier) hanno duramente criticato una decisione che li accorpa, loro malgrado, ai sostenitori della clonazione terapeutica. Si riservano di votare secondo coscienza in aula, hanno annunciato, mentre in Italia decolla la rete trasversale di parlamentari in difesa della legge 40. La prima uscita pubblica sarà martedì mattina, a Roma, in un convegno organizzato dall’associazione Scienza e vita, a un anno dalla vittoria nel referendum.