Per Luca

di Rosma Scuteri, iscritta all’Associazione Coscioni, malata di Sla, candidata nella Rosa nel Pugno E’ un dolore singolare, quello per la morte di una persona che casualmente ha sofferto della stessa malattia, la malattia di cui ancora stai soffrendo. Non è lo stesso dolore, più conosciuto e più familiare, di una madre per il proprio figlio o di una moglie per il proprio marito. E’ un dolore chiuso e rappreso, non comunicabile, un lutto che non si riesce a elaborare. Si è inchiodati nel proprio silenzio e nella propria solitudine, non si può partire per un viaggio, non si riesce a parlare con una persona cara ed è difficile pensare che la vita possa continuare. Si dice sempre così! Si pensa di essere sopravissuti per caso e di continuare a vivere, ancora per caso. Una volta c’era stata la paura della morte, o la sensazione di non essere ancora pronti, per la morte. Non si riesce a capire se la determinazione per vivere abbia un senso, se l’attaccamento alla vita abbia ancora un desiderio di comunicazione, un sapore di cose irrisolte e incompiute. Forse, si vuole credere che sia così. Non riesco ad accettare che una morte così assurda sia capitata a Luca, che Luca non abbia accettato di rimanere attaccato a un tubo, che Luca abbia deciso di andarsene così, nell’oblio della mancanza del respiro. Forse tutto è stato tremendamente dolce e io non lo so. Io, che sono arrivata in ospedale con il respiro schiacciato e ho avuto paura di morire. Io, che ho ancora paura della mancanza del respiro, e non riesco a immaginare il piacere dell’oblio della mancanza di dolore, del morire senza avere paura. In una condizione precisa e ritagliata come quella della malattia, la consapevolezza di sé e della propria urgenza espressiva diventa una forma costante di concentrazione sulle ultime, possibili, differenti, formule di comunicazione. Forse la vita di Luca ha avuto la possibilità di consumarsi serenamente, perché la sicurezza dell’amore lo avvolgeva costantemente. Si pensa così di diventare immortali, pensando che ci sarà sempre qualcuno che continuerà ad amarti. E Luca, un frammento di immortalità lo ha conquistato. Tanti, molti, altri ancora, hanno deciso di continuare a lottare, per vivere, per sopravvivere, per conoscere, perché Luca non c’è più e il vuoto lasciato dalla perdita della sua presenza, così forte, così rassicurante, diventa forse, più sostenibile. Era stato facile nascondersi dietro l’immagine di Luca, ora non è più possibile farlo. Ci si nascondeva dall’orrore della propria malattia e dalla percezione di una sgradevolezza che inevitabilmente sarebbe arrivata. La sgradevolezza in opposizione alla gentilezza antica e al vecchio piacere dello sguardo. Non si riesce più a parlare con dolcezza, perché la voce non c’è più e si teme lo sguardo spaventato degli altri. Gli altri, quelli normali, che non riescono più ad amare un ammalato. E preferiscono dimenticare la malattia e la morte. L’immagine di Luca, troppo violenta e immediata, nella politica ufficiale non l’avevano voluta. Parliamo anche della semplice immagine fotografica, sufficiente forse ad evocare l’altra, più fastidiosa e sinistra. Luca non aveva il diritto di esistere pubblicamente! Si pensava una volta alla politica e all’espressione dei suoi contenuti come a qualcosa di ampio, di facilmente comprensibile, di universalmente riconosciuto perché appartenente al quotidiano di tutti. La malattia e la morte sono le condizioni di vita che accomunano i “tanti”, i “molti” differenti e variegati che si chiamano “tutti”. Per paradosso, quella parte della politica ufficiale aveva esorcizzato Luca, ”mostro” degli incidenti del vivere. Ora, non è più possibile nascondersi. Io non posso più nascondermi. Ho bisogno di tutelare la memoria di Luca. Ho bisogno di continuare a lottare. Sono nelle liste della ROSA NEL PUGNO, è stato, questo, il primo atto di un legame con quella che è diventata la sua storia, il suo impegno dichiarato e pubblico. I contenuti della malattia e della morte, della dignità del vivere e del morire sono stati sempre messi da parte in tutti gli argomenti che riguardavano i fatti della politica. In un certo momento, può succedere anche questo, sono saltati fuori quei pazzi dei radicali a ricordarci che anche la politica può occuparsi dei grandi fatti della vita. Che anche gli ammalati possono seguire i desideri, continuando a conservare i loro diritti, come persone. Si pensa sempre che la malattia porti con sé anche la perdita di ogni diritto umano, e per l’ammalato, il rischio di “disumanizzarsi” è sempre incombente. Ma non deve essere considerato inevitabile. La qualità della vita di tutti, compresi gli ammalati, deve essere costantemente difesa. Il diritto alla speranza, alla possibilità di potere ancora credere, alle emozioni lontane e ai sentimenti, deve continuare a esistere. Questa speranza può essere il tentativo di definire Dio dentro ognuno di noi. Ci piace definirci laici perché il dio dei vescovi e dei cardinali non ci interessa. Non ci interessa la Chiesa separata e crudele, che ci toglie speranza e desideri, che ingabbia la scienza e la ricerca, che costruisce il consenso con la paura. Questa paura l’abbiamo dimenticata da tempo, perché abbiamo scelto di creare, di sperimentare, di rischiare. E Luca ce l’ha insegnato. Per la Rosa nel pugno mi sarebbe piaciuto esprimere un impegno totale, attivo, aggressivo. Il mondo esterno, quello che non posso più praticare, mi viene offerto dai media e qualche volta dai giornali. E ascolto, e guardo, e osservo. Riconosco personaggi e vecchi amici, ritagli di memoria e avventure antiche. Mi riesce facile filtrare e selezionare, in passato mi aveva sempre accompagnato la curiosità e il desiderio di fare “tutto”. Ora riesco ancora a pensare. Ma non posso urlare come vorrei e cerco di capire quali possono essere le forme più immediate di comunicazione. Che cosa posso fare, io, per questa campagna elettorale? Gli ammalati in politica non hanno grande carisma. Si potrebbe forse scrivere, denunciare, ma anche l’azzardo della scrittura, quando diventa “cosa pubblica”, non riesce a cancellare il pudore dei sentimenti. Sembrano sentimenti troppo facili quelli che riguardano la sofferenza e le storie degli ammalati. Quasi tutti cercano di rispettare il coraggio e la determinazione; ci si incupisce con molto impegno e partecipazione al pensiero del dolore fisico e psicologico, quello degli altri. Si spera così, di venire protetti dagli dei benevoli del quotidiano. Solo Luca aveva avuto il coraggio di farsi vedere in televisione, ma hanno cercato di non invitarlo troppo spesso… Forse il modo più immediato di fare politica, per un ammalato, è proprio quello di esporsi. Senza lacrime né allarmismi. Solo la Rosa nel pugno ha accettato di “esporre” i “suoi” ammalati, candidandoli nelle sue liste. L’adesione al progetto politico della Rosa nel pugno, per tutti noi, “diversi”, diventa coinvolgente, e addirittura, rassicurante. Si può immaginare di sentirsi ancora persone, conservando i propri diritti. Si lotta per la libertà di ricerca scientifica. L’associazione Luca Coscioni, per la libertà di ricerca scientifica, è stata già creata, grazie a Luca. E questo ambito ci fa sentire protetti e combattivi. Ci piace pensare di potere decidere le modalità di gestione della nostra malattia e il momento in cui scegliere di morire, momento che deve necessariamente essere estremamente intimo e sereno. Rosma (Scuteri)