New Orleans, abbiamo ucciso i malati terminali

Una dottoressa: erano senza ossigeno, sarebbero morti tra sofferenze atroci.

di Francesco Battistini

Medici legali, infettivologi, tecnici di laboratorio, chimici delle acque, polizia scientifica, squadre Fbi, esperti Icmp (Commissione persone scomparse), becchini, autisti: tutti a girarsi i pollici. La morgue di Saint Gabriel è mezza vuota. I kit per le analisi istologiche sono nelle borse frigo. Le 25 mila body-bag, le sacche per i cadaveri, stanno in magazzino. Le barche perlustrano. Dragano. Pescano rottami. I morti, non si vedono.

Due settimane dopo l’uragano Katrina, da questo nuovo Ground Zero affiora poco più d’uno zero: 381 vittime fra Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida. Dove sono i diecimila uccisi temuti dal sindaco democratico Ray Nagin, preventivati dal senatore repubblicano David Bitter, dove stanno le distese d’incellofanati che qualche testimone descriveva, dov’è “il peggio” che la Casa Bianca invitava ad attendersi? L’elenco dei dispersi, solo in Louisiana, ieri sera alle otto era aggiornato al numero 25.925: «Cerchiamo notizie di Angel Elizabeth (5 anni) e Arthur Hubbard Jr (6 anni)». Molti appelli si ripetono, disperati. A qualche nome viene aggiunta una parola di sollievo, «trovato». C’è una zona d’ombra, almeno 25 mila messicani che lavoravano clandestini e nessuno sa dire dove siano. Le correnti e gli alligatori potrebbero avere fatto il resto. Ma qualcosa non torna, nei numeri, «E’ vero», ripete Thad Allen, l’ammiraglio della Guardia costiera che ha preso il posto di Michael Brown, il capo della protezione civile richiamato (ma non rimosso) a Washington: «I morti, alla fine, potrebbero essere molti meno di quelli che ci aspettavamo». E quelle cifre? «Ipotesi — risponde il generale Russel Honore , non avevamo le informazioni che invece ora abbiamo».

Si va avanti lo stesso. Anche di più. La Croce Rossa chiede altri 40 mila volontari nelle zone disastrate. I cacciatori di cadaveri hanno il viso professorale d’un irlandese, Oaky Bomberger. Sceso in Louisiana coi vetrini del Dna, salito presto su un motoscafo dei dragatori: «Ci sono zone, a Saint Bernard, dove non è passato nessuno. Però si tratta ormai di aree limitate. É improbablie che lì possano starci molte migliaia di corpi». Oaky fa pausa a Houston solo due giorni, oggi ritorna sulle acque: «Questa è la più grande catastrofe naturale nella storia degli Stati Uniti. Non per i morti, ma per l’estensione, la distruzione, i soldi che ci vorranno».

La memoria, anche. I ricordi di quell’orrore. Le «poche» vittime dell’uragano, se poche saranno, aggravano le colpe di chi ha ritardato i soccorsi. Confermano che la catastrofe vera, più che durante, è stata dopo Katrina. Escono altri brandelli di storia. Omicidi bianchi, nottate nere. Quella d’una dottoressa che racconta a un giornale inglese, il Mail on Sunday, d’avere dato la morte ai pazienti terminali rimasti senza ossigeno, senza medicine, «destinati a una fine con sofferenze atroci». Il medico non dà nome, perché in Louisiana l’eutanasia è vietata: «Ho pregato Dio, perchè avesse pietà della mia anima». La storia sarebbe confermata dal funzionario d’un ospedale, William McQueen. I soccorsi non arrivavano, le apparecchiature erano senza elettricità, la farmacia dell’ospedale era stata saccheggiata da gente in cerca di droga e i medici, a chi non aveva speranza, hanno dato dosi gigantesche di morfina: «Non c’era tempo, era tutto terribile. Abbiamo diviso quelli che erano traumatizzati, ma potevano sopravvivere, dai moribondi che avevano bisogno di cure urgenti. Abbiamo fatto le iniezioni. Se una dose non bastava, la raddoppiavamo. Poi li abbiamo messi in un luogo buio, a morire. Le infermiere sono state lì vicino, ad aspettare con loro la fine». Coscienze devastate: «La gente non può capire che cos’è stato. L’abbiamo fatto per pietà. Avevamo pazienti terminali di cancro, in agonia. Sarebbero morti dopo qualche ora, magari giorni. Avevano il diritto di morire con dignità».

Angeli del fango, angeli della morte: New Orleans ha un lungo spartito di note tragiche. Gabriel Whitfield, altra storia che non si cancella, piange ancora se pensa alle cinque notti passate a fare l’angelo custode armato e feroce, pronto a tutto. I tatuaggi, il fisico atietico dei suoi 36 anni sono serviti, alla fine, a spaventare gli sciacalli armati. Gabriel s’è barricato con la moglie e i due bambini, nella sala conferenze al secondo piano d’un Best Western. Sono arrivati armati, per rubargli l’acqua e stuprargli la donna. Gabriel ha portato la famiglia sul tetto, bloccato gli ascensori, fatto trincea sulle scale. Ha trovato un fucile nell’hotel. S’è fabbricato bombe molotov con le bocce dell’aerosol. Forse ha ucciso qualcuno. Ma non gl’importa più.