Anche dentro il cervello?

Ma l’impianto interno di elettrodi rimane difficile
Ben altri problemi si devono affrontare nel caso di dispositivi invasivi, stimolatori impiantati direttamente nel cervello. Attualmente possono essere curate così l’epilessia e il Parkinson. “Questi neurostimolatori, spesso associati alla terapia farmacologica” spiega Antonio Pedotti “sono costituiti da due elettrodi, che vanno impiantati in precise aree del cervello (nuclei subtalamici nel caso del Parkinson, nervo vago nel caso dell’epilessia) e successivamente stimolati da un pacemaker esterno”.
I risultati, soprattutto nel Parkinson, sono incredibili, ma l’intervento è molto complicato; i nuclei subtalamici sono difficili da raggiungere e individuare e il paziente deve essere sveglio e collaborativo. La stimolazione, poi, può modificare la personalità. L’apparecchio utilizzato per curare l’epilessia stimola diverse aree chiave del cervello, come quelle dell’umore e della memoria; il neurostimolatore per il Parkinson può originare un’iperattività sessuale.
Questi apparecchi sono molto diversi dai microchip che, una volta impiantati nel cervello, consentiranno a tetraplegici e paraplegici di camminare. Diverse industrie biotecnologiche stanno investendo in questo settore e alcuni esperimenti su pochi pazienti hanno dato i primi risultati. “Anche noi abbiamo partecipato, alcuni anni fa, a un intervento” afferma Pedotti. “Con un gruppo di colleghi inglesi abbiamo trattato una 30enne che, dopo l’intervento, è riuscita con molta fatica e l’ausilio delle stampelle ad alzarsi e fare qualche passo sulle sue gambe. Personalmente ritengo che sia arduo realizzare un dispositivo elettronico capace di rinsaldare le connessioni lesionate a livello spinale, almeno con le attuali conoscenze. Anche la possibilità di utilizzare le cellule staminali o i nanotubi non sembra al momento fornire soluzioni concrete. Per realizzare microchip veramente efficienti occorrerebbe un’ampia sperimentazione, necessaria per capire come adattare e far interagire il sistema naturale e quello artificiale (il chip dovrebbe essere capace di apprendere e di evolvere). Tutto questo ci ha portato a non eseguire altri interventi”.
Nel laboratorio di Tecnologie biomediche del Politecnico di Milano sono stati realizzati microprocessori capaci di simulare le attività del sistema nervoso centrale per quanto riguarda il coordinamento e il reclutamento dei muscoli in determinate funzioni motorie (“catturano” il modo di camminare del soggetto, osservando quali muscoli attiva e in quale sequenza). Questi microchip, collegati con elettrodi posti sul muscolo o sulle terminazioni nervose sottolesionate (sotto la lesione spinale), possono essere attivati col pensiero o più banalmente schiacciando un pulsante.
“Ci siamo concentrati su funzioni meno complesse del camminare” spiega Pedotti “ma che potessero essere comunque gratificanti e utili per i pazienti paraplegici. Come pedalare: movimento molto più stereotipato non ha implicazioni nel mantenimento dell’equilibrio generale e della posizione eretta, come il cammino. Per i pazienti è di grande soddisfazione sia fisica, sia mentale. Stiamo preparando biciclette speciali che possano consentire ai paraplegici di muoversi con le loro gambe in piena autonomia”.