LA SCIENZA ALLA SBARRA (Avvenire)

<i>Se in giudizio i periti sostengono tesi opposte, è il giudice che decide quale sia la «vera» scienza. Molti ricercatori chiedono libertà di indagine, ma è la società a imporre un argine: la sfiducia. Diritto e ricerca scientifica sono sempre più intrecciati. La giurista Sheila Jasanoff spiega quali sono, oggi, i temi più discussi</i>

<b>29 Luglio 2003</b> – Scienza e diritto non sono due mondi così separati come la tradizionale organizzazione degli studi universitari potrebbe far pensare: acquistano infatti sempre maggiore importanza per la società le tematiche in cui giudici e scienziati confrontano i propri linguaggi. Basta pensare a tutte le questioni in cui i magistrati sono chiamati a pronunciarsi (talora in assenza di leggi specifiche) su temi quali inquinamento ambientale (dall'elettrosmog alle scorie nucleari), biotecnologie, genetica, effetti avversi dei farmaci (vedi caso Lipobay) o adeguatezza delle cure mediche (caso Di Bella). Inoltre l'affinamento dei mezzi investigativi (sono noti gli interventi del Ris dei carabinieri nelle indagini giudiziarie) rende sempre più frequente il ricorso all'opinione di periti e più ampio l'uso di prove scientifiche nei processi (fino allo scontro tra perizie tecniche di segno opposto tra accusa e difesa, con il tribunale chiamato a decidere quale sia la "vera" scienza). Su tutt'altro piano, ma altrettanto cruciali per la società, si pongono invece le discussioni sui diritti dell'attività di ricerca, sugli eventuali limiti che devono esserle posti, sulla possibilità di sfruttamento economico (brevetto) del lavoro degli scienziati.
Un interessante contributo a questi temi è offerto dalla giurista Sheila Jasanoff, che insegna Diritto, scienza e politica alla J.F. Kennedy School of Government della Harvard University, ed è autrice del libro La scienza davanti ai giudici (Giuffré editore, pagine XXII + 392, euro 25,82). Jasanoff osserva che oggi si presta molta più attenzione al rapporto tra scienza e diritto e che la nostra teorizzazione della società si è molto modificata: «Un tempo le scienze politico-sociologiche si occupavano di stratificazioni sociali, ora anche di knowledge o risk society, di scienza e tecnologia in ambito sociale»: persino i tribunali hanno cominciato a partecipare al processo di modernizzazione post-globalizzazione. Eppure «le risorse concettuali del la giurisprudenza appaiono inadeguate» sia per il ritardo con cui interviene il diritto, sia per l'ignoranza scientifica, sia ancora per il ruolo "ibrido" dei periti («un soggetto con conoscenze specialistiche, ma che ha un'importante influenza nel sistema giuridico»). A tale riguardo ha fatto giurisprudenza negli Stati Uniti la sentenza del '93 sul caso Daubert: si è stabilito che i giudici possono ammettere la testimonianza di esperti che, pur non dotati di particolari riconoscimenti da parte della scienza "ufficiale", si avvalgano di conoscenze e metodi scientifici. E che il diritto non parli una lingua davanti alla scienza è dimostrato dalla sentenza della Corte costituzionale del Canada che ha rifiutato la validità del brevetto dell'oncotopo (riconosciuto invece negli Stati Uniti) sulla base di diverse motivazioni tra cui la distinzione tra forme di vita superiore e inferiore: secondo i giudici canadesi infatti, gli organismi complessi non possono essere inclusi nella categoria dei "composti di materia" usata per i microrganismi.
Anche sulla libertà di ricerca il dibattito è ampio. Da un lato gli scienziati lamentano i vincoli posti ad alcuni campi di ricerca avanzati (Ogm e cellule staminali) e richiedono di potersi muovere negli studi con libertà, lasciando alla società civile il compito di valutare i risultati e scegliere quali linee privilegiare. Ma nel Libro bianco sulla governance, redatto per conto della Commissione europea, è emerso il crollo di fiducia nella competenza degli esperti da parte della popolazione europea, che non guarda più solo ai benefici ma anche ai danni che il progresso può portare con sé. E il gruppo di lavoro voluto dalla stessa Commissione Ue ha indicato la necessità di una «democratizzazione degli esperti». Sheila Jasanoff osserva che «siamo forse tutti d'accordo che i progressi scientifici vadano realizzati in un quadro di democrazia e che il potere di condurre indagini scientifiche è una libertà fondamentale. Tuttavia la scie nza negli ultimi due secoli ha avuto così successo in senso ideologico nel proporre il proprio modello, da avere perso un'interfaccia istituzionale. E l'istituzione – puntualizza la giurista – è un modo strutturato per risolvere problemi a livello sociale». In definitiva diritto e scienza da soli non bastano: «Sì alla protezione della ricerca scientifica dal regime politico, ma non dalla società civile».
<i>di Enrico Negrotti</i>