Risposta a Tommaso Gomez

Apprezzo il tono grabato con cui Tommaso Gomez continua su L’Avvenire la sua polemica per la mia campagna in favore della eutanasia. Noto però che anche Gomez – come tutti gli avversari della eutanasia quando si trovano di frontre a un caso di suicidio come quello di mio fratello Michele – cerca ragioni diverse da quelle vere.
“Michele – scrive Gomez – riceveva cure palliative; forse non funzionavano”. Quasi ad insinuare che si poteca curarlo meglio. Michele ha avuto sempre le migliori cure possibili in Italia. Ma in quella fase Michele non riceveva affatto cure palliative perché non aveva sofferenze fisiche.
“Non confidò a nessuno il suo proposito – aggiunge Gomez – e quando l’attuò era solo”. Quasi a insinuare che non era circondato da sufficiente affetto. Certo che era solo, visto che erano le sette di mattina ed egli era a letto nella sua camera. Ma per tutti i mesi della sua malattia Michele è stato circondato, ora per ora, dall’affetto e dalle cure di familiari e amici. E malgrado questo – le migliori cure ed il massimo di affetto – Michele voleva morire, perché riteneva la sua vita non più degna di essere vissuta e rifiutava ulteriori, inutili sofferenze per sé e per i suoi cari.
Liberi tutti di essere contro l’eutanasia, ma non di falsare la realtà.
Quanto ai dati sui suicidi, ho detto e ribadisco che essi mi sono stati confermati da altissimi dirigente dell’ISTAT. Aggiungo ora che ai circa 3.500 suicidi vanno aggiunti i circa 3.500 tentativi di suicidio (sempre annui). Su un totale di 7.000, non è certo eccessivo affermare che almeno mille sono malati inguaribili.

Carlo Troilo