Università: il merito ha bisogno di investimenti. Non bastano le buone intenzioni

 

Dichiarazione di Giulia Simi,vice segretaria dell’Associazione Coscioni

La meritocrazia nell’università è un obiettivo da perseguire con più coraggio. La c.d. riforma Gelmini è ancora troppo timida e, soprattutto, senza soldi. Premiare il merito significa liberare l’Italia da chi vuole la conservazione, miope ed egoista, che avvantaggia pochi privilegiati ma fa il danno di tutti.
La riforma Gelmini sull’università, purtroppo, non è abbastanza coraggiosa, perché i principi ispiratori contenuti nel del ddl, condivisibili, rischiano di rimanere solo belle dichiarazioni. In Parlamento, grazie a Marco Beltrandi e agli altri deputati radicali, sono stati presentati alcuni importanti emendamenti che hanno incontrato un favore trasversale tra i gruppi parlamentari, perché sono andati a toccare esattamente la questione centrale della riforma: premiare il merito nel mondo accademico.
E’ necessario un adeguato budget di finanziamento per attuare una riforma che premi realmente il merito, perché è altamente improbabile che una quota così esigua di investimenti in funzione del merito (3,9 per cento delle entrate totali dell’università, nel 2009) possa indurre un significativo incremento dell’efficienza produttiva e comportamenti di selezione efficiente, tipici dei sistemi competitivi, che sostituiscano radicate prassi clientelari. Nella riforma Gelmini mancano, purtroppo, quegli incentivi che possano indurre i docenti ad insegnare di più e meglio (anche per poter avere stipendi migliori), a fare ricerca di qualità, a premiare gli allievi eccellenti, come accade in quasi tutti i regimi democratici ed efficienti.
Bisogna mettere in discussione il sistema ultra-statalizzato dell’università,figlio di una retorica illiberale che ha considerato la piatta uguaglianza come un argine contro il merito, considerato un male perché costringe tutti, docenti e studenti, a lavorare sodo, a meritare il proprio “posto”, altrimenti l’Italia continuerà a gingillarsi con riforme che si limitano a spostare il potere dal centro alla periferia, e poi dalla periferia al centro, quando bisognerebbe responsabilizzare con premi e penalità le amministrazioni, i dipartimenti, i docenti, perché èquesto il primo passo da percorrere per ridare all’accademia italiana il suo ruolo di motore dello sviluppo economico e culturale del Paese; nessuna riforma si fa costo zero.
Per finire una domanda agli studenti: cosa avete contro il merito? In questo modo rovinate il vostro futuro.

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