Marinella malata di Sla, con un computer racconta la sua storia

luca coscioniluca coscioniRiportiamo alcune agenzie letteda Radio Radicale sulla storia di Marinella…
Grazie ad una tastiera virtuale ha scritto  il libro “Cosa importa se non posso correre”
Un colpo dato al mouse, contraendo le gambe, per ogni singola lettera. Perché anche se il suo corpo è immobile, la sua persona è in continuo movimento. Spinta dalla sua "anima da combattente" che si esprime su una tastiera virtuale. Marinella Raimondi, insegnante di tedesco nelle scuole superiori, sposata, due figlie, si è ammalata di Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla) all’età di 40 anni. È immobile da tempo Marinella, tenuta in vita da un ventilatore polmonare ma, grazie a un sofisticato software, riesce a scrivere la sua storia. Una storia che è una "difficile ma soprendente

avventura" raccontata nel libro "Cosa importa se non posso correre" (ed.Mursia). Un libro che porta dritti a toccare con mano come una realtà dolorosa possa, straordinariamente, essere comunque vissuta. Il libro è la storia dei giorni di Marinella Raimondi ma di fatto apre uno squarcio su cosa significa dover dividere ogni attimo della propria esistenza con "il ciclone Sla" che quando arriva nella vita di una persona la "priva di ogni movimento". Una malattia degenerativa del sistema nervoso di cui sono vittime in Italia circa 4000 pazienti. Persone di cui sappiamo davvero troppo poco. "Dopo alcuni anni di malattia ho sentito il bisogno di chiarire, prima di tutto a me stessa, mettendo nero su bianco, la mia situazione" scrive all’ADNKRONOS Marinella Raimondi che, a colpi di mouse, ha risposto senza esitare ad un’intervista senza parole. Una conversazione senza il colore dei suoni ma piena di emozioni dell’anima. Nell’intervista silenziosa Marinella non si è sottratta nemmeno a domande sulla scelta di non dover vivere a tutti i costi, raccontando le sue lacrime per Piergiorgio Welby e Eluana Englaro. Ed esprimendo senza mezzi termini la sua "ferma posizione in favore dell’eutanasia". Ma affermando che "no", lei "non ci pensa proprio" a morire. "Io -dice- amo la vita, anche questa vita a metà". Nell’intervista "a colpi di mouse" Marinella Raimondi mette sul tavolo anche il complesso e contrapposto sentimento di chi ha letto il suo libro e le ha scritto. Lettori che le confessano di non sapere "se ridere o commuoversi" per la sua storia "e che, nel dubbio, -sottolinea Marinella- fanno entrambe le cose". Per chi la legge senza poterle parlare, la sua storia costringe a superare il muro del suo inerme silenzio per poter cogliere le parole che le si muovono dentro.
 
"Da tempo immobile, da qualche anno costantemente ventilata da una macchina, con grandi difficoltà non sapevo più riconoscermi" spiega Marinella Raimondi. "Cosa ne era della donna di un tempo? Un tempo non molto lontano. Della mamma entusiasta, dell’amica sulla quale si poteva contare? Non mi ritrovavo più in nessuna di queste figure: ero -afferma- solo un essere bisognoso di tutto e di tutti". "C’era però -continua- la volontà fortissima, di continuare ad essere, almeno spiritualmente, la donna di sempre". E spiega come è nata la voglia di scrivere in un libro la sua storia. "Dalla mia immobile postazione -racconta- guardando i miei piccoli nipoti, con i quali sono sempre riuscita incredibilmente a comunicare, ho cominciato a raccontarmi. Un percorso faticoso sia dal punto di vista fisico che psicologico". Il libro è nato così. Una parola alla volta, una parola dietro l’altra. "L’ho fatto senza nascondermi -afferma- senza reticenze, a cuore aperto, ridendo e piangendo: sono partita da lontano, dalla favolosa Milano della mia infanzia e dalle straordinarie persone che mi hanno accompagnato in quel periodo, per raccontare poi delle mie avventure e disavventure quotidiane, una tragicommedia che ho cercato di vedere con gli occhi dell’ironia". Nei suoi primi sintomi, la Sla si era manifestata a Marinella con una perdita di voce, preannunciando la completa afasia cui poi sarebbe stata costretta. Ma la Sla le ha chiuso la bocca, non la voglia di parlare. E la tecnologia le ha dato una mano. "Scrivo su una tastiera virtuale, i cui tasti -spiega Marinella- si illuminano a scansione: quando il cursore illumina la lettera desiderata, premo un cuscinetto dotato di un piccolo interruttore che riporta le lettere sullo schermo". "Ogni parola -spiega ancora- viene quindi composta lentamente, lettera dopo lettera, costringendomi in una posizione di assoluta immobilità perché, dimenticavo, il cuscinetto mi viene posto fra le ginocchia". "Come ho scritto nel libro -aggiunge- basta un colpo di tosse o uno starnuto perché la tastiera impazzisca e succeda di tutto. Proprio di tutto nel mio testo ormai senza controllo".
 Ma lettera dopo lettera, Marinella Raimondi ha scritto quasi 200 pagine. E non le sono mancati commenti e riscontri di tanti lettori. "Mi ha stupito -scrive- ricevere tanti consensi anche da un pubblico giovane, per il quale sicuramente la malattia non rientra nei pensieri quotidiani". "Diversi -sottolinea poi- i commenti rispetto alla mia ferma posizione in favore dell’eutanasia: ho pianto per Welby ed Eluana e non solo per loro, è stato doloroso ma doveroso da parte mia esprimere un pensiero". E all’eutanasia Marinella dedica nel suo libro un intero capitolo. "Piergiorgio è fra coloro che più hanno lottato per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto all’accanimento terapeutico e per il diritto all’eutanasia" scrive nel libro Marinella. "Per Welby ho pianto e mi sono sentita profondamente offesa non solo come persona malata di SLA, ma come ESSERE UMANO" scrive ancora, accentuando con le maiuscole il carico espressivo che la sua afasia non le permette più di incidere sulle parole. Sul caso di Eluana Englaro parla di "una vergognosa diatriba". "Davanti a tanto dolore e tanto mistero -commenta- sarebbe stato opportuno stare in silenzio".
Ed il "semplice pensiero" che Marinella ha espresso negli ultimi giorni di Eluana è che "se Dio esistesse davvero e potesse assumere sembianze umane, volerebbe al suo capezzale e, baciandola e abbracciandola con grande tenerezza, staccherebbe tutte le spine crudeli e testarde, toglierebbe con delicatezza tutti i sondini dagli orifizi, sondini che provocano dolore e piaghe, io lo so perché l’ho provato. Senza parole, senza giudizi ma con amore, questo farebbe Dio". E Marinella, che farebbe? "Voglio ancora vivere. Per mille motivi" scrive Marinella elencando le tante cose che la rendono felice: dagli sguardi della nipotina Bianca alle gare che fa in carrozzina con il nipotino Riccardo sul monopattino. Ma un giorno questo potrebbe non succedere più.
"Quando queste semplici, impagabili cose -afferma Marinella- diventeranno impossibili, quando la sofferenza toglierà ogni possibile gioia, allora io invoco il diritto di scelta. Rivendico la possibilità di poter morire in modo dignitoso, così come dignitosamente ho affrontato la malattia". "Io, tetraplegica innamorata della vita, dico sì all’eutanasia. La considero un’espressione di rispetto e civiltà nei confronti dell’essere umano" spiega nel suo libro in cui elenca le tante sofferenze cui va incontro una persona che non può respirare più da sola, in piena, naturale autonomia. Non mancano da Marinella commenti duri sull’assistenza sanitaria che questo nostro Paese riserva ad un malato grave come lei. "Per quanto riguarda l’assistenza -dice- devo spendere parole molto severe. Da noi manca la cultura del malato ed il rispetto verso le sue reali necessità: quel poco che viene dato, deve soggiacere a criteri burocratici e speculativi". "Questo vale per tutti ma, -aggiunge- quanto più la malattia è grave e invalidante, tanto più la mancanza di aiuto si fa sentire. La buona volontà del singolo operatore viene mortificata e annullata dalla burocrazia e da chi ne trae vantaggio: viene premiato il burocrate rispetto all’operatore". Marinella quindi, commentando la notizia del ragazzo di Vercelli pronto a vendere un rene per poter sostenere le spese per curare il padre malato di Sla, taglia corto con fermezza sulla "superficialità e indifferenza da parte del sistema sanitario". "Io che sono fra i fortunati, -dice- ricevo un’ora e mezza di assistenza quotidiana per l’igiene personale". "Tutto il resto -è la sua amara conclusione- è a mio carico.