Facciamo un po’ di chiarezza sulla piattaforma pubblica per i referendum in vista di prossimi quesiti

firma digitale

In un’intervista di Federico Novella del 21 ottobre per La Verità l’amico Alfonso Celotto infila  qualche imprecisione circa la piattaforma online per la raccolta firme per referendum e proposte di legge d’iniziativa popolare e scansa il nocciolo della questione.

All’indomani della prima raccolta firme interamente online, quella per il referendum cannabis del 2021, Massimo Cacciari dichiarò di non “mettere in discussione l’istituto referendario, ma la situazione generale in cui oggi se ne colloca la pratica”, cioè la cosiddetta “spid democracy”, perché Chiara Ferragni “coi clic ne potrebbe indire 500 al giorno”. Sarà perché in tutt’altre faccende affaccendata ma né Ferragni (oltre 25 milioni di follower sui social) né altri “creatori di contenuti” online si sono dedicati all’impresa. Come il Professor Celotto ben sa, per scrivere un referendum occorrono conoscenze specifiche relative alle norme che si vogliono eliminare e competenze tecniche per un ritaglio che non sia manipolativo di leggi la cui abrogabilità è consentita dalla Costituzione. Altrettanto occorre per le memorie a sostegno dei quesiti da presentare alla Consulta. Ferragni, Tony Effe o Rocco Siffredi saprebbero mettere in campo tutto ciò grazie alle risorse di cui dispongono ma cliccare sarebbe la parte “finale” dell’impresa, necessaria ma non sufficiente.

Nel 2021 l’Associazione Luca Coscioni ha raccolto oltre 900.000 firme online sui referendum Eutanasia e Cannabis reperendo, sempre online, le risorse necessarie per pagare (circa 1 euro a sottoscrizione) una piattaforma privata. Talmente tanta fu la partecipazione (la cannabis in una settimana raccolse 500.000 firme!) e il sostegno (anche) economico, che in fase di “ammissibilità”, la paura di vedere in faccia l’entusiasmo riformatore del popolo sovrano fece bocciare (a maggioranza) entrambi i quesiti dalla Consulta, come il professor Celotto ben sa. 

Questa riforma strutturale non è frutto di leggi avanzate da movimenti populisti (che pure non mancano in Italia) è invece il risultato di una campagna referendaria non andata a buon fine promossa da Radicali italiani nell’estate del 2013. La determinazione dell’allora segratario Mario Staderini, e le competenze del Professor Cesare Romano, resero possibile un “ricorso” alle Nazioni unite contro gli “irragionevoli ostacoli” che le norme italiane in materia di referendum imponevano a chi li promuove. La procedura iniziata nel 2015 all’Onu di Ginevra si concluse con osservazioni comunicate all’Italia nel 2019, tra queste l’ampliamento della platea di chi autentica le firme, il ricorso al digitale – non creando diritti speciali per le persone disabili – e l’informazione da parte del servizio pubblico.

L’emendamento di Riccardo Magi, sottoscritto da tutti i gruppi, anticipò l’entrata in vigore di una norma adottata dal Governo Conte 2 nel 2020 che doveva esser operativa dal gennaio 2022. Mentre Magi vinceva il voto alla Camera, il Ministro Vittorio Colao mi assicurava il suo nulla osta all’uso di un piattaforma privata.

Buona parte delle critiche circolate a seguito della raccolta firme per il referendum sulla cittadinanza emersero già tre anni fa. Senza troppo approfondire il “fenomeno”, costituzionalisti e politici paventarono una delegittimazione parlamentare e/o il timore che non meglio specificati influencer avrebbero dettato l’agenda politica. A parte ricordare che il quesito contro il green pass pubblicizzato ogni sera per settimana a reti unificate raccolse qualche migliaio di firme online, come del resto quelli sulla giustizia del centrodestra più il Partito Radicale, e il recente azzeramento dei costi grazie alla piattaforma pubblica, non abbiamo assistito allo tsunami referendario.

Marco Pannella denunciava il regime partitocratico italiano qualificandolo una “democrazia reale”, un sistema in cui le dinamiche istituzionali contraddicono lo Stato di Diritto e “attentano” ai diritti civili e politici” delle persone; per una volta che abbiamo una riforma strutturale non mi preoccuperei di come o dove si firma ma di far sì che la partecipazione sia senza “irragionevoli ostacoli” e debitamente informata. Certo, resta la slealtà del quorum che favorisce la conservazione, ma di questo, come dell’astensionismo, se ne parla un’altra volta.