Sul suicidio assistito, per la CEDU devono decidere gli Stati, ma si sottolinea la tendenza alla legalizzazione

Per l’Italia, il 19 giugno sarà la Corte costituzionale a esprimersi a seguito delle  nostre disobbedienze civili, nell’inerzia del Parlamento

La sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha respinto il ricorso del cittadino ungherese malato di SLA, Dániel András Karsai, che chiedeva di poter accedere all’aiuto alla morte volontaria, non coglie l’opportunità per affermare a livello europeo il diritto fondamentale di poter accedere all’eutanasia. Nelle proprie motivazioni, la Corte si è infatti rimessa alla discrezionalità degli Stati nazionali, limitandosi a fotografare il fatto che “la maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa continua a proibire sia il suicidio medicalmente assistito che l’eutanasia”, pur sottolineando come vi sia “una tendenza crescente verso la sua legalizzazione”.

Questa sentenza, come la precedente giurisprudenza della CEDU, non impedisce in alcun modo agli Stati di legalizzare eutanasia e “suicidio assistito”. Ogni precedente tentativo di ricorso in tal senso è stato respinto dalla Corte. Resta dunque intatta la possibilità per gli Stati di ampliare il diritto all’autodeterminazione alla fine della vita.

La Corte europea, invocando il margine di apprezzamento degli Stati sul tema, non si è dunque soffermata sulla discriminazione sollevata da Dániel András Karsai, dovuta ad una legislazione interna che da una parte prevede il diritto a rifiutare o sospendere trattamenti vitali e dall’altra non consente l’accesso alla morte assistita, sia in Ungheria che all’estero, per chi non è dipendente da tali trattamenti. Karsai sarà costretto ad attendere la dipendenza da un sostegno vitale per poterlo eventualmente rifiutare e così morire, con le relative sofferenze.

La decisione della Corte arriva a pochi giorni dall’udienza della Corte costituzionale, che – a seguito delle nostre azioni  di disobbedienza civile  e a causa dell’inerzia del Parlamento – dovrà esprimersi nell’ambito di un quadro giuridico molto diverso, sulla costituzionalità del “trattamento di sostegno vitale” come condizione di accesso alla morte assistita.

Nel nostro Paese, infatti, la discriminazione sollevata da Karsai, era stata in parte superata grazie alla sentenza di incostituzionalità 242/2019 (Cappato-Antoniani) che, constatando l’irragionevolezza del divieto assoluto di accedere all’aiuto alla morte volontaria, avevano previsto la possibilità, per un malato in determinate condizioni, di scegliere come morire, anche alla luce della legge n. 219/2017 che prevede il diritto al rifiuto all’inizio di  terapie e all’interruzione delle terapie in corso, previa sedazione palliativa profonda continua.

La Corte costituzionale, dunque, potrà far ulteriormente progredire la legislazione italiana, rimuovendo il requisito del trattamento di sostegno vitale e superando una delle discriminazioni attualmente più importanti, consentendo alle persone affette da malattie irreversibili e sofferenze intollerabili, ma non necessariamente tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale, di accedere all’aiuto alla morte volontaria.