Sul CBD una sottocommissione dell’Ordine provinciale dei medici di Roma ne sa più dell’OMS

Sentenza Corte gi Giustizia europea su CBD

Nel 2020 il Comitato delle Nazioni unite sui diritti economici, sociali e culturali ha adottato un “commento generale” sulla scienza. La parte iniziale del documento ricorda quale sia la definizione di scienza da parte dell’Onu. L’UNESCO definisce la scienza come “l’impresa in cui l’umanità, agendo individualmente o in piccoli o grandi gruppi, compie un tentativo organizzato, attraverso lo studio oggettivo dei fenomeni osservati e la sua convalida attraverso la condivisione di scoperte e dati e attraverso la revisione tra pari, per scoprire e padroneggiare la catena di causalità, relazioni o interazioni; [la scienza] riunisce in una forma coordinata sottosistemi di conoscenza mediante la riflessione sistematica e la concettualizzazione; e quindi offre l’opportunità di utilizzare, a proprio vantaggio, la comprensione dei processi e dei fenomeni che si verificano nella natura e nella società”. 

Se applicassimo tutta o in parte questa definizione al motivo per cui scrivo in risposta a un pezzo del dottor Massimo Gandolfini pubblicato su la Verità del 31 agosto saremmo qui a citare articoli, studi, ricerche, monografie e invece ci dobbiamo confrontare su “segnalazioni” o “dati” che descriverebbero un fenomeno sempre più preoccupante – a oltre 60 anni dalla prima Convenzione che lanciava i primi allarmi!- sottolineando l’autorevolezza della fonte. Ma l’autorevolezza non è data da solo da chi firma quanto dal fatto che esiste un “consensus” frutto del fatto che si tratta di dati riprodotti, verificati  e, se del caso, falsificati da persone dalle competenze pari o interessi collimanti a chi ha prodotto i primi studi. 

E invece, tanto nel pezzo di Gandolfini (che è un consulente a titolo gratuito del Dipartimento per le Politiche Antidroga), quanto nel comunicato della sottocommissione dell’Ordine dei medici ripreso dal sito del PDA o nel decreto del Ministro della Salute Schillaci non c’è un riferimento a uno studio, o bibliografia che possa giustificare la decisione. L’unico documento a cui fa riferimento Gandolfini che dovrebbe smontare i “miti sulla cannabis” non si rintraccia online mentre ci sono almeno una dozzina di documenti con titoli simili che dicono l’esatto contrario di quanto elaborato dall’ordine provinciale dei medici di Roma.

Questo modo di fare non è una caratteristica del governo di centro-destra; infatti, un approccio simile era stato adottato dal Ministro Roberto Speranza, l’estensore della versione originaria del decreto pubblicato in gazzetta all’inizio di agosto, quando un anno e mezzo fa, anche qui in spregio alla letteratura scientifica esistente, aveva messo in tabella tanto il decotto dell’ayahuasca quanto le due piante necessarie a produrlo

E poco importa che nel mio post per il sito dell’Associazione Luca Coscioni avessi indicato raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale, e sottolineo mondiale, della Sanità e la decisione della Corte di giustizia europea, e sottolineo europea, per segnalare dove stia andando il mondo. Niente di tutto questo è stato preso in considerazione dal Governo – oltre che da i miei interlocutori. Le mie citazioni volevano ricordare quanto suggerito dalle Nazioni unite dopo anni di studi circa la necessità di rendere facilmente disponibile il CBD, escludendone esplicitamente la pericolosità. Infine, avevo anche ricordato quando deciso dalla corte del Lussemburgo relativamente all’impossibilità per uno stato membro dell’Unione europea di proibire il commercio di qualcosa prodotto e liberamente commercializzato in un altro stato aderente al mercato comune. 

E veniamo alla pericolosità. Tanto Gandolfini quanto i medici della sotto-commissione dell’ordine provinciale dei medici di Roma, e sottolineo sottocommissione e provinciale, prima di addentrarsi nelle solite generiche affermazioni della “droga di passaggio” – smentite da decine di studi negli ultimi anni – tirano in ballo lo spauracchio degli incidenti stradali più volte affrontata nei Libri Bianchi prodotti dalla società civile per valutare indipendentemente l’impatto della legge sulle droghe 309/90.. 

Bastava leggere i documenti prodotti dal Governo o dall’’ISTAT per avere numeri che smentiscono categoricamente quanto affermato. La Relazione al Parlamento pubblicata all’inizio di luglio segnala che solo nell’1,6% degli incidenti del 2021 è stata rilevata l’alterazione psico-fisica da uso di stupefacenti. “Dei 780 casi del 2022” ricorda Hassan Bassi che ne ha scritto per il sito FuoriLuogo.it leggendo il documento del governo ”103 fanno riferimento a morti sulle strade. Come sanno i tossicologi, questi numeri non dicono molto sull’effettiva influenza che la sostanza può aver avuto nella dinamica dell’incidente, non solo perché incompleti e parziali (manca il numero totale dei test, e non tutte le vittime vi sono sottoposte), ma soprattutto perché le sostanze psicoattive rimangono presenti nei liquidi biologici per molto tempo dopo aver terminato l’effetto alterante”. Anche i dati dell’ISTAT sull’incidentalità stradale del 2022 raccontano che, a fronte di un aumento degli incidenti – che portano comunque il totale a un livello inferiore a quello pre-pandemia – l’influenza degli stupefacenti è in diminuzione. “Secondo i dati di Carabinieri e Polizia” prosegue Bassi “sui 56.284 incidenti con lesioni (circa un terzo del totale) in soli 1.671 casi almeno un conducente (ma non si sa se quello che ha causato l’incidente) risulta positivo agli stupefacenti: il 3% del totale! Un dato in calo rispetto al 2021 (3,2%) e al 2019 (3,4%)”. Le sanzioni ai sensi dell’art 187 sono aumentate da 4289 a 4607 (+6,9%) mentre quelle per art. 186 (alcol) del 21,5%. Bassi ricorda che però si registra un aumento di tutte le sanzioni di oltre il 16%, di cui le violazioni del 187 rimangono lo 0,024%. Nel 2022 la polizia ha effettuato un 27% di controlli in più nel 2022 

Ora è vero che, come ha denunciato 70 anni fa Darrell Huff “se torturi i dati abbastanza alla fine confesseranno quello che vuoi” ma anche non prendere in considerazione altro che non siano le proprie opinioni è una sorta di trattamento degradante della scienza e anche del processo normativo perché basato su ideologie o dogmi. Non basta dire “scientifico” per circostanziare la propria visione del mondo, occorre dedicare del tempo a raccogliere e analizzare i numeri. Il decreto originario di Speranza fu sospeso perché occorrevano approfondimenti scientifici, né l’ex Ministro né l’attuale – né chi applaude alla decisione contraria alle raccomandazioni internazionale – è però riusciti a compilare un meta-studio di ricerche ed evidenze a favore del ritenere “stupefacenti” prodotti con CBD. Il testo del decreto cita (un po’ troppo) en passant pareri senza allegare e far riferimento a decisioni politiche di organi internazionali che poco hanno a che fare col CBD.

Nei prossimi giorni l’Associazione Luca Coscioni pubblicherà qualche informazione su come altri stati europei abbiano normato i prodotti a base di CBD. Siamo anche a disposizione per fare volontariato nei pronto soccorso con finalità statistiche per tenere conto di quante persone si rivolgono ai servizi d’emergenza perché, come i troiani, sono caduti nella trappola degli achei. Oltre a (ri)leggere l’iliade non guasterebbe, anche qui, leggere i dati del governo che non segnalano particolari esplosioni di consumo problematico dovuto al cavallo di Troia del CBD. 

Infine, oltre all’attenzione a studi e ricerche scientifiche, occorre tener conto della storia, sono infatti oltre 60 anni che sentiamo ripetere le stesse cose sui rischi dell’uso personale e le risposte per limitare i danni con il risultato che da sempre si verifica l’esatto contrario di quanto predicato. Forse dopo tutti questi anni, oltre ad auspicare un radicale cambiamento della classe dirigente (e non solo politica) sarebbe opportuno finalmente valutare l’impatto delle restrizioni o indurimento di pene per capire, tra le altre cose, come mai, a fronte di quattro milioni di utilizzatori abituali – stime della Relazione del Governo – il nostro non sia un paese in ginocchio perché vittima del fantomatico passaggio da principi attivi terpeutici a molecule super-potenti ma un paese dove l’autoregolamentazione funziona meglio del baubau. 

Ultima, ma non ultima per importanza, la questione demografica: le statistiche più recenti ci dicono che l’età media di chi ha un rapporto problematico con le sostanze è di quasi 40 anni. E’ vero che si inizia sempre prima ma i problemi sono altrove.