Partecipare è roba da matti

Partecipano gli italiani e onorano col loro voto la democrazia rappresentativa?

L’Italia come vede le forme di partecipazione democratica, come i referendum, le proposte di legge d’iniziativa popolare, la firma digitale, le decisioni delle assemblee dei cittadini estratti a sorte, tutte queste forme di partecipazione politica? Sono presenti i giovani nella collettività, partecipano? Pesano nella scuola? Nelle decisioni che li riguardano, l’ambiente, il lavoro, il welfare? Sono ascoltati?

Le forme di disagio e di protesta assumono forme di proposta partecipativa? Ci teniamo ai nostri beni comuni, ci interessiamo? Portiamo il nostro contributo agli altri, ci crediamo? Ci impegniamo o pensiamo che altri lo debbano fare per noi? La mia presenza, il mio corpo, i miei sogni possono contribuire a cambiare le cose? Come incido? Partecipo coi miei like? Le mie idee in Instagram cosa fanno?

Mi sento dentro a qualcosa che ha senso comune, collettivo, che riguarda tutti? Quello che succede a me potrebbe succedere anche ad un’altra persona? Credo alla condivisione? Mi facilita o mi complica le cose? L’unione fa la forza? Eccetera…

Nella salute mentale partecipare è roba da matti? Non tanto, perché l’action plan europeo per la salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013, dieci anni fa, parlava di “necessità di permettere alle persone affette da problemi di salute mentale e ai loro familiari di partecipare alla progettazione, esecuzione, verifica e valutazione delle politiche dei servizi a loro destinati, diventando parte integrante del controllo della qualità dei Servizi” e prevedeva inoltre che “a utenti e familiari vengano fornite le risorse per questa co-produzione”.

Le persone con disturbo mentale e i loro familiari come parte integrante del controllo della qualità dei Servizi. Attivisti nelle scelte di gestione dei servizi. Proprio così! Credo che se il piano europeo fosse stato realmente concretizzato molti Servizi di salute mentale non sarebbero così sofferenti ora e non si sarebbero aperte problematiche, pieghe profonde, da cui pare non poter riemergere, se non tamponando le urgenze e le necessità immediate degli operatori col rischio di rendere ancor più consolidate pratiche non efficaci.

Ma se la crisi nel settore della salute mentale e della sanità in genere è dovuta al risparmio delle risorse umane, alla mancanza di personale, si dirà, come sarebbe stato possibile arginare questo fenomeno d’impoverimento dei Servizi destinati alla salute mentale con la sola partecipazione di utenti e familiari?

Il Servizio della Salute mentale di Trento dimostra che la pratica partecipativa di utenti e familiari, attiva da oltre due decenni, permette proprio di ridurre la presenza degli operatori necessari e di posti letto comunitari. Non poco di questi tempi.

La pratica partecipativa permette di tenere un Servizio psichiatrico privo di porte chiuse, senza contenzioni meccaniche al letto, senza eccessi di Trattamenti sanitari obbligatori, di gestire gruppi appartamento e piccole comunità di pazienti riabilitati senza una sorveglianza totale. La stragrande maggioranza dei reparti psichiatrici ha invece porte chiuse, esegue contenzioni al letto, usa l’obbligatorietà per i trattamenti e chiede comunità e maggiori posti letto.

Rendere partecipi e formare utenti e familiari ad essere utili nel lavoro psichiatrico si fonda su assunti teorici che sovvertono l’attuale impostazione bio-medica dell’assistenza psichiatrica. Il fare partecipativo di utenti e familiari ha permesso non di sostituire le professionalità necessarie in salute mentale (psichiatra, psicologo, assistente sociale, educatore, tecnico della riabilitazione psichiatrica, infermiere, operatore socio-sanitario) ma di rendere indispensabile la presenza dell’esperto per esperienza, come viene chiamato, o esperto nel supporto tra pari (ESP) in un modo così intenso da snellire tutti gli altri interventi specialistici e, in un qualche caso, non renderli necessari.

L’esperienza dell’utente che ha conosciuto il percorso e l’esperienza del familiare permettono di far vivere al meglio l’approccio con la struttura del servizio di salute mentale, sia essa l’ambulatorio oppure il reparto. Nei vari contesti, infatti, è sempre presente l’esperto ESP che accoglie, parla, si relaziona, interviene, media, contratta, ascolta, asseconda dei bisogni di chi sta male e del grado della sua sofferenza psichica.

Gli esiti della condivisione attiva tra esperto per conoscenza diretta e nuovo utente, come detto, sono positivi e facilitano l’azione dei professionisti che trovano meno asperità nel far accettare, per esempio, un trattamento necessario nella cura oppure trovano agevolazioni nel lavoro psicologico sulla consapevolezza del disturbo in atto.

La filosofia che sottende la formazione dell’ESP è il concetto puramente riabilitativo di recovery, che significa attenzione totale al percorso che il paziente deve imparare per fronteggiare gli eventi quotidiani, puntando sulle sue capacità e autonomizzazioni mettendo nello sfondo i sintomi disturbanti. Nonostante la malattia e le sue espressioni, ci si concentra sin da subito su ciò che si sa fare, sui determinanti sociali e relazionali che proteggono e valorizzano. Va da sé che abilità sociali, abitare, lavorare, esprimersi e darsi valore siano elementi fondamentali della cura e del benessere, nonostante le crisi. Le persone che meglio sanno di cosa è fatto questo percorso virtuoso e come si impara fiduciosamente a percorrerlo sono gli utenti e i familiari formati per diventare ESP.

Si è tenuto a Vicenza il 6 maggio 2023 un interessantissimo incontro con gli autori del libro “Psichiatria da protagonisti”, Paolo Giovanazzi, familiare, e Andrea Puecher, utente, che hanno esposto questo fare partecipativo presente da anni nel Servizio di salute mentale di Trento. Gli autori, che fanno parte dell’Associazione Il Cerchio Fareassieme Onlus, convenzionata con l’Azienda sanitaria trentina, sono stati invitati dalla cellula Vicenza- Padova dell’Associazione Luca Coscioni, dalla Casa di Cultura popolare di Vicenza e dalla Società medico-chirurgica vicentina.

È apparso, infatti, necessario far conoscere queste realtà e buone pratiche della salute mentale, soprattutto in questo periodo di grande affanno sanitario e di necessità di riordino. Erano presenti il Direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Aulss Berica e il presidente dell’Ordine dei Medici di Vicenza.

Tanti sono stati i temi toccati nella discussione e nella presentazione del libro. Su uno particolarmente positivo mi soffermo. Delle tre forme di partecipazione di utenti e familiari, la più strutturata e integrata nel sistema, riguarda la figura dell’ESP sulla quale è iniziata un’istanza che punta al suo riconoscimento istituzionale. Per diventare Esperto in Supporto tra Pari, l’Associazione prevede un percorso interno di formazione impegnativo con tanto di selezione. Devono essere presenti, infatti, delle qualità umane e delle capacità personali sulle quali imparare il ruolo di trasmissione agli altri del sapere esperienziale, senza calpestare i piedi ad altre figure, nel rispetto del lavoro congiunto con gli operatori professionali.

Un utente deve avere condizioni cliniche buone e deve essere un esempio di percorso di cura riuscito, d’accordo. Un familiare deve essere sereno e non invischiato in relazioni disfunzionali, d’accordo. Le qualità richieste ad un buon ESP sono “la predisposizione all’accoglienza, alla gentilezza e alla disponibilità, la passione per la propria missione, la capacità di stabilire relazioni positive, la consapevolezza del valore del proprio sapere esperienziale” nonché il saper raccontare le proprie vicissitudini. Ancora: “Deve saper dispensare fiducia e speranza, offrire vicinanza emotiva, stimolare pensieri positivi e migliorare il clima relazionale”.

L’ESP viene preparato a mantenere il suo operato esclusivamente nella relazione con chi sta male, utilizzando lo stesso suo linguaggio, facendo risuonare nell’altro quella umana vicinanza tra drammatiche fratture interiori.

Nel Servizio di Salute mentale di Trento gli ESP che vi operano non sono pochi, sono presenti in vari contesti di cura e aree di intervento (reparto, front-office del Servizio, situazioni di crisi, area abitativa, percorsi di cura condivisi con funzione di garante, campagne di sensibilizzazione, facilitazioni in cicli di incontri con le famiglie). Ricevono un compenso economico per le loro prestazioni di qualità e applicano a partire da loro stessi il circolo virtuoso che è la concretizzazione del concetto di recovery. Sono un esempio da conoscere di buona partecipazione.

L’attenzione con la quale il gruppo ha affinato i criteri per la valutazione e la gestione dell’Utente esperto sono poi la ciliegina sulla torta che mi fan pensare, in contrasto con questa buona pratica, ai tanti personalismi dannosi e alle improvvisazioni impulsive di qualche professionista laureato, esperto sui libri, che ho ahimè conosciuto come psichiatra.