La mia presentazione al libro di Filippo D’Ambrogi “Sceglierò io quando e come morire”. La battaglia di Indro Montanelli per un fine vita dignitoso

Indro Montanelli

Anche se oggi si tende talora a dimenticare questa vicenda, dal 1997 al 2001, cioè sino agli anni della sua morte, Indro Montanelli – illustre giornalista e opinion maker tra i più autorevoli della sua epoca – ha apertamente difeso il diritto di congedarsi dalla vita, mostrandosi anticonformisticamente a favore dell’eutanasia volontaria.

Ciò è avvenuto nella celebre “Stanza di Montanelli”, una rubrica di dialogo quotidiano con i lettori del Corriere della Sera. Fatto tanto più notevole se si pensa che nel nostro Paese l’eutanasia era allora fortemente ostracizzata e che non solo la Chiesa cattolica ma anche molta parte della cultura laica tendeva ad assimilarla a una pratica infame.

Bene ha fatto quindi Filippo d’Ambrogi – lo stesso che scrisse a Montanelli proponendogli di «riunire firme autorevoli in un manifesto, come avvenne negli anni ’30 in Gran Bretagna quando fu fondata, sotto la guida di Bertrand Russel, la British Society for Euthanasia» – a portare alla pubblica attenzione questo aspetto dell’opera di Montanelli, ben presto “rimosso” e, con il tempo, caduto nell’oblio, come attesta il fatto che nessuna delle principali biografie comparse dopo la sua morte è andata oltre, nel migliore dei casi, a qualche breve cenno.

Da ciò la primaria finalità divulgativa di questo lavoro che non è un libro accademico con tanto di note ma un testo – sia pure rigorosamente documentato – che ha la forma di un prodotto agile, sia nelle dimensioni, sia nei contenuti, sia nella grafica (con frequenti spaziature ed evidenziazioni in grassetto tipiche degli articoli di giornale che si leggono on line).

Un testo, insomma, accessibile a un’ampia e variegata cerchia di persone (dagli studiosi ai lettori comuni) e animato non solo dalla consapevolezza della rilevanza del messaggio di Montanelli, ma anche dallo sforzo di mantenerlo vivo, al di là della dimenticanza in cui esso è caduto.

Persino nel ventennale della morte, sebbene si sia giustamente insistito da parte di studiosi ed ex direttori del Corriere, sulla sua figura di “italiano contro” ci si è dimenticati – nonostante tutto quello che nel frattempo è successo in Italia e nel mondo a proposito del fine vita – di dire che egli è stato emblematicamente “bastian contrario” anche a proposito dell’argomento “minato” dell’eutanasia. Da ciò il benemerito proposito di D’Ambrogi (che chi scrive ha incoraggiato e sostenuto) di colmare questa vistosa lacuna.

Un testo, bisogna aggiungere, che non si ferma a Montanelli, in quanto nelle “cornici esplicative” alle “Stanze” oltre ad offrire interessanti notizie su taluni personaggi dell’epoca, delinea una prospettiva sintetica su taluni avanzamenti circa il fine vita avvenuti prima e dopo la sua morte, sia in Italia, sia all’estero.

Tutto ciò nel tardivo sforzo di rendere giustizia a Montanelli e alle sue intuizioni. Operazione tanto più significativa se si pensa non solo al già citato ostracismo della Chiesa cattolica e di gran parte della cultura laica italiana (con debite eccezioni: come, ad esempio, Rita Levi Montalcini e Lucio Colletti) ma anche al subdolo tentativo di privare la sua posizione di una reale portata teorica, sino a farne il semplice sintomo di una situazione di disagio esistenziale.

In altri termini, come il profondo discorso di Leopardi sul dolore umano e cosmico da taluni è stato ben presto messo a carico della sua gobba, cioè, fuor di metafora, è stato “ridotto” a semplice proiezione raziocinante della sua vita infelice, così il “sacrosanto diritto di congedarsi dalla vita” di cui parla Montanelli da taluni è stato “ridotto” a semplice proiezione raziocinante di una mente anziana e depressa, incapace, come tale, di una considerazione “equilibrata” sulla vita e sulla morte.

Tant’è che Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale nonché ex presidente della RAI, disse che: “Più che deprecabile, ciò che ha detto il grande giornalista mi fa compassione”. Come dire che non ha senso replicare alle tesi di Montanelli, perché sono dettate da una sofferenza esistenziale che merita più pietà che attenzione dialettica.

Certo, Montanelli non era uno “specialista“ degli argomenti relativi al fine vita e le sue incursioni sul tema non sono approfondite in modo sistematico o articolate in modo critico e sono ben lontane dal configurarsi alla stregua di una disamina filosofico giuridica della materia considerata.

Ciò non toglie – in questo risiede la sua grandezza – che egli abbia individuato con chiarezza ed espresso in modo linguisticamente brillante l’idea-guida che sta alla base di ogni battaglia progressista per il fine vita, ossia la rivendicazione del “diritto dell’uomo di congedarsi dalla vita quando questa sia diventata per lui un calvario di sofferenze senza speranza” e, più in generale, la rivendicazione del diritto di scegliere in modo libero e responsabile come vivere e come morire. Rivendicazioni che portano il giornalista per eccellenza a contestare ante litteram le variegate forme di ciò che oggi chiamiamo il paradigma della indisponibilità della vita (di cui la dottrina cattolica della sacralità della vita da cui egli prende le distanze è una manifestazione eminente).

Da ciò l’importanza di Montanelli e l’importanza del libro di Filippo D’Ambrogi, che, in modo semplice e divulgativo, fa ciò che sinora nessuno aveva mai fatto in Italia, cioè soffermarsi in modo organico sul Montanelli “eutanasista convinto”, sino a presentarlo come un’ icona del diritto di morire, capace di offrire stimoli per una sempre attuale battaglia a favore di una coerente posizione laica, la quale, rifiutando ogni residua forma di assolutismo clericale (contestato ormai anche dalla maggioranza dei credenti) sia pluralisticamente in grado di garantire pari opportunità nelle scelte di fine vita a esseri umani che professano convinzioni diverse.

Un’ultima osservazione, che manca nei vari resoconti su Montanelli (compreso quello di D’Ambrogi) e che ritengo invece interessante aggiungere. Ossia che in questo caso chi parlava dell’eutanasia come di una “conquista di civiltà” era un liberale che non apparteneva certo alla cultura di “sinistra”, bensì a un’area culturale considerata di “destra”. A parte le etichette (contro cui lo stesso Montanelli metteva in guardia) è un fatto che in questo caso egli si mostrava più avanzato di parecchi esponenti della “sinistra”. Basti pensare che nel periodo in cui egli si atteggiava a “eutanasista convinto” e a “radicale assoluto” un noto studioso e figura di spicco del PCI come Giovanni Berlinguer ribadiva la consueta tesi secondo cui la funzione del medico “è quella di curare e aiutare a vivere, non di provocare la morte”.

Tutto ciò, anche in rapporto all’attualità politica e alla tematica dei diritti civili, merita di essere meditato e potrebbe – a mio giudizio dovrebbe – suggerire l’idea che il diritto di andarsene, di cui Montanelli ha rappresentato in Italia un pionieristico difensore, è qualcosa che non solo riguarda tutti ma che, al di là delle diverse appartenenze politiche, può essere fatto proprio da tutti.