Il proibizionismo russo ricatta gli USA

Brittney Griner

Il 17 febbraio 2022, una cestista statunitense che dal 2014 gioca per la squadra UMMC di Ekaterinburg, è stata arrestata in Russia per possesso di droghe. L’arresto è avvenuto all’aeroporto internazionale di Sheremetyevo esattamente una settimana prima della guerra all’Ucraina, quando le sono state trovate cartucce di vaporizzatori contenenti olio di cannabis – illegale nella Federazione russa.

Fin da subito alcuni diplomatici USA hanno ipotizzato la detenzione come leva contro le sanzioni occidentali imposte alla Russia per l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio. Griner è stata considerata un “ostaggio di alto profilo”. A conferma di questi timori, dai primi di luglio circola la voce che la Russia sarebbe pronta a scambiarla con Viktor Bout, noto come “Merchant of Death” (mercante di morte) che nel novembre 2011 è stato condannato a Manhattan per cospirazione per uccidere cittadini e funzionari USA, traffico di missili antiaerei e fornitura di aiuti a ‘organizzazioni terroristiche. Deve scontare 25 anni.

Il 7 luglio, seguendo il parere del team legale che la assiste, Griner si è dichiarata colpevole malgrado il suo medico curante avesse testimoniato di averle prescritto la cannabis per uso medico. Griner era stata sottoposta al test antidoping risultando negativa. 

La dichiarazione di colpevolezza non pone fine al caso, anzi! Potrebbe addirittura accelerare il procedimento a suo carico e creare le condizioni per cui lo scambio di prigionieri tra Mosca e Washington possa in effetti avvenire. Tutto dipende però dall’umore delle autorità russe perché l’ammissione di un’attività criminale rende difficile la qualifica di “ostaggio” perché, tecnicamente, siamo di fronte a un caso di ingiusta detenzione. Tra i precedenti più recenti ci sono potrebbero lasciar ben sperare – Trevor Reed, condannato a 9 anni per aver “aggredito” un poliziotto russo nel 2019 è stato rilasciato il 27 aprile 2022 in cambio del pilota russo Konstantin Yaroshenko condannato per narcotraffico.

Se da subito l’arresto dell’olimpionica di basket era sembrato politicamente motivato, sia dal fatto che il proibizionismo russo ha bisogno di pene esemplari sia perché si tratta di una cittadina statunitense, la richiesta di scambio di “prigionieri” conferma la qualità e le intenzioni del regime russo. La “guerra alla droga” è una guerra contro le persone  ma creazione di motivi per ricattare.

Per quasi 15 anni, a partire dai primi anni Novanta, Viktor Bout ha venduto armi in tutto il mondo. In alcuni periodi le forniva a gruppi terroristici e ai governi che li combattevano. Dalla Liberia al Kirgizistan, dal Congo all’Angola, dalla Bosnia alla Colombia, passando sempre per gli Emirati Arabi e la Moldavia, Bout è stato il corriere di riferimento per chi avesse bisogno di ottenere armi – armi che arrivavano da ex-repubbliche sovietiche che svuotavano arsenali e dalla Bulgaria. Dall’intervento USA in Afghanistan e l’invasione dell’Iraq, grazie alla cronica rivalità interna all’amministrazione americana e al sistema di sub-contractors istigato dall’Amministrazione Bush, Bout forniva aerei alla FedEx e ad altri gruppi che muovevano materiali per Washington nel “grande Medio Oriente”.

Come mai un governo intento a “de-nazificare” uno stato vicino vorrebbe scambiare un’atleta arrestata per possesso illegale di sostanze “leggere” sotto controllo internazionale con qualcuno che, per almeno un paio d’anni, ha trasportato cocaina dalle Ande e oppio o eroina dall’Afghanistan? La domanda è retorica ma è anche la risposta a chi ritiene che con Putin si possa, anzi si debba, negoziare la “pace” e a chi pensa che il proibizionismo abbia fallito.