Arlacchi riscrive la storia, e non solo la sua

Nei giorni scorsi Pino Arlacchi, che per un quinquennio ha guidato l’ufficio dell’Onu per le droghe e il crimine, ha criticato sul Fatto Quotidiano il referendum cannabis.

La prima volta in prima pagina, la seconda in una lettera al direttore. Al primo articolo ho risposto prima brevemente scrivendo a Travaglio, poi sul mio blog. Comprensibilmente la mia lettera di risponda puntuale al secondo intervento di Arlacchi non è stata accolta dalla redazione de il Fatto. La trovate qui sotto. Buona lettura!

  1. Arlacchi ha colto il senso del referendum cannabis: si tolgono le pene per le coltivazioni ma non per la trasformazione di piante in sostanze psicoattive. Si depenalizzano condotte legate alle “droghe leggere” e si elimina la sospensione della patente per possesso o uso di sostanze illecite. Considerata la protratta presenza di centinaia di stupefacenti in tutto il mondo, che le mafie nostrane aspettino di entrare nel business dell’eroina e cocaina, la cui produzione resta sanzionata, sol perché le materie prime sono liberamente coltivabili si commenta da sé.
  2. Usare informazioni trovate su un sito di marketing che vende memorabilia (o patacche) per dimostrare che 150 anni fa si coltivasse la foglia di coca in serre francesi non è sufficiente a dimostrare che sia possibile e/o redditizio farla crescere in Italia nel 2022. E comunque si trattava di vino aromatizzato, non di cocaina.
  3. Mi sono permesso di segnalare su twitter alle ambasciate di GB e USA quanto affermato da  Arlacchi circa l’essere l’impero di sua maestà un narco-stato e l’invasione dell’Afghanistan come causa del ritorno dell’oppio in quel paese (e nel mondo). Se riterranno opportuno forniranno ampi riferimenti fattuali e storiografici per controbattere. Sarebbe però interessante esplorare il ruolo di narco-monete giocato da oppio e cocaina (o composti chimici).

Che si tratti delle guerre del Mar Cinese del sud dell’800, delle guerriglie indocinesi, o le intricate alleanze degli USA con l’Iran contro l’Irak (affair Iran-Contras), oppure nell’armare i mujaheddin afghani fino ad arrivare al captagon che ha finanziato l’ISIS e ciò che ne resta, è indubbio che il proibizionismo abbia creato un enorme valore aggiunto a piante e derivati di per sé poveri.  Anche questo è uno dei crimini contro l’umanità che l’antiproibizionismo intende affrontare alla radice.