Contro la Matrix arlacchiana dei successi proibizionisti

Attenzione! Post, forse, un po’ lungo ;-)*

“Ognuno ha diritto alla propria opinione personale, ma non alla propria realtà personalizzata” è una delle citazioni ricorrenti quando ci si imbatte in qualcuno che ci spiega come stanno le cose inventandosele. Coniata dal Senatore democratico di New York Daniel Patrick Moynihan, non smette di confermare la sua attualità. Dai primi di dicembre, Pino Arlacchi – sociologo, già parlamentare (PDS e Ulivo), già eurodeputato (Italia dei Valori, poi PD) e già Direttore dell’Ufficio dell’Onu per le droghe e il crimine – è tornato ad attaccare chi vuole legalizzare la cannabis prima su il Corriere e poi su il Fatto

Avendo preso di mira il referendum della scorsa estate sarebbe stato difficile non rispondergli, intanto su il Fatto che lo aveva ospitato in prima pagina, e adesso qui. Poi si vedrà. 

Ero a Genova il 28 novembre scorso quando la Ministra Dadone e il Ministro Orlando hanno preso la parola alla VI Conferenza Nazionale sulle droghe organizzata dal Governo ma, contrariamente a quanto scritto sul Corriere il 6 dicembre scorso da Pino Arlacchi, non ho registrato consonanza tra i due né il loro aperto sostegno alla legalizzazione della cannabis. Ero a New York nel giugno del 1998 quando Arlacchi convocò una sessione speciale dell’Assemblea generale sulle droghe con lo slogan “un mondo senza droga è possibile in 10 anni”. Contrariamente a quanto auspicato dall’allora vice-segretario generale dell’Onu, dalle scuole medie alle carceri, il mondo è inondato da sostanze di ogni tipo. 

Sul Fatto del 31 dicembre Arlacchi ha scritto “se gli Stati Uniti non avessero invaso, nel 2001, un Afghanistan privo di oppio perché avevo obbligato i talebani a non farlo coltivare, l’obiettivo di eliminare le colture sarebbe stato raggiunto ben prima del 2008”. Testuali parole. Altro che poteri di Neo ci vogliono per interagire con chi vive in una Matrix del genere… 

Arlacchi è arrivato a sostenere che il referendum cannabis pare esser ispirato dal “papello” di Totò Riina perché darebbe il via alla coltivazione delle piante necessarie per produrre eroina e cocaina. A parte il fatto che le mafie l’avessero ritenuto economicamente redditizio e praticamente possibile l’avrebbero già fatto, il referendum lascia intatta la penalizzazione delle condotte necessarie per trasformare le piante in sostanze. Il papavero, non potenzialmente narcotico, può già esser coltivato in Italia – in passato lo era anche per motivi medici – mentre la coca, checché ne dica Arlacchi, non ha mai attecchito al di fuori della regione andino-amazzonica.

Arlacchi vuole creare il solito polverone di accuse labilmente verosimili tipiche dei complottisti (ancora non ha tirato in ballo Soros ma immagino che arriveremo anche lì) per nascondere i suoi insuccessi da massimo dirigente delle Nazioni unite riscrivendo la storia costellandola di “opportunità perse” dalle guerre per l’oppio a quella in Afghanistan per arrivare alle stragi per oppiacei negli USA.

Su una cosa concordo però con Arlacchi: in Italia non siamo in emergenza droghe. Malgrado inasprimenti di pene e campagne mediatiche terroristiche, la presenza delle sostanze psicoattive illecite nel nostro paese si è progressivamente auto-regolamentata. Un segnale di maturità della società italiana che chi la governa ha sistematicamente scelto di non cogliere per predisporre riforme strutturali approfittando del nuovo scenario con minori rischi e danni. 

La Conferenza di Genova ha, pare, finalmente preso atto di queste nuove dinamiche adottando una serie di raccomandazioni e suggerimenti che il Governo dovrà condividere col Parlamento affinché il Testo Unico sulle droghe 309/90 possa essere significativamente rivisto. In questa direzione vanno alcuni disegni di legge incardinati alla Camera, come quello di Riccardo Magi, e il referendum sulla cannabis che a settembre in pochissimi giorni ha raccolto le firme necessarie. 

Arlacchi conferma la sua storica contrarietà alla legalizzazione della pianta con esempi che però riguardano altre sostanze e si rifanno a esperienze lontane dalla nostra. Da una decina d’anni in effetti negli USA esiste una tragica e crescente emergenza oppiacei, una situazione drammatica che però è molto diversa da quanto descritto. Non esiste infatti alcuna libertà di drogarsi, esistono purtroppo campagne criminali di promozione di potenti antidolorifici e anestetici rivolte ai medici e a persone che hanno esistenze complicate che hanno concorso a policonsumi molto problematici. 

Dietro a questa epidemia ci sono veri e propri piani criminali ben strutturati – tant’è vero che a ottobre del 2020, Purdue Pharma, uno dei maggiori produttori di fentanyl degli USA, ha raggiunto un accordo di circa 8,3 miliardi di dollari ammettendo d’aver “cospirato e concordato consapevolmente e intenzionalmente con altri per aiutare e incoraggiare” i medici a dispensare farmaci “senza uno scopo medico legittimo”. La famiglia Sackler, proprietaria dell’azienda, pagherà altri 225 milioni di dollari di danni e la società verrà chiusa definitivamente.

Proprio come l’industria farmaceutica in alcune parti del mondo ha assunto tratti e comportamenti criminali così si sono trasformate le organizzazioni “mafiose”. Il riciclaggio del danaro ammassato negli anni, l’evasione o l’elusione tributaria, grazie anche al massiccio ricorso a paradisi fiscali, i capitali frutto di appalti pilotati e corruzione, racket, usura o i proventi di traffici transnazionali di sostanze illecite, esseri umani, rifiuti, armamenti, sfruttamento di manodopera e lavoro sessuale caratterizzano oggi le multinazionali del crimine che non hanno più bisogno di usare la violenza per controllare il territorio. Corruzione sistematica e tecnologie digitali hanno preso il posto della lupara bianca o dei sequestri di persona.

Piuttosto che punire chi usa cannabis, o rincorrere i pesci piccoli, sarebbe pi​​ù utile concentrarsi sulle cause del ricorso massiccio a sostanze potenti fornendo, intanto, un primo aiuto socio-sanitario per poi cancellare i pretesti che creano crimine – e comunque privilegiare la caccia ai criminali transnazionali. Meraviglia che dopo tutti questi anni Arlacchi ancora non se ne sia convinto insista addirittura con la penalizzazione dell’uso personale della cannabis.

*Per un ripasso delle gesta di Pino Arlacchi alle Nazioni unite si consiglia il capitolo “Marcotraffico” in Farnesina Radicale (Reality Book 2018) di Marco Perduca