Sul fine vita il Parlamento fa male a se stesso

Tratto dalla newsletter settimanale Robe di Cappato

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Lunedì l’aula (semivuota) della Camera dei deputati ha non-discusso la non-legge sull’aiuto a morire.

Non voglio dir male del Parlamento. L’aula è sempre vuota il lunedì mattina, si dirà. Né voglio farne una questione di moralismo sui Parlamentari brutti e cattivi. Non è questo il punto. Se un Parlamentare non è presente significa che non gli conviene essere presente. Non gli porta attenzione, visibilità, voti, altrimenti ci sarebbe. Non gli porta potere, neanche in senso buono, cioè di capacità di incidere nelle scelte pubbliche, altrimenti sarebbe felice di parteciperebbe. Andare a stanare i Parlamentari alla buvette e portarli per le orecchie in aula non servirebbe a nulla. È necessario dare una ragione perché convenga loro esserci. Sul fine vita è stato tutto impostato male alla radice.

L’aiuto al suicidio è già legge, in base alla sentenza della Corte costituzionale che mi ha visto assolto per aver aiutato DJ Fabo. Servirebbe una legge, certo, per definire le modalità di applicazione della sentenza, includendo tra gli aventi diritto anche quei malati terminali che però non sono attaccati a una macchina, ad esempio i malati di cancro, e per stabilire scadenze certe in modo da evitare che una persona come “Mario” tetraplegico da 11 anni resti per 15 mesi  in attesa di una risposta da parte del Servizio Sanitario nelle Marche.

Invece, il testo base di PD e M5S non aggiunge nulla a ciò che è già legge, se non qualche ostacolo fumoso tipo “obiezione di coscienza” e qualche restrizione rispetto alla sentenza della Consulta. D’altronde, l’obiettivo esplicito del relatore Pd Alfredo Bazoli è fermare l’eutanasia, il referendum e i ricorsi dei malati restringendo gli attuali diritti, e questo nonostante i tantissimi militanti e eletti Pd che hanno passato l’estate con noi a raccoglier firme. La discussione è stata fatta in gran fretta per poi rinviare la fase delle votazioni a gennaio, o magari anche a febbraio, o chissà quando.

“Ci sono migliaia di Mario che chiedono di vivere!” ha osservato l’Onorevole Bologna, come se Mario chiedesse di far morire qualcun altro. “Mario è una tattica dei radicali” ha svelato l’Onorevole Bagnasco. L’Onorevole Parisse ha portato oltre confine la visione dei colleghi, parlando di “omicidi senza consenso delle persone in Belgio e Olanda”, praticamente degli Stati canaglia. C’è chi ha parlato contro la “cultura dello scarto” e chi ha contrapposto il “favor vitae al favor mortis“. Poi è arrivata ora di pranzo, fine della discussione e rinvio a data da destinarsi.

Per le tante persone che vivono condizioni di sofferenza insopportabile, l’inconsistenza della proposta in discussione e il rinvio di ogni decisione non sono buone notizie. Ma le alternative almeno per loro esistono! Il referendum per la legalizzazione dell’eutanasia sottoscritto da 1.240.000 cittadini, le denunce e i ricorsi nei tribunali. Il danno peggiore, perché senza alternativa valida, è per il Parlamento stesso, condannato sempre di più alla marginalità e all’irrilevanza per l’incapacità di affrontare tempestivamente le grandi questioni sociali del nostro tempo. Da decenni scavalcato dai partiti con i loro conciliaboli segreti, dai Governi e dalle burocrazie con la loro decretazione a raffica, si riduce spesso a palcoscenico per selfie: alla ricerca della frase a effetto social, molti  rinunciano a convincere, figurarsi ad ascoltare.

Il giorno dopo questo lunedì da leoni,  il Governo ha annunciato la decisione di prorogare lo “Stato di emergenza” sul Covid-19. Ovviamente non c’è alcuna relazione diretta tra i due eventi. Se però dopo due anni di pandemia ancora il Governo considera che l’ordinaria distribuzione dei poteri può ostacolare decisioni rapide ed efficaci è certamente anche il risultato di una certa sfiducia nei confronti del Parlamento.

Ed è un cane che si morde la coda, perché se si marginalizza il Parlamento perché inefficace invece di investire tempo ed attenzione per farlo funzionare sarà sempre meno efficace e sempre più difficile da coinvolgere. Intanto, neanche quest’anno la legge di bilancio sarà davvero analizzata e emendata dai Parlamentari: il Presidente del Consiglio fa la proposta, media tratta con i capipartito le modifiche, le Camere ratificano.

Non è facile individuare soluzioni per invertire il declino del Parlamento, anche perché dovrebbero arrivare da quelle stesse forze politiche che l’hanno provocato e che ora forse si rendono conto che con la demolizione delle Assemblee hanno segato il ramo sul quale erano sedute. Alcune dei rimedi si conoscono: una legge elettorale in base alla quale gli eletti siano scelti dagli elettori e non dai capipartito; corsie privilegiate per la trattazione delle leggi di iniziativa popolare; dibattiti veri e collegati alle votazioni; autodifesa delle proprie prerogative nei confronti del Governo e dei partiti. Altre soluzioni si possono trovare, ma solo se si parte dall’idea che rinunciare a un luogo dove si discute pubblicamente prima di decidere è sbagliato e pericoloso.