Intervento di Filomena Gallo al webinar “La Salute globale richiede una Scienza globale: verso una coalizione per la promozione del Diritto alla Scienza

Questo webinar ha la giusta ambizione di voler inquadrare temi come la salute e la scienza nelle loro implicazioni relative ai diritti umani. Essa si riferisce sia agli obblighi internazionali che gli Stati hanno per aver ratificato trattati sui diritti umani sia alle azioni che la società civile può, o forse dovremmo dire deve, intraprendere per correggere le disattenzioni dei governi e i problemi che ne derivano.

Negli ultimi tre mesi abbiamo avuto un summit globale sulla salute convocato a Roma dalla presidenza italiana del G20, l’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e un G7 dedicato alla pandemia. Nella dichiarazione finale del G20 la scienza appare un paio di volte come formula di rito e non come componente essenziale per la ricerca di soluzioni che occorrono per la pandemia. Stessa cosa per quanto riguarda il G7 che ha sicuramente affrontato questioni importanti, come le licenze d’uso per la produzione dei vaccini. Non è infatti chiaro cosa sia stato deciso alla fine, o se siano stati presi impegni per far arrivare ai paesi più bisognosi un miliardo di vaccini – pur sapendo che si tratta di un decimo della cifra necessaria. 

Certamente non è stato accantonato alcun investimento specifico per moltiplicare gli sforzi di sequenziamento del virus o per la ricerca di altri vaccini, per non parlare degli investimenti in tutto il mondo per lo sviluppo di terapie antivirali oppure la necessaria attenzione alla salute mentale che troppo spesso dimentichiamo essere uno dei tanti problemi strutturali del nostro tempo che, anche a causa della pandemia, interessa milioni di persone in tutto il mondo. Da due anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità è comprensibilmente sotto stress ma anche lì non è nata l’esigenza di promuovere una sorta di spin-off che si interessi principalmente di ricerca. 

Eppure, e ce lo ricordava recentemente  il professor Guido Rasi, ex Direttore Generale dell’Agenzia europea per il farmaco (EMA) durante un webinar della nostra Associazione, se la ricerca fosse coordinata e distribuita in giro per il mondo potrebbe dare maggiori risultati in minor tempo tenendo conto delle necessità provenienti dagli angoli più remoti del globo e non solo dalle richieste “transatlantiche”. 

Idee e considerazioni di buon senso e buon governo delle emergenze che restano suggerimenti non colti. Pare ovvio, quasi banale, ricordare la centralità della scienza nel progresso umano. Eppure quando diamo per scontato alcuni ragionamenti o, appunto, delle ovvietà, col passare del tempo questi scompaiono dal discorso pubblico diventando temi per tecnici, per adepti, coi quali l’interlocuzione diventa difficile. A volte impossibile. 

Non si tratta di voler mettere in dubbio il lavoro della scienza, al contrario, o sullo stesso piano chi ha sviluppato un vaccino e chi non vuole farselo iniettare, si tratta di rendere quanto più trasparente e chiara la fruizione del prodotto della scienza in modo da poter consentire la costruzione di opinioni, e il disegno di leggi e politiche, sulla base di dati di fatto, delle famigerate “evidenze scientifiche”. 

Solo grazie a questa partecipazione, a questa condivisione e conoscibilità di quanto studiato si potranno avere decisioni che non solo saranno di buon senso ma che, soprattutto, rispetteranno i diritti umani. Per questo è importante dedicare tempo e risorse alla promozione della nozione che la scienza è un diritto umano e di farlo tutti insieme, come dice il sottotitolo di questo webinar “attraverso una coalizione per il diritto alla scienza”. 

Non mi soffermerò sugli elementi di questo diritto perché tra poco abbiamo una sessione dedicata a questo, ci tengo però a sottolineare che limitare la ricerca scientifica per motivi politici, etici o religiosi, imporre costi per l’accesso a studi oppure non finanziarne perché possono apparire marginali o perché si riferiscono a persone lontane da noi geograficamente non è semplicemente egoistico, è una vera e propria violazione dei diritti umani. 

Una violazione che nell’immediato reca danno a chi viene escluso da queste indagini e possibilità di conoscenza ma che nel medio e lungo periodo ha ripercussioni negative anche su di noi. Se proprio vogliamo essere egoisti siamolo fino in fondo. Scherzo ma a ben vedere anche questa potrebbe essere una chiave per comunicare certe ovvietà.

Vorrei fare un esempio di come la salute globale ha bisogno di una scienza globale, una scienza che sia inclusiva sia negli ambiti degli studi /che nelle aree geografiche dove questi sono portati avanti. Un paio di settimane fa l’Economist ha dedicato ben due pezzi a un’iniziativa che interessa l’Africa e il sequenziamento del DNA. Il continente africano è considerato la culla dell’umanità e i genomi africani contengono più variazioni genetiche di quelli di qualsiasi altro continente. Malgrado ciò solo il 2% di quella diversità genetica è stata studiata! 

Uno studio pubblicato su Nature a ottobre del 2020 ha reso note le analisi del sequenziamento dell’intero genoma di 426 individui, relativo a 50 gruppi etnolinguistici, comprendente popolazioni precedentemente non campionate, per esplorare l’ampiezza della diversità genomica in tutta l’Africa. 

Ebbene, i ricercatori hanno scoperto più di 3 milioni di varianti precedentemente non descritte, la maggior parte delle quali è stata trovata tra individui di gruppi etnolinguistici appena campionati. Tra le altre cose, l’Economist ricordava come alcune patologie, come la fibrosi cistica o la sordità congenita, potrebbero essere diagnosticate preventivamente se e quando questi studi saranno consolidati. 

Per distrazione, o egoismo, o pregiudizi che potremmo chiamare a ragione razzisti, per anni ci siamo disinteressati dell’Africa anche in questo campo sviluppando non solo medicine ma anche test diagnostici che non erano basati su dati relativi alle persone a cui queste innovazioni erano destinate! 

Per non parlare dei pregiudizi degli algoritmi alla base della stragrande maggioranza delle applicazioni dell’intelligenza artificiale o del riconoscimento facciale che discriminano positivamente o negativamente in base al colore della nostra pelle.

Non affronto la questione della salute riproduttiva o dell’inclusività e parità di genere nelle materie scientifiche perché ne abbiamo già parlato in altre occasioni e perché sappiamo che ci sono decine di organizzazioni che si stanno battendo in tutto il mondo perché quella che ormai è la maggioranza degli abitanti della terra, le donne, dopo qualche migliaio d’anni venga finalmente riconosciuta con pari dignità di interessi, accesso e opportunità. 

La disparità di genere è una gravissima violazione dei diritti umani, forse la più diffusa e sistematica nella storia dell’umanità, ce ne dobbiamo ricordare quando promuoviamo il diritto “della” e “alla” scienza. Un ultimo esempio che volevo fare, e che spero divenga uno dei temi centrali per le attività future che nasceranno dall’incontro di oggi, è quello dei dati. 

In un momento in cui i rapporti di forza e di potere a livello globale si basano sull’ incrocio tra biotecnologie e big data, dobbiamo ancora lottare per avere norme che regolamentino le prime perché i dati prodotti o recuperati da istituzioni e il settore privato vengano raccolti e aggregati con criteri scientifici ma non vengano tenuti nascosti al pubblico! 

Giusto per fare un esempio che riguarda il mio paese, l’Italia, abbiamo visto adottare raccomandazioni o imporre limitazioni della libertà personale sulla base di stime senza poter avere accesso a dati consolidati e disaggregati. Abbiamo sentito parlare di rischio calcolati senza che si potesse conoscere su quali numeri si basassero quei calcoli.

Gli esempi da fare a livello globale potrebbero essere tanti. 

Si pensi per esempio al recente Rapporto Mondiale sulle Droghe pubblicato delle Nazioni unite a fine giugno. Si tratta di un documento compilato con informazioni proveniente dalla metà degli stati membri dell’ONU. Possibile descrivere la dimensione di un fenomeno così pervasivo come quello degli stupefacenti senza sapere cosa succede a metà della popolazione mondiale? Manca tutto ciò che accade nel mondo arabo per esempio.

Un ragionamento simile andrebbe fatto relativamente ai censimenti. In molti paesi la pandemia ha bloccato o fatto rimandare i censimenti mentre altri studi statistici condotti con interviste di persona sono stati sospesi sine die per impossibilità di incontrare le persone. Riusciremo a recuperare questo tempo perduto? 

Possibile che la transizione tecnologica venga impiegata in tutto il mondo per trovare un taxi o ordinare la cena a casa e non per avere dati di qualità, raccolti in modo trasparente e aperto, magari anche partecipato, nel pieno rispetto della privacy? I dati, grandi o piccoli che siano, sono centrali per pianificare il nostro futuro. Sono anche uno degli obiettivi che il mondo si è dato per arrivare a uno sviluppo sostenibile entro il 2030. 

Il progresso scientifico ha innumerevoli applicazioni che si possono creare grazie a idee o esigenze locali. Alle piattaforme della cosiddetta “sharing economy” occorre affiancare anche la possibilità di produrre APP che possano aggregare open data per concorrere alla salute e al benessere pubblico dappertutto. Per tutti questi motivi, occorre avviare un percorso di cooperazione coordinata tra chi è interessato alla salute globale e il progresso scientifico. 

Il trattato contro le mine anti-uomo, la corte penale internazionale, l’abolizione della pena di morte, o la lotta ai mutamenti climatici sono diventati oggetto di dibattito istituzionale alle Nazioni unite perché delle coalizioni di Organizzazioni non-governative e persone di buona volontà per anni hanno insistito con argomenti giuridici, scientifici e di buon senso affinché i leader del mondo facesso il loro mestiere: rispettare il diritto internazionale che i loro antenati hanno contribuito ad adottare all’indomani della seconda guerra mondiale. 

Attivarsi per l’affermazione del diritto alla scienza va in quella stessa direzione. 

Buon proseguimento di dibattito!