Mina Welby intervistata da Micromega: “L’eutanasia legale è un atto di civiltà e giustizia”

Mina Welby circondata dai giornalisti

Intervista di Cinzia Sciuto

Al via la raccolta di firme per il referendum per legalizzare l’eutanasia in Italia. Ne parliamo con Mina Welby, presidente dell’associazione Luca Coscioni.

Mina Welby, il primo luglio con l’Associazione Coscioni inizierete la raccolta di firme per un referendum sull’eutanasia. Cosa chiedete esattamente?

Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice penale. Il quesito referendario propone di abolire una parte dell’articolo 579 in modo che non venga punito chi aiuta una persona maggiorenne e pienamente capace di intendere e di volere a porre fine alla propria vita.

Con il “Sì” al referendum infatti rimarrebbero naturalmente in vigore le disposizioni di legge che puniscono l’omicidio del consenziente “se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”.

In assenza però di una legge specifica, se vincessero i “Sì” non ci sarebbe il rischio di troppa indeterminatezza rispetto alle condizioni in cui si può accedere all’eutanasia?

Naturalmente avere una legge ad hoc sarebbe l’ideale. Noi abbiamo depositato una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema già nel 2013. Ma poiché evidentemente il parlamento non ha trovato modo e tempo in tutti questi anni di occuparsene, abbiamo pensato di dare la parola ai cittadini. Il rischio paventato comunque non c’è perché con la Sentenza Cappato la Corte Costituzionale ha stabilito che non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Condizioni molto precise che non lasciano margini per abusi.

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