Processo Trentini, la Corte d’Appello di Genova assolve Marco Cappato e Mina Welby

Processo Trentini, Cappato Welby assolti

Processo Trentini, Cappato e Welby assolti anche in appello per l’aiuto fornito a Davide Trentini a raggiungere la Svizzera, dove ha ottenuto il suicidio assistito

Dopo essere stati assolti dalla Corte di Assise di Massanel Processo Trentini, Marco Cappato e Mina Welby hanno ottenuto sentenza di assoluzione a conferma della sentenza di primo grado. La condizione di Davide Trentini (non dipendente da presidi sanitari ma mantenuto in vita da terapia farmacologica affetto da patologia irreversibile nella piena capacità di autodeterminarsi) rientra nei requisiti della sentenza Cappato 242/2019 della Corte costituzionale.

Il Pubblico ministero di Massa tra l’altro, nel proporre appello, aveva dubitato della sussistenza di tale requisito. Motivo per cui aveva chiesto la condanna di Cappato e Welby, imputati per i reati di istigazione e aiuto al suicidio.

Quattro anni fa avevano fornito assistenza al malato toscano nel raggiungere la Svizzera dove ricorse al suicidio assistito. A seguire si autodenunciarono per affermare un diritto fondamentale a una dolce morte anche per le persone nelle sue condizioni (dipendente da trattamenti di sostegno vitale, ma a differenza di DJ Fabo ‘non dipendente da una macchina’).

L’azione nonviolenta era volta anche a denunciare l’inerzia del Parlamento, che non legifera in materia e non discute la legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia depositata dalla stessa associazione alla Camera dei deputati otto anni fa, con oltre 140mila firme.


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Già nello scorso luglio Welby e Cappato furono assolti dal Tribunale di Massa (città natale di Trentini) dal reato a loro ascritto di istigazione e aiuto al suicidio, perché il fatto non sussiste (quanto alla condotta di rafforzamento del proposito di suicidio) e perché ‘il fatto non costituisce reato’ (quanto alla condotta di agevolazione dell’esecuzione del suicidio).

La Corte evidenziò che il requisito dei “trattamenti di sostegno vitale”, indicato dai Giudici della Corte Costituzionale con la sentenza 242/19, non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza “da una macchina”, ma si riferisce a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici, compresi anche la nutrizione e idratazione artificiali.

In questo caso, il trattamento di sostegno vitale è e ‘deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida (Cf pag. 31 sentenza)”.

Ad ottobre 2020, poi, il Pubblico ministero di Massa aveva deciso di ricorrere in Appello contro l’assoluzione.

“Con questa sentenza si stabilisce un precedente importante – dichiara Marco Cappato,  – ma ci sono voluti 4 anni, 9 udienze per arrivare alla conferma di tale diritto. I malati terminali non possono aspettare. Noi intanto andiamo avanti. A causa dell’inerzia della politica ora abbiamo deciso di depositare un referendum, che ci porterà nelle piazze italiane tra luglio e settembre, e a quel punto saranno direttamente i cittadini italiani a scegliere tra l’eutanasia clandestina che c’è e l’eutanasia legale che chiediamo.

Continuano le persone a contattarci perché questa è una realtà sociale molto diffusa e per questo motivo abbiamo appena lanciato un Numero bianco (0699313409) che le persone possono chiamare per essere aiutate dai nostri volontari ad affermare i propri diritti”.

“Un risultato importante – esulta l’Avv. Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatore del collegio di difesa di Welby e Cappato -. Noi chiediamo che vengano stabilite delle regole certe, scenario possibile solo con la legalizzazione dell’eutanasia, un impegno dovuto a tutte le migliaia di italiani che adesso vivono questa urgenza. Stiamo seguendo altri casi, di persone che hanno ricevuto il diniego dall’Asl a procedere con il suicidio medicalmente assistito in Italia anche se in possesso di tutte le condizioni previste dalla Consulta, perché il Parlamento di rifiuta di assumersi la responsabilità nonostante due richiami della corte. Una legge garantisce certezza e diritti”.

“Non fermiamo la nostra azione. Ci sono persone – continua Gallo – che soffrono e sono escluse da questi requisiti, come ad esempio i malati oncologici terminali, per questo andiamo avanti e depositato il quesito referendario parzialmente abrogativo dell’articolo 579 del Codice penale, sul cosiddetto omicidio del consenziente, l’unica fattispecie che nel nostro ordinamento assume un ruolo centrale nell’ambito delle scelte di fine vita, dal momento che non esiste una disciplina penale che proibisca in maniera espressa l’eutanasia. In assenza della menzione stessa del termine “eutanasia” nelle leggi italiane, la realizzazione di ciò che comunemente si intende per eutanasia attiva (sul modello olandese o belga) è impedito dal nostro ordinamento”.