La Convenzione unica del 1961 sugli stupefacenti è un fallimento storico perché reprime solamente

Partecipo volentieri a questa iniziativa di Matteo Mainardi sia per la mia personale esperienza di “coltivatore” domestico di cannabis sia perché la possibilità di poterne usufruire per scopi medici potrebbe diventare necessaria alla mia condizione di malato di SLA, visto che scientificamente è dimostrata la sua utilità nel trattamento delle conseguenze più devastanti della patologia e nel rallentare il suo progredire. Questo aspetto è una speranza ulteriore per evitare la condanna alla tracheotomia e al continuare la propria esistenza attaccati a un respiratore. 

Anche se in fin dei conti, è gran parte della cronaca quotidiana a dimostrare quanto ormai siano desueti e dannosi molti dei principi e delle intenzioni contenuti nella Convenzione unica del 1961 sugli stupefacenti, tanto da poter parlare di un fallimento storico, soprattutto perché si associa ad un approccio puramente repressivo.

Non c’è stata alcuna diminuzione nella diffusione delle sostanze stupefacenti e quindi dei danni da esse arrecati, in particolare perché più che di lotta alla droga andrebbe raccontata di una guerra alle persone che fanno uso di droghe. Le conseguenze sono state terribili, con gravi violazioni dei diritti umani in nome di questo falso interesse superiore e con il continuo foraggiamento delle organizzazioni criminali dedite allo spaccio o al controllo della produzione degli stupefacenti.

Inoltre è sempre più necessario porre in essere una distinzione fra i diversi tipi di droghe, un principio di recente fatto proprio dalle Nazioni unite, il 2 dicembre 2020 la cannabis è stata tolta dalla lista delle sostanze dannose; l’Italia ha votato a favore, ma nel nostro ordinamento non è stato ancora recepito nulla. Anche in questo caso, come in generale per tutti i diritti civili che accrescerebbero la libertà di ciascuno senza nuocere a nessuno tutto tace. Il mondo va in un’altra direzione, basti pensare che anche negli Stati Uniti è un corso un dibattito per legalizzare l’uso ricreativo della cannabis, già consentito in alcuni stati.

Si tratta di saper bene che direzione prendere, non mancano infatti proposte di legge, provenienti da una ben definita parte politica, che vorrebbero ancor di più criminalizzare chi fa uso di droghe, anche leggere, con conseguenti devastanti se divenissero approvate.

L’alternativa è invece impegnarsi fin da ora in un cambio di prospettiva, sovranazionale e nazionale, a partire dal sostegno della proposta di legge che depenalizza invece l’auto coltivazione della cannabis, una legge di civiltà. Spero che dalle parole si possa passare ai fatti, considerato l’intenzione del Presidente della Commissione Giustizia della Camera di metterla al più presto ai voti, in modo da iniziare a fare i conti sul serio proprio sulle conseguenze di quel fallimento probabile ed epocale della convenzione ONU sulle sostanze stupefacenti.