Quando sei mesi fa l’anestesista mi ha prescritto finalmente la cannabis medica, ho pensato che fosse un traguardo. Invece era una partenza, il primo passo di un percorso travagliato e pieno di ostacoli.
L’odissea di chi ha diritto alla cannabis medica inizia con la ricetta. Quella bianca (farmaco a pagamento) non può essere ripetibile, quella rossa (farmaco rimborsabile) non può essere dematerializzata. Perciò il paziente, sfinito dalle sofferenze, deve arrivare allo studio medico per richiederla, poi ritirarla e infine cercare una farmacia che sia in grado di preparare il medicinale.
Dopo trent’anni di dolore cronico causato da una malattia rara autoimmune e da una cefalea invalidante, dopo il cancro e i danni alle ossa dovuti alla terapia antitumorale, dopo essere arrivata al mio cinquantesimo compleanno con le limitazioni e i dolori di una grande anziana, ho cominciato a chiedermi se la mia vita valesse la pena. E mi sono risposta di no. L’idea del suicidio, lucida, ponderata, liberatoria, prendeva forma ogni giorno, diventando un progetto. Finché ho voluto tentare con la cannabis medica, affidandomi al centro di terapia del dolore dell’Ospedale Niguarda.
Ma presto sono iniziate le difficoltà. Il Bediol dura appena 30 giorni e può essere preparato solo da una farmacia con annesso laboratorio galenico, in poche lo fanno. E non riescono mai a soddisfare tutte le richieste. Ogni mese è una corsa contro il tempo, una gara a chi arriva prima, se la prendo io non la prenderà il paziente dietro di me. O viceversa.
Io con la cannabis medica sono passata da cinque/sette attacchi di cefalea alla settimana, a due attacchi al mese. Nessuna terapia, per quanto potente, mi ha dato un simile beneficio. Posso alzarmi dal letto ogni mattina senza il timore di dover trascorrere la giornata al buio, con fitte lancinanti nel cranio, nausea, vomito e tremori. Posso sopportare tutti gli altri dolori, per quanto forti, posso vivere in autonomia, posso persino riposare la notte. Adesso, con la seconda ondata di Covid e nuovi lockdown in molti paesi compresa l’Olanda, ho paura. Riuscirò a continuare la terapia?
Riusciranno gli altri pazienti? Riuscirà chi soffre di sclerosi multipla, metastasi ossee, sindrome di Tourette, anoressia nervosa, fibromialgia?
A differenza di quello che troppi pensano, il dolore fisico non è formativo. Non ci rende migliori, non ci apre le porte della conoscenza o del Paradiso. Il dolore ci logora, ci consuma con metodo. Ci ruba la dignità.
Il dolore trasforma il nostro corpo in una prigione.
Abbiamo bisogno di tornare liberi. Abbiamo bisogno di aiuto.
Mara Ribera
Cannabis terapeutica in numeri
2006
l'anno da cui è legale la cannabis terapeutica in Italia
500
i chilogrammi che lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze è autorizzato a produrre
1000
i chilogrammi necessari a colmare il fabbisogno di cannabis terapeutica stimato in Italia per il 2020