La scienza e il giudce: una brutta pagina del Consiglio di Stato

Il caso è noto: due ricercatori italiani, dopo severa valutazione, vincono il finanziamento europeo per un progetto che ha l’obiettivo di recuperare le funzioni visive di persone vittime di danni cerebrali o di di ictus. La ricerca tanto è importante quanto – per definizione – sperimentale: in questo caso deve sperimentare, necessariamente, su non umani, in particolare sui macachi, primati non umani ma a noi simili, per indagare il livello neuronale, le possibilità di recupero cerebrali e della vista.

Sappiamo che la sperimentazione scientifica sugli animali è sottoposta a requisiti e verifiche severi. Nel nostro caso, dopo due pronunciamenti favorevoli del Tar, il Consiglio di Stato per altrettante volte sospende il progetto, e richiede nuove indagini “tecniche”.

Vi è chi dichiara di amare tanto gli animali da essere disposto a sacrificare gli umani al posto loro. Se sacrificasse se stesso, la questione sarebbe di minor momento, ma quando il sacrificio è imposto alla collettività è doveroso delimitare con attenzione e rigore la possibilità dell’intervento giudiziario.

A prima vista, tutto dovrebbe esere chiaro: basta, ed è solo un esempio, la nettissima indicazione della Corte Costituzionale che, con la sentenza 151 del 2009, indicò esplicitamente come la scienza goda di un rilievo costituzionale che ne difende l’autonomia.

Ma un atteggiamento antiscientifico, presunto protettore della natura e degli animali, circola, ed usa il pendolo della speranza e del dubbio. Ricordiamo tutti le vicende Di Bella, Stamina, con purtroppo anche giudici che sostenevano il
diritto alla speranza ed alla possibilità, all’insegna del non si sa mai, se si ottenesse il miracolo… Un sentimento fiabesco è umanamente comprensibile, il rigore della conoscenza che ci dice come dolori e morte non siano evitabili suona indigeribile alle orecchie di chi propaganda il sogno come fosse realtà.

Lasciati però i sogni a che vuol loro credere, nella applicazione della legge le fantasie non devono trovare riconoscimento. Nell’ordinanza del 9 ottobre del Consiglio di Stato, invece, questo purtroppo avviene, con l’uso del meccanismo – di apparente buon senso spicciolo, e sensibilità – che si riassume nell’ espressione: ma non si può fare in altro modo? Non si possono evitare le sofferenze di questi animali? Abbiamo la certezza che non esistono alternative? Intanto si sospendono gli studi e i chiedono nuove verifiche.

Qui sta il punto. Proprio perchè si tratta di di ricerca scientifica , non c’è, perchè non ci può essere, la certezza assoluta dell’esattezza di ciò che si fa. L’errore logico è mascherato, ma netto: sostituendo il sogno e la speranza (si fa ricerca, ma non soffre neppure una zanzara) alla prudenza scientifica (tutte le norme sono state rispettate, nel nostro caso) si ottiene sempre e necessariamente una risposta negativa. Dunque, se non si deve fare ricerca fino a che non avremo l’assolutezza della esclusione di astratte possibilità alternative, fermiamoci e che la natura faccia il suo corso.

Sia charo. Qui si tratta evidentemente di pretesti. L’integrismo animalista equipare i viventi, non ammette ricerca sugli animali per nessun motivo. Ma quella che pericolosa, che va riconosciuta e contrastata, è la cultura strumentale che viene utilizzata. Pretendere l’assoluto è fede, non scienza, ma se si pone l’assoluto quale criterio per consentire lo sviluppo degli studi scientifici la ricerca – che non può per sua natura disporne – deve arrestarsi.

Al contrario, il progresso della libera ricerca, che è e rimane un valore costituzionale, deve essere difeso da un tracimare del sindacato giurisdizionale di istituzioni che (ovviamente) non posso avere alcuna competenza tecnica; ma possono essere vittima del contagio del morbo del sapere senza dolore, come è successo al Consiglio di Stato.