Editoriale di Filomena Gallo per l’Espresso
A 42 anni dall’entrata in vigore della legge 194, che riconobbe il diritto di decidere se interrompere o portare avanti una gravidanza senza commettere un reato, il corpo delle donne continua ad essere sotto attacco. Ancora peggio, è diventato un vero e proprio terreno di scontro, su cui alcuni pensano di poter esercitare potere e avanzare pretese. La libertà di scelta, il diritto all’autodeterminazione conquiste fondamentali che credevamo fossero tutelate da una legge di Stato basata su diritti costituzionalmente rilevanti, leggi del nostro ordinamento che non vengono rispettate – sono costantemente in pericolo.
A 42 anni dall’entrata in vigore della legge 194, un diritto, quello di abortire, si trasforma ancora troppo spesso in una tortura, in un percorso ad ostacoli, fatto di attese infinite, leggi violate, traumi e umiliazioni. E la classe politica non può continuare ad ignorare che in Italia esiste un problema di mancata (e corretta) applicazione di questa norma, che ha il merito di aver cancellato la piaga degli aborti clandestini, tutelando la salute fisica e psicologica della donna.
Una classe politica spesso convinta di avere il potere di “normare” le nostre esistenze, riportando il Paese indietro nel tempo di 50 anni e facendo pagare un caro prezzo alle donne e al loro corpo. Una legge c’è e – anche se dovrebbe essere aggiornata in molti punti, per riconoscere maggiormente il diritto all’autodeterminazione – deve essere rispettata.
Nel 2020 sembra ancora esserci un perenne tribunale dell’inquisizione pronto a giudicare le donne per le loro scelte. Come è successo a Sara (nome di fantasia) che in questi giorni è ripiombata nel suo doloroso passato, dopo le notizie degli ultimi giorni sui cosiddetti cimiteri dei feti. La storia di Sara e quella di suo marito iniziano con un grande desiderio, quello di diventare genitori. Ad ogni esame pre-natale del feto, però, il referto era sempre lo stesso: malformazioni incompatibili con la vita. E ogni volta, la gravidanza veniva interrotta con interruzione volontaria.
Sara e Gabriele non hanno mai rinunciato al loro sogno e hanno portato avanti la loro battaglia – poi vinta – contro quei divieti italiani che impedivano ad una coppia fertile di accedere alla procreazione medicalmente assistita per poter eseguire indagini diagnostiche sull’embrione prima del trasferimento in utero. Grazie all’abbattimento di quei divieti in tribunale, oggi, Sara e Gabriele hanno una bellissima bimba di 4 anni. Le recenti notizie delle sepolture dei feti, avvenute a insaputa di diverse donne, hanno però riportato Sara indietro nel tempo, a quei giorni durissimi di ricovero, quando persone sconosciute, che non erano né medici e neppure personale dell’ospedale, entravano nella sua stanza, chiamandola assassina.
Un dolore indelebile a cui oggi si è aggiunta l’angoscia di poter trovare anche il proprio nome su una di quelle croci, la possibilità che qualcuno abbia deciso, al posto suo e senza il suo consenso, cosa fare del feto. In base alle norme italiane, questa pratica è di fatto giuridicamente permessa da tre piccole paroline: nel regolamento di polizia mortuaria è infatti previsto che entro 24 ore dall’aborto, i parenti o “chi per essi” possono procedere alla richiesta.
Ovviamente chi vuole è libero di procedere con la sepoltura, ma chi, rassicurato dal fatto che è l’ospedale ad occuparsi del dopo aborto e non vuole procedere con battesimo e sepoltura, ha il diritto di non subire decisioni altrui, a propria insaputa, vedendo peraltro la propria privacy gravemente violata. Con l’Associazione Luca Coscioni potremo ritornare nei tribunali anche in questo caso, ma anche su questo il governo dovrebbe intervenire immediatamente, stabilendo che vi sia una procedura che non veda l’immissione di terzi non autorizzati dalla donna a ritirare quel feto, soggetti che si sostituiscono all’unica persona che in quel caso può decidere del dopo aborto: la donna.
Non si può permettere che vengano calpestati i principi fondanti della nostra democrazia e delle nostre libertà, alla base dei quali deve esserci, sempre e ad ogni costo, il rispetto della volontà della persona, perché nessun altro possa decidere al suo posto.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.