Fine vita, riparte il processo per Cappato e Welby sul caso Trentini

foto con Trentini Cappato Welby

L’8 luglio si terrà a Massa una nuova udienza del processo che vede imputati Marco Cappato e Mina Welby per l’aiuto al suicidio prestato a Davide Trentini.

L’esito del processo non è scontato, nonostante la sentenza del 24 settembre 2019 della Corte Costituzionale abbia depenalizzato il suicidio medicalmente assistito in Italia. Davide Trentini infatti, a differenza di Dj Fabo, non era collegato a trattamenti di sostegno vitale.

La storica sentenza della Corte ha infatti limitato i casi in cui l’aiuto al suicidio non costituisce più reato all’ipotesi in cui si sia in presenza di “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Se tre di queste condizioni ricorrono nel caso di Davide Trentini (patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili e capacità di intendere e volere), quella che manca è la quarta condizione prevista: Davide soffriva, ma non era dipendente da macchinari. Trentini era affetto da una sclerosi multipla che trasformava progressivamente la sua vita in un calvario. In Italia avrebbe avuto diritto al suicidio medicalmente assistito, ma solo attendendo l’evolversi della sua malattia fino al punto di vedersi costretto ad essere intubato. Solo a quel punto, con un nonsense giuridico e politico, i medici lo avrebbero potuto aiutare a liberarsi delle sue sofferenze.

Fu così che Davide decise di metter fine a quelle sofferenze optando per il trasferimento in Svizzera. Contattò l’Associazione Luca Coscioni e con l’aiuto di Mina Welby partì per attraversare il confine, grazie anche all’aiuto economico fornito da Marco Cappato.

Per questo motivo il processo di Massa ha un valore ulteriore rispetto al precedente Cappato/Dj Fabo: si tratterà di capire se prevarrà un criterio “oggettivo” di dignità della vita (vedi il criterio della presenza di trattamenti di sostegno vitale) o invece, quello che auspichiamo, un criterio “soggettivo” che demanda qualunque decisione alla valutazione del diretto interessato.

Torna perciò in gioco il diritto all’autodeterminazione individuale: a chi appartiene la nostra vita? E chi, dunque, è titolato a decidere se sia degna o no di essere vissuta? La sentenza di Massa è chiamata a fare chiarezza su un caso singolo, ma farà strada per tanti altri che seguiranno.

Se l’estensione della possibilità di offrire aiuto a persone che si ritorvano nella condizione di Davide spetterebbe al legislatore, dobbiamo constatare come fino ad ora il Parlamento non ha fatto altro che qualche giornata di audizioni degli esperti, senza nemmeno arrivare alla formazione di un testo base su cui incardinare un dibattito sul tema.