Una “parabola” su come affrontare una zoonosi dal punto di vista veterinario

Articolo di Sergio Giordano, veterinario iscritto all’Associazione Luca Coscioni, per il Corriere di Romagna

Oltre mezzo secolo è passato  da quando entrai ,per la prima volta, come studente di “città”, alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna. 

 I miei docenti,fin dalle prime lezioni , si preoccuparono di formare in noi un valido approccio scientifico nei confronti delle Zoonosi , malattie trasmissibili dagli animali all’Uomo, perché  contro queste patologie ed epidemie ,sapevano che avremmo lottato in prima linea nella futura professione.  

Il Veterinario ,in Scienza e Coscienza,ci dicevano, se non avesse applicato e fatto applicare  le buone pratiche anti contagio  ad ogni più piccolo sospetto di malattia diffusiva, doveva ben conoscere,anche penalmente, a quali conseguenze si sarebbe trovato suo malgrado.

Il Regolamento di Polizia Veterinaria (D.P.R. 8 febbraio 1954) , a distanza di tanti anni, resta ancora, per noi veterinari e per tutti coloro che sono deputati alla tutela della Salute Pubblica,  un vero testo guida,  dal quale ,negli anni successivi, sono nate tutte le altre direttive ,sia regionali che nazionali, utili per affrontare  le  epidemie di origine animale.  

La Vigilanza Veterinaria Permanente rappresenta quindi  un importante strumento che, affiancato ai vari piani di intervento specifici, permette di contrastare un agente patogeno, più o meno conosciuto, che arriva a minacciare sia la salute animale che quella umana.

Le Malattie Infettive, spesso, sono  subdole, striscianti,anonime, e fra queste merita di venire ricordata ,a mio avviso,  la  Psittacosi (agente infettivo simile ad un  batterio di nome Clamidia) che nell’uomo  può essere più o meno grave , manifestandosi come un’influenza, talora, soprattutto fra gli anziani, in una grave forma generalizzata, con polmonite e sintomi neurologici.
Una malattia  trasmessa da uccelli domestici e selvatici dove l’uomo s’ infetta inalando le Clamidiae disperse nell’aria dai volatili, di solito portatori sani asintomatici. 

I miei vecchi professori   spiegarono a noi giovani studenti che la  febbre Maltese o febbre Ondulante (batterio non virus)  sarebbe stata un’altra possibile nostra malattia professionale …. come del resto,  obbligarono a  vaccinarci  contro il Tetano prima di farci visitare i cavalli della Facoltà, specialmente  durante una colica intestinale, e ancora li ringrazio perché ,nei primi anni, della professione, ebbi due incontri molto ravvicinati  con cavalli colpiti dal tetano che guarirono con molte difficoltà. 

L’ evitare che un batterio, virus, protozoo, micoplasma …. ti infetti in modo accidentale  e  che tu lo possa introdurre in famiglia penso che rappresenti uno dei principi  fondamentali da seguire per qualsiasi figura professionale sanitaria. 

Come del resto  il divieto  totale di fumare in ambiente insalubre è un ottimo stile di vita, associato alla buona regola  di avere sempre a disposizione  una ampia  scorta di calzari, tute, copricapi , mascherine usa e getta  e occhiali protettivi ( da ferramenta) e il sapone ,sempre a portata di mani. 

Queste sono dotazioni da tenere a spese proprie  o da pretendere , non quando scoppia una pandemia, ma  quando si opera nella normale pratica quotidiana anche in assenza di pandemie.  

Dare buoni consigli e non solo cattivi esempi dovrebbe essere l’obiettivo di ognuno di noi ,anche se, spesso, non vengono apprezzati, ogni volta che vengono visti   solamente come “divieti” deleteri per l’economia e la tranquillità di un Comune, di una Provincia, di una Regione, di un Paese ….. e di una Azienda. 

Ricordo bene, che  per una epidemia di Leptospirosi nella Valmarecchia ,tanti anni fa, quando ancora non si sapeva dell’agente infettivo ma solamente che stavano morendo delle persone che avevano fatto il bagno in una pozza d’acqua, fece scalpore quando  misi il divieto agli operai della azienda avicola integrata anche di lavarsi i denti con l’acqua dei laghi dove si rifornivano i servizi igienici degli spogliatoi. 

 In medicina veterinaria,specialmente per gli allevamenti intensivi, si è sempre riservata particolare attenzione   ai virus, specialmente  quelli che si presentavano come  “velogeni” ad alta mortalità e sempre con medesimi quadri anatomopatologici. 

Come del resto  grande meraviglia nasceva,  quando ,riuscendo ad isolare un nuovo virus sconosciuto su campioni inviati presso l’Istituto Zooprofilattico di Forlì ,  si scopriva   che esisteva, in qualche parte del Mondo, anche il  relativo Vaccino “non ancora registrato” ma già utilizzato,  non a scopo compassionevole,  ma per ridurre i danni economici e rimanere,così, sul mercato ,nazionale ed estero, dove tutti sanno che in una corsa al massacro  vincono e sopravvivono  solo “tutti” quelli che riescono ad arrivare in piedi  al traguardo! 

 Il mio vecchio e valente datore di lavoro ,che ho sempre stimato come un vero “armatore” di una  medesima barca ,quando si presentavano  questi  focolai sospetti,  nelle numerose riunioni aziendali di crisi, ci  esortava sempre dicendo : “Dottori ! Voi siete preparati e parlate molto bene ma Noi imprenditori dobbiamo saper fare di conto e quindi se per i nostri  animali ci sono dei sospetti  di una malattia sconosciuta  chiamate i professori di cui vi fidate , andate a vedere in casa d’altri ,dove c’è il problema e se lo ritenete giusto recatevi  anche in Cina o in Usa dove mi state segnalando che  è nato  il primo focolaio, prima che arrivi da noi !!!!“ (in perfetto stile e dialetto romagnolo). 

La prima epidemia di influenza Aviare (o aviaria) ,dove tanti di noi veterinari siamo  stati in prima linea  24 ore su 24, anche nel giorno di Natale ,  ci fece  ben sperare che tutto quanto era stato fatto per bloccarla venisse tradotto in un Piano contro le Pandemie certi che questo utile protocollo potesse servire  per non trovarci impreparati anche per altre epidemie mortali per l’Homo Sapiens . 

Purtroppo  la Pandemia da Covid19 ,dove il virus circolava indisturbato tra noi molto tempo prima della scoperta del “paziente zero”, ha dimostrato il contrario.  

Avrei molto apprezzato se il nostro Ministero della Salute  nella sua Unità di Crisi avesse messo in prima linea con i Medici Umani  anche la Medicina Veterinaria, perché la  visione scientifica,non burocratica, abbinata all’esperienza acquisita sul campo  in tutti i settori dell’allevamento zootecnico avrebbe aiutato molto ad affrontarla e anche a prevenirla con le buone pratiche di sanificazione ambientale ben conosciute e applicate in corso di epidemie influenzali animali.  

Per chiudere questo racconto  di vita vissuta  vorrei evidenziare   che anche  l’Uomo, quello  molto istruito e del mondo occidentale, che ama sottolineare di non  appartenere ad una Società sottosviluppata,   riuscì a diffondere un morbo ,senza andare al mercato di Wuhan. 

Mi riferisco alla Mixomatosi (malattia dei conigli sostenuta da mixoma- virus ). In Francia  questo virus  fu introdotto nel giugno 1952  dal batteriologo Dr. Paul Armand Delille  , per liberare la sua tenuta privata dai conigli . Questo signore  inoculò con il virus  due  dei conigli sulla sua terra. E così in quattro mesi il virus si  diffuse a 50 km …..

Nel 1954, il 90% dei conigli selvatici in Francia erano morti. Così la malattia si diffuse in tutta Europa. Un effetto terapeutico  diffusivo “molto poco da gregge”   quando non esisteva ancora la Globalizzazione. Concludo con un grazie particolare,ancora una volta, al giornalista scientifico David Quammen che con il suo libro “Spillover”, pubblicato nel 2012, aveva dato la possibilità a tanti virologi, che in tv  fanno affermazioni scientifiche poi smentite, nelle settimane successive,  su un virus che nella loro premessa dicevano  a tutti noi che  “stiamo parlando di un virus poco conosciuto” per loro ,naturalmente.