Legge 40 e Convenzione di Oviedo: se “13+13=guai”

Donna incinta in bianco e nero

Ci sono varie cose che non vanno bene nella legge 40/2004 che regola la procreazione medicalmente assistita. Qui mi voglio soffermare sulla prima parte dell’articolo 13. 

L’articolo 13 della legge 40/2004 al primo comma recita:

È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano.

Poi, in modo un po’ strano rispetto al primo comma, prosegue con il secondo:

La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative.

Dopodiché continua con il terzo comma:

Sono, comunque, vietati:

la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge;

ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo;

Seguono poi altri commi, spesso dogmatici. 

Non starò qui a ribadire la necessità di cambiare tale articolo per legalizzare gli esperimenti sugli embrioni, necessità sostenuta dall’associazione di cui faccio parte e che condivido pienamente.

Mi permetto, invece, due osservazioni.

La prima: 

I concetti di “finalità diagnostiche e terapeutiche” e “salute dell’embrione” sono  scientificamente sbagliati e fuorvianti e sono stati introdotti dai fautori della legge 40/2004 per imporre e far passare nell’opinione pubblica l’idea falsa che l’embrione e l’ovulo fecondato siano una persona. All’embrione manca una caratteristica essenziale, sebbene non sufficiente, per esserlo: essere un essere senziente. 

Termini come “diagnosi”, “terapie” e “salute” riguardano un organismo (già) sviluppato poiché è in questo che le malattie si esplicano. Perciò tali parole, nella nostra specie, riguardano le persone, non gli embrioni. Per quanto riguarda, invece, la procreazione medicalmente assistita eseguita allo scopo di evitare la trasmissione di varianti genetiche o cromosomiche patologiche i termini più corretti sono “analisi”e “prevenzione”1

Gli interventi genetici clinici richiamati dalla legge dovrebbero essere volti alla salute del nascituro e della discendenza e non alla difesa dell’embrione.

Ritengo che già qui l’articolo 13  della legge 40 dovrebbe essere corretto.

La seconda:

Per come sono scritti i commi dell’articolo 13 della legge 40 già oggi in Italia sarebbe lecito alterare geneticamente cellule germinali e ovuli fecondati per poi procedere al trasferimento in utero di embrioni geneticamente modificati.

Oggi però sarebbe imprudente farlo perché la ricerca sulla modifica genetica della linea germinale è ancora molto lontana sia dal garantire con sicurezza che l’intervento non abbia esiti dannosi sia dal garantire sempre la correzione della mutazione che causa una malattia.

Difatti vi sono state numerose richieste di gruppi di scienziati a porre una moratoria all’utilizzo clinico di tali tecniche nel campo della procreazione, pur rimanendo favorevoli alla ricerca di base (cioè di laboratorio), come l’appello molto significativo lanciato lo scorso marzo su Nature da 18 eminenti scienziati di prestigio internazionale.

Anche l’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology), che è la principale società europea nel campo della riproduzione umana e dell’embriologia, ha dichiarato:

 “……. Fino a quel momento in cui i rischi non possono essere quantificati o sviluppati strumenti di prossima generazione che eliminino queste conseguenze svantaggiose, ESHRE sostiene fermamente l’idea che l’applicazione clinica dell’editing genetico con CRISPR / Cas9 nello zigote umano non debba essere eseguita.

Anche tutte le altre società scientifiche che si occupano di procreazione medicalmente assistita e ricerca biomedica in tale campo hanno una posizione simile.

Il Consiglio d’Europa ha poi chiesto ai pochi stati europei che, come l’Italia, non hanno ratificato o completato la ratifica della Convenzione di Oviedo di introdurre quanto meno nella loro legislazione un divieto alla modifica clinica della linea germinale. L’articolo 13 della Convenzione, infatti, vieta espressamente questa tipologia di interventi in quanto recita:

“Un intervento che ha come obiettivo di modificare il genoma umano non può essere intrapreso che per delle ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente se non ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti.”

Ritengo, quindi, doveroso un intervento anche su questo punto della legge 40. 

Tuttavia mi permetto anche di criticare la Convenzione di Oviedo e la posizione troppo rigida che il Consiglio d’Europa sta mantenendo. Ci sono varie parti della Convenzione che non condivido ma qui, soprattutto per ragioni di spazio, mi limiterò a parlare solo dell’articolo 13 della Convenzione. Tale articolo, per come è scritto, vieta la modifica ereditaria del genoma umano anche qualora la ricerca sulla modifica genetica della linea germinale progredisse fino a renderla sicura ed efficace. 

Secondo me, invece, se fossero raggiunti elevati standard di sicurezza ed efficacia non ci sarebbero valide ragioni per proibirne l’utilizzo per la prevenzione delle malattie ereditarie, anzi ci sarebbero forti ragioni sia scientifiche che morali per procedere in tal senso. 

Leggendo il documento di sintesi dei lavori di preparazione della Convenzione di Oviedo da parte della commissione che la redasse tra il 1992 e il 1996 si evince che la preoccupazione maggiore della commissione erano i pericoli imprevedibili che potrebbero derivare dall’alterare in via ereditaria il genoma umano senza avere prima la necessaria conoscenza scientifica e l’appropriata capacità tecnica per evitare tali pericoli. E’ una ragione pienamente condivisibile. Tuttavia, alla fine, la commissione decise di chiudere la porta a tali alterazioni anche qualora fossero stati raggiunti adeguati standard di sicurezza. Questa scelta, tuttora sostenuta e ribadita dal Consiglio d’Europa, è per me meno comprensibile. 

Oggi che la ricerca si sta muovendo rapidamente è prevedibile che fra un certo numero di anni gli standard di sicurezza saranno raggiunti. Quando lo sarà sarebbe giusto che le future generazioni possano giovare dei frutti della stessa anche per quanto riguarda la modifica ereditaria del genoma umano. (Lo scopo principale sarebbe quello di evitare la diffusione delle malattie monogeniche (almeno quelle più gravi) o anche di tentare di ridurne l’incidenza.) Tuttavia effettuare alterazioni genetiche trasmissibili non sarà possibile nei paesi che hanno ratificato la Convenzione a meno che questa non sia rivista (o che tali paesi non scelgano di denunciarla).  Purtroppo non solo cambiare i trattati internazionali è sempre una cosa lunga e difficile ma la posizione di estrema chiusura del Consiglio d’Europa (già delineata anche per quando si saranno raggiunti adeguati standard di sicurezza) impedisce ad oggi anche solo di cominciare un processo di revisione dell’articolo 13 della Convenzione. A mio avviso, allora, occorre che scienziati, filosofi liberali, stakeholders e cittadini inizino già adesso a chiedere con forza di riformare radicalmente tale articolo, altrimenti dopo potrebbero volerci molti anni in più solo per riuscire a correggerlo. Per adesso vi sono state solo poche richieste di revisione e tutte molto timide e limitate, come, ad esempio, quella pubblicata su Nature nel 2017 da tre membri dell’ISERM (Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale)2, l’istituto pubblico nazionale francese per la sanità e la ricerca medica, in seguito a un convegno dello stesso a Parigi nel 2016.

Al riguardo dell’articolo 13 della Convenzione di Oviedo mi sentirei di proporre la seguente cauta revisione: 

Un intervento che ha come obiettivo di modificare il genoma umano non può essere intrapreso che per delle ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche3.

Un intervento che ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti può essere intrapreso:

  1. solo per ragioni preventive volte alla tutela della salute del nascituro e della discendenza; 
  2. solo se gli eventuali rischi derivanti dall’intervento risultino sia minimi che inferiori ai benefici derivanti dalla stesso;
  3. solo se approvato da un’autorità scientifica competente.” 

Poiché oggi né la seconda (II.) né la terza (III.) condizione che propongo sono soddisfatte (e dovrebbero esserlo entrambe), questa formulazione vieterebbe premature e spericolate avventure ma un domani permetterebbe un utilizzo affidabile dei risultati futuri della ricerca scientifica.

Questo è, in parte, ciò che mi sento di proporre al Consiglio d’Europa.

Per quanto invece concerne l’Italia, secondo me, questa farebbe bene a correggere drasticamente l’articolo 13 della legge 40 in modo da:

  • riformulare tale articolo permettendo apertamente “l’analisi e la selezione del patrimonio genetico ereditario per fini preventivi volti alla salute del nascituro e della discendenza”, lasciando perdere la difesa dell’embrione;
  • legalizzare la necessaria e propedeutica ricerca di base (cioè confinata in laboratorio) sugli embrioni geneticamente modificati4;
  • chiudere (ma solo) per adesso la porta della procreazione medicalmente assistita a quelle tecniche che, seppur promettenti, non sono ancora pronte ad entrare in clinica.

Ritengo che l’ultima cosa possa essere fatta introducendo nell’articolo 13 un nuovo comma che più o meno reciti:

“È vietato l’utilizzo di tecniche di alterazione del patrimonio genetico ereditario umano nell’ambito di un progetto volto ad ottenere una gravidanza che non siano state riconosciute come sufficientemente efficaci e sicure dalle preposte autorità scientifiche5 o che non siano impiegate per scopi preventivi volti alla salute del nascituro e della discendenza.” 

o qualcosa di simile.

Una tale formulazione, ad oggi, permetterebbe soltanto la “donazione mitocondriale” (mitochondrial replacement techniques)6 (e solo nei casi di malattie genetiche legate al DNA mitocondriale).

Infine, secondo me, l’Italia farebbe bene a non completare la ratifica della Convenzione di Oviedo finché questa non dovesse essere rivista.

Questo è, in parte, ciò che mi sento di proporre all’Italia.


Note

1Infatti io ritengo l’espressione “diagnosi genetica preimpianto” non corretta e preferirei si parlasse di “analisi genetica preimpianto” o di “test genetici preimpianto”. 

2L’ISERM è sotto il controllo del Ministero della solidarietà e della salute e del Ministero dell’istruzione superiore, della ricerca e dell’innovazione francesi. 

3 Regole per il rispetto della sicurezza di interventi medici sulle cellule somatiche sono già presenti in altre parti della Convenzione di Oviedo.

4 Alcune di queste ricerche richiederebbero necessariamente la creazione apposita di embrioni, cosa vietata sia dalla legge 40 che dall’articolo 18 della Convenzione di Oviedo, questione che qui non affronto.

5 Naturalmente occorrerebbe stabilire quali sono le “preposte autorità scientifiche”. 

6 Le tecniche di sostituzione mitocondriale sono già state testate con successo in clinica all’estero, seppur in un numero ridotto di casi. Anche qui, secondo me, andrebbe evitato il termine “terapia”.