Scritto con Roberto Baldoli* e Claudio M. Radaelli**
Nella Solennità delle celebrazioni dei Santi Pietro e Paolo del 29 giugno, Papa Francesco ha ricordato le tante differenze fra queste due grandi icone della Chiesa, e come il loro riconoscere che ci apparteniamo gli uni agli altri li abbia uniti nelle opere e nella storia. Quella dei Santissimi non era – precisa il Papa – appartenenza esclusiva, ma “un amore inclusivo”. La versione politico-sociale di questo amore inclusivo, anche per chi non la pensa come noi, è la nonviolenza.
Infatti Luther King ricordava la differenza fra tre parole greche: eros (amore romantico, estetico, sessuale), philia (amore reciproco fra amici) e agape (amore come apertura verso tutte le creature). Agape o amore politico porta nel mondo la nonviolenza.
Proprio la nonviolenza sta attraendo sempre di più l’interesse della Chiesa cattolica, spostandosi dalla periferia al centro della dottrina e della missione del Pontefice. Dopo recenti convegni sul tema e altri riferimenti in precedenti discorsi, Papa Francesco torna a parlare di nonviolenza a Napoli il 21 giugno 2019 in occasione del convegno “la teologia dopo Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo”. E lo fa con parole molto importanti. E non parla in generale di pace, non invoca la tolleranza fra gli uomini o il rifiuto della violenza. Parla proprio di nonviolenza, scritta (correttamente) senza trattino, proprio ad indicare che questo termine non è l’opposto della violenza, ma una forza e una pratica positiva, che costruisce.
Sono tre i passaggi dottrinali e analitici che presentano i maggiori elementi di riflessione.
Ascoltiamo Papa Francesco quando afferma: “[…] penso alla nonviolenza come orizzonte e sapere sul mondo, alla quale la teologia deve guardare come proprio elemento costitutivo”. Quest’affermazione non mette sullo stesso piano teologia e nonviolenza: la seconda è elemento costitutivo della prima. Quindi la nonviolenza non deriva da un’impostazione teologica e dottrinale. Anzi, la nonviolenza diventa punto di partenza per la costruzione teologica. Il Papa riconosce l’autonomia della nonviolenza, il fatto che non sia un derivato dell’impostazione teologica cattolica. Proviamo ad andare un poco più a fondo. Con la nonviolenza che fonda, radica e sprigiona le sue conseguenze sulla e nella religione, siamo certamente nel territorio di San Francesco d’Assisi e dello ‘Spirito d’Assisi’ invocato da Giovanni Paolo II, ma anche (ci pare questa una conseguenza logica) nel pensiero di Aldo Capitini, la cui opera sulla nonviolenza come base della religione aperta fu messa all’Indice nel secolo scorso. La nonviolenza è dunque quella vissuta nelle azioni e riflessioni di molti ammiratori di Francesco d’Assisi, come Franz Jägerstätter, Madre Teresa, Desmond Tutu, Martin Luther King Jr. (citato espressamente dal Papa), Simone Weil, e Thomas Merton, ma è anche nelle gesta dei preti operai e di persone come Danilo Dolci.
L’autonomia della nonviolenza porta al nostro secondo elemento. Nella frase sopra ricordata il Papa guarda alla nonviolenza come “orizzonte e sapere sul mondo”. Cosa vuol dire? Vuol dire che la nonviolenza non fissa una volta per sempre un punto d’arrivo, ma fissa un orizzonte in relazione al quale costruisce una sua conoscenza, il suo originale “sapere sul mondo”. La meta finale e precostituita non esiste proprio. L’orizzonte non è un traguardo, una teleologia, una finalità chiusa in se stessa. È un modo, ovviamente religioso per il Papa, di guardare lontano, e di apprendere ogni giorno come le nostre azioni si rapportano all’orizzonte. Tutto questo ci sembra coerente con il pensiero dei massimi filosofi della nonviolenza. Per esempio, secondo Aldo Capitini la nonviolenza è apertura religiosa assoluta fino al sacrificio della propria vita, non un mezzo per imporre comportamenti o leggi di carattere dogmatico a tutta la comunità.
Infine, il Papa non richiama testi o dogmi che fissano la nonviolenza. Con il suo orizzonte, Francesco guarda da un’altra parte. Pensa infatti, e lo dice espressamente, agli “artigiani di pace”. Per noi il significato di questo richiamo è alla nonviolenza come prassi. Questa terza affermazione si collega molto bene alla precedente. In Religione Aperta, Aldo Capitini disse che la nonviolenza è sempre da reinventare: ‘essa non è mai perfetta e non finisce mai, appunto perché è una cosa dell’anima; è un valore, è come la musica, la poesia, e si può sempre fare nuova musica, nuova poesia; e la vecchia musica, la vecchia poesia, possono essere vissute più profondamente’.
Per questo al centro della nonviolenza non ci sono grandi teorici, moralisti o dogmatici, ma, appunto, gli artigiani. Sono artigiani coloro che reinterpretano, costruiscono e reinventano la nonviolenza quotidianamente in ogni campo della società, dall’economia all’educazione, dal lavoro alle migrazioni. Questo evidenzia I limiti di pensare alla nonviolenza come semplice pacifismo o alternativa alla teoria della guerra giusta: la nonviolenza è molto, ma molto di più: è pratica quotidiana di un’apertura religiosa. Conclude le riflessioni sul tema un richiamo di Papa Francesco a Lanza del Vasto. Egli infatti visse la nonviolenza come prassi che tutti, oppressori e oppressi, intraprendono per (ri)costruire I rapporti interpersonali e superare così i quattro flagelli che opprimono la comunità umana: guerra, sedizione, miseria e servitù.