Intervento di Roberto Defez al Convegno “La nuova agricoltura sostenibile”

Grazie a tutti per l’invito. Il rischio io lo trovo consistente, nel senso che il dottor Baldi ci spiegava di questa carenza di investimenti in ricerca e carenza di fondi pubblici. In realtà il dato è piuttosto mascherato perché sembrerebbe che siamo solo un po’ sotto la media europea.

Il vero problema, in tutte le società avanzate, è che ad una quantità di Fondi pubblici mediamente corrispondono un doppio di fondi privati investiti dalle aziende. Quello che manca in Italia è sostanzialmente questo. Addirittura ci siamo inventati dei sistemi di finanziamento della ricerca in cui le aziende – o presunte tali, perché in realtà bisognerebbe dire che ormai queste sono solo le presunte tali – competono per i fondi della ricerca con i laboratori di ricerca. La ricerca industriale è tutta spostata nel Nord del Paese, con il Sud che non ha ricerca industriale e quindi il Paese si sta spaccando. È molto più virtuoso un luogo dove c’è un’impresa privata che investe in ricerca, ma ormai le aziende, quelle più virtuose, investono in-house, investono su loro progetti di ricerca interni più che collaborare con le istituzioni di ricerca. Quindi il rischio, io lo vedo, lo vedo molto elevato, ed è un progressivo accartocciamento nostalgico su un passato a molti sconosciuto, pericoloso e reazionario: lo abbiamo visto anche oggi con vari esempi.

Proprio Deborah Piovan ci ha fatto vedere le immagini dell’agricoltura fatta con l’aratro e i buoi. Diciamo che ha avuto pietà di noi perché ci ha fatto vedere anche un po’ di trattori che girano nei campi e quindi la meccanizzazione. Ma guardate che in questo Paese c’è il caporalato, ci sono fiumi di persone usate come manovalanza che paghiamo a pochi euro al giorno per 11-12 ore di lavoro nei campi. I pomodori e le clementine vengono raccolte da quelli che si possono semplicemente chiamare schiavi – è inutile usare qualunque altro tipo di aggettivo che non sia schiavi. La meccanizzazione serve anche ad eliminare tutto questo caporalato. C’è un libro, credo del 2008, se non sbaglio, di Alessandro Leogrande, che ci spiegava che noi abbiamo schiavizzato persone provenienti dall’Unione Europea e le pagavamo addirittura meno degli immigrati africani o nordafricani che si rifiutavano di lavorare sotto i 20 euro. Abbiamo pagato polacchi a 3 euro al giorno. Ecco, questo è quello che combina un paese che non accetta la sfida dell’innovazione e si illude di poter trovare soluzioni semplici a problemi complessi a cui, onestamente, vi dico da subito, la soluzione noi non ce l’abbiamo.

Io cerco oggi di raccontarvi due cose semplici vediamo se ci riesco: un’analisi di una commissione scientifica di alto profilo che ha lavorato per i commissari dell’Unione Europea e che ha lavorato perché poi potesse essere presa una decisione (che ovviamente non è stata presa) sulle New breeding techniques, sulle nuove tecnologie del genome editing soprattutto applicato all’agricoltura. E ve la volevo far vedere perché poi tutto passa veloce, ma in realtà ci sono aspetti che non sono per nulla banali e che andrebbero tenuti in considerazione. Qual era la valutazione di questa commissione? Ogni pianta, ogni organismo, ogni DNA ha una frequenza di mutazione: ognuno di noi muta, noi non siamo stabili, non siamo fissi, non siamo antropocentrici, la terra non è al centro dell’universo e così via. Il tasso di mutazione di 7 eventi su un miliardo di basi.

Cosa vuol dire questo? Tanto per convertirla in esseri umani ognuno di noi accumula una singola mutazione ogni settimana nella sua linea germinale. Ogni anno ognuno di noi ha 51 nuove mutazioni che passeremo ai nostri eredi. Noi non siamo stabili, fissi, eterni. Cambiamo e mutiamo tutti gli anni. Quindi, una persona che ha un figlio a 20 anni, ha accumulato mille nuove mutazioni nella sua linea germinale. Guardate che saranno 50mila nella linea non germinale delle cellule che si dividono nel nostro corpo, 50mila al giorno di mutazioni che non passiamo ai nostri discendenti- ma ora sto parlando solo di quelle che trasmettiamo ai nostri eredi. Quindi c’è un tasso di mutazione che è descritto. Per cui una pianta non è mai uguale a se stessa, un organismo non è mai uguale a se stesso.

Questa commissione ha definito alcuni parametri che poi ci servono il futuro. Vittoria Brambilla parlerà poi della applicazione delle tecniche del CRISPR e delle prospettive che hanno sull’ambiente e l’agricoltura. Quello che ci dice la commissione è che se siete un batterio, c’è bisogno di almeno 13 basi che identificano la sua identità. Al di sotto di 13 basi in sequenza non si riesce a capire se quel DNA è del batterio di un pesce o di un altro organismo. Per ogni organismo ci sono un numero di basi definite da questa commissione che sono necessarie ad identificare da che organismo proviene quella sequenza. Un po’ come un’impronta digitale che è di 18/20 basi per le piante. Ecco questo numero è un numero in qualche modo limite. Al di sotto di questo limite le variazioni, aggiunte o delezioni non possono essere attribuite ad un determinato organismo. Ad esempio non di può dire che quel DNA era di un batterio ed è stato aggiunto al DNA di una pianta. Introdurre mutazioni nelle piante attraverso diverse tecnologie per un certo tempo è stato considerato una cosa banale, corrente, neutra. Abbiamo mutagenizzato migliaia di piante con radiazioni ionizzanti a partire dal 1953. L’anno scorso, il 2018, abbiamo introdotto, credo, una decina di nuove piante mutagenizzate con sistemi di questo genere. In qualche modo queste mutazioni accelerano un processo naturale di mutazione, aumentano la frequenza di mutazioni e quindi la frequenza con cui diventa disponibile nuova biodiversità. Perché la biodiversità è. Il manifestarsi di mutazioni accumulate nel DNA di un organismo qualsiasi. Queste piante mutagenizzate ancora non vengono considerate organismi geneticamente modificati, ma la Corte europea di Giustizia, lo scorso 25 luglio, ha spiegato che quelli sono OGM, quindi sono organismi geneticamente modificati e la Corte ha spiegato che sebbene al momento non debbano rispettare la 2001/18 cioè la legge capestro sugli OGM, a meno che un qualunque Stato membro non decida che vuole applicare tutte le restrizioni della 2001/18 su queste piante mutagenizzate. In pratica la Corte ha stabilito che ogni volta che gli esseri umani agiscono per alterare il patrimonio genetico vegetale, generano OGM. Poi alcuni devono sottostare alla direttiva n. 18 del 2001, mentre (per adesso) non quelle derivanti da mutagenesi chimica o fisica. La mutagenesi fisica si attua usando radiazioni ionizzanti da radioisotopi.

Sono 3.286 piante ottenute per mutagenesi e commercializzate, l’elenco lo trovate sul sito dell’agenzia internazionale per l’energia atomica – non è sul sito della FAO – è sul sito dell’agenzia internazionale dell’energia atomica, che ha sede a Vienna. Stiamo parlando dell’agenzia che discute del nucleare iraniano. Perché sta lì? Perché sono state usate radiazioni ionizzanti. Con quel sistema di mutazioni, noi abbiamo fatto migliaia di piante. Le stiamo mangiando dal ‘53 a oggi. Il nostro principale tipo di pasta di grano Creso, coltivato negli anni 80, era un grano mutagenizzato. Se la Lituania, ad esempio, decide che vuole avere tutte le valutazioni di sicurezza sanitaria ambientale previste dalla Direttiva 2001/18 sul grano Creso può imporre che vengano fatte e può aggiungere ulteriori e non descritte dalla Corte europea di Giustizia, ulteriori prove oltre tutto quanto previsto dalla direttiva che ha di fatto impedito che si coltivassero piante Ogm in Europa, lasciando al tempo stesso che 62 tipi di piante Ogm fossero importate in tutta Europa. Un disastro economico ed una follia normativa.

Ecco, questo è lo scenario nel quale ci stiamo muovendo, in cui il genome editing deve sottostare alla 2001/18, ma a discrezione di ogni singolo Stato nazionale può entrare tanta altra roba di cui noi siamo anche interessati come produttori e come utilizzatori. E quindi il punto qual è? Basandosi su questo tasso di mutazione, dobbiamo cercare di gestire le varie tecnologie perché un point mutation, una mutazione di una singola base, è quello che adesso ci consente il CRISPR/CAS. Guardate che non abbiamo neanche più bisogno di tagliare il DNA: il DNA resta integro, intatto e si cambia una base azotata in un’altra, senza aggiungere, senza tagliare. Il DNA si modifica direttamente in situ. Un sistema raffinatissimo, in cui è impossibile, per un qualunque legislatore e per un qualunque organismo di controllo, capire se quella mutazione generata da un evento casuale o da un intervento umano. Inserzioni, delezioni o mutazioni puntiformi che non sono distinguibili se queste sono al di sotto delle 20 basi. Con questo dato tecnico si devono confrontare i legislatori e gli organismi regolatori nazionali ed internazionali.

Questo era l’argomento numero uno, adesso vengo all’argomento numero due. Perché, un po’, è stato sempre evocato il tema che ci vede oggi confrontati ai cambiamenti climatici; l’agricoltura è considerata l’inquinatrice del pianeta; di qualunque cosa mangiamo ci viene raccontato “peste e corna”, dell’impatto ambientale, del consumo di suolo, dell’uso di agrofarmaci, dello spreco di risorse idriche e di tutto quanto causi come danno all’ambiente l’agricoltura convenzionale paragonata invece all’immacolata agricoltura biologica. Direi che è strano che il 97% di quello che mangiano gli italiani non deriva da agricoltura biologica; è strano che tutto quello che esportiamo di prestigioso nel mondo non ha bisogno di etichettarsi come “da agricoltura biologica” perché è buono di per sé e quindi non ha bisogno di altre aggettivazione, di altre etichette. Ma quando si pone la questione del miglioramento genetico, la risposta che ci viene data è “No, mai”, “qualunque modo di toccare il DNA è un artefatto”, “qualunque sistema naturale è sicuro, buono, pulito, giusto, sano e protegge il pianeta”. Il biologico sarebbe appunto un sistema “naturale”

Questo articolo che vi faccio vedere è il principale articolo che ci viene esibito a riprova del fatto che il futuro radioso della pianeta deriva dall’agricoltura biologica (organica) che nutrirà il mondo in maniera più sostenibile. Il guaio dei ricercatori è che, al contrario di altri, gli articoli scientifici li leggono, non guardano solo il titolo.

Allora io vi faccio vedere cosa c’è scritto in un articolo scientifico propagandato esibito e proposto da tutti coloro che criticano il genome editing e dicono che l’agricoltura biologica è il futuro di questo pianeta. Questo articolo è pubblicato, come vedete, su Nature communication, è fatto in un istituto di ricerca che si chiama di Organic Agricolture, cioè che ha come missione dell’Istituto promuovere l’agricoltura biologica. Quindi non è Monsanto che l’ha scritto. Questo articolo è il testo di riferimento brandito da chi sostiene che l’agricoltura biologica (e ahimè biodinamica) deve essere strafinanziata, a partire dal presidente delle aziende biologiche, ossia Federbio. Cosa ci dice questo articolo? Che se passassimo al 100% di agricoltura biologica causeremmo un aumento tra il 16% e il 33% del consumo di terra. Cosa abbastanza ragionevole perché diminuendo le rese per ettaro dobbiamo occupare più terra. non è neanche così sorprendente: il 16-33 dipende dal ‘impatto dei cambiamenti climatici sulle coltivazioni. Quindi passare al 100% biologico significa consumare più terra sicuramente.

Ma significa anche che la deforestazione, che aumenterà tra l’8% e il 15%. Le foreste non sono tante in giro per il pianeta. Passare a un 100% biologico significa aumentare la deforestazione del pianeta. Anche l’emissione di gas serra aumentano tra l’8% e il 12% passando al 100% di biologico sul pianeta. Immaginate semplicemente questo Grande Fratello mondiale che decide che ovunque in tutto il mondo, con tutti i regimi democratici e dittatoriali e quant’altro tutti devono coltivare biologico. Immaginate già la complessità delle cose di questo genere, ma a fronte di questo questi studi dicono che aumenta dell’8-12% l’emissione di gas serra con la conversione al biologico.

Deborah Piovan vi ha spiegato che questo è un inverno molto secco, molto asciutto, che non abbiamo l’acqua, che non sta piovendo in tutta Italia, che è un problema da nord a sud, che abbiamo i fiumi in secca, che ha nevicato pochissimo, che avremo poca acqua anche dallo scioglimento delle nevi.

Secondo voi quanto ci costerà il passaggio a 100% biologico in termini di consumo di acqua? Il 60% di aumento del consumo di acqua da qui al 2050 basandosi sull’agricoltura biologica esattamente come con l’agricoltura convenzionale che abbiamo utilizzato e con cui abbiamo prodotto derrate tra il 2005 e il 2009, che sono gli anni di riferimento di questo studio.

Allora il punto della questione qual è? Se continuassimo usare la non innovazione e restassimo fermi all’agricoltura convenzionale congelata alla condizione utilizzata tra 2005-2009 – aumenterebbe esattamente il 60% la richiesta d’acqua per produrre il cibo al 2050. E questo certamente non è un bene, ma mi sembra paradossale che nel Parlamento di questo Paese sia appena arrivato un disegno di legge, il numero 988, che pensa di stanziare 963 milioni per l’agricoltura biologica per farci arrivare al 2050 a farci mancare il 60% di acqua per produrre cibo.

Qui è un problema è di scenario, l’agricoltura non può stare ferma, ma non può avere come obiettivo il non avere acqua al 60% sapendolo con 31 anni di anticipo. Per lo meno gli obiettivi, le speranze, le ambizioni dovrebbero essere un po’ superiori. Dovremmo porci la questione che vogliamo cercare di ridurre quel gap, perlomeno tentare di avere un’idea, un progetto, una strategia, un gocciolatore, una pianta – come già si stanno sperimentando in varie parti del mondo – più tollerante alla siccità con radici che esplorano di più il terreno che vanno a cercare l’acqua, che hanno gli stomi un po’ più chiusi, ce ne sono di tutti i colori di strategie per resistere alla siccità. Ma non avere nessuna strategia da qui al 2050 a me francamente sembra essere paradossale.

Questi sono gli scenari. Ma guardate che possono peggiorare di molto in funzione dell’incidenza dei cambiamenti climatici, quindi la mia proposta è che serve un’agricoltura integrata di tutte le competenze di tutte le tecnologie, di tutto il miglioramento genetico disponibile, ma soprattutto “disintegrata” delle ideologie ottocentesche che ancora ci affliggono. Grazie.