Conte non cada nelle trappole sulla droga di Trump

Conte Trump Controllo internazionale delle droghe

Il 24 settembre prossimo, a latere dalla sessione inaugurale dell’Assemblea Generale dell’ONU, Gli USA convocheranno al Palazzo di Vetro un incontro dove si parlerà di “controllo internazionale delle droghe” con tanto di presenza del Presidente Donald Trump! Non capita tutti i giorni che un capo di stato si impegni in prima persona in un evento collaterale su certi tempi. Secondo quanto emerso in questi giorni sarebbero stati invitati solo quei paesi che hanno aderito a un piano d’azione non negoziabile preparato dagli americani – naturalmente tra le prime adesioni entusiastiche quelle di paesi, come Cina, Arabia Saudita o Singapore, che hanno leggi più punitive al mondo tanto da comminare la pena di morte anche per consumo personale.

La riunione di “alto livello” s’intitola “Global Call to Action on the World Drug Problem“. Non si sa molto altro. Uno dei motivi di questo incontro potrebbe essere la necessità di Trump di farsi vedere comunque interessato a sostenere il lavoro delle Nazioni unite malgrado buona parte della sua amministrazione sia, da sempre, particolarmente contraria al ruolo dell’ONU in qualsiasi campo.

A ben leggere il documento, si tratta di una paginetta che riassume per sommissimi capi le dichiarazioni che da, almeno, 20 anni caratterizzano le attività internazionali per il controllo della produzione, consumo e commercio delle piante e sostanze contenute nelle tre convenzioni internazionali in materia di stupefacenti. Non trattandosi di un documento ufficiale non passa attraverso i canali ufficiali. Come si diceva non è aperto al negoziato e propone misure ampiamente condivisibili, invita gli stati a impegnarsi a sviluppare “piani d’azione” nazionali basati su una “strategia basata su: riduzione della domanda; trattamento; cooperazione internazionale; e lotta alla produzione di droghe illecite. Non manca il solito allarme alle “nuove droghe sintetiche emergenti” e si sollecita la Commissione ONU sulle droghe ad “agire con urgenza per accelerare la ‘tabellizzazione’ di queste nuove droghe pericolose”.

Quindi dov’è il problema?

Non trattandosi di proposte tecnicamente reazionarie né conservatrici, ma apparentemente di buon senso, è da ipotizzare che l’uso che se ne vuol fare è squisitamente politico per arrivare alla sessione ministeriale della Commissione Droghe delle Nazioni unite del marzo 2019 con un consenso precotto che vuole depotenziare i passi avanti che, col passare del tempo, a livello nazionale si stanno verificando.

Non solo l’Uruguay e il Canada hanno legalizzato la cannabis per tutti i fini, ma dal 19 settembre anche il Sudafrica s’è unito a quei paesi che stanno rivedendo radicalmente le proprie leggi e politiche in materia di droghe. Mezza Europa sta, di fatto, depenalizzando come l’America Latina. Il governo messicano che giurerà a dicembre ha annunciato grandi cambiamenti relativamente alla “guerra alla droga” in quel paese.

Oltre a Cina, Arabia Saudita e Singapore tra gli amici di Trump ci sono la Russia e gli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, tra quelli elencati anche come “collaborativi” vi sono paesi con leggi meno proibizioniste sulla droga, come il Regno Unito, l’India e Costa Rica.

Ad aprile del 2016, l’Assemblea Generale ha tenuto una sessione speciale interamente dedicata alla droga – l’Associazione Luca Coscioni era presente con la delegazione italiana -, dove è stato adottato un documento finale che ha allontanato le scelte internazionali in materia di controllo delle droghe dalle più misure “draconiane” degli ultimi anni a partire dalla trovata geniale di Pino Arlacchi che, nel 1998, aveva convocato la prima sessione speciale sugli stupefacenti con lo slogan “mondo libero dalla droga, possiamo farcela!”.

Nell’ultimo anno dell’amministrazione Obama, gli Stati Uniti avevano attenuato la storica rigida posizione USA all’ONU. Trump sembra seriamente intenzionato a cambiarla (anche se dopo le elezioni di mid-term alcune cose potrebbero cambiare in Congresso) per evitare di replicare quanto fatto a giugno quando gli Stati Uniti si son ritirati dal Consiglio ONU dei diritti umani. Nei mesi scorsi, l’amministrazione Trump ha rilanciato, almeno retoricamente, la lotta alla droga a livello domestico, contro il numero crescente di Stati che sta legalizzando la cannabis. A livello internazionale, che un giorno sì e un no, lancia messaggi d’ammirazione a Putin, ha parlato in termini lusinghieri del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, che sovrintende a una guerra alla droga così brutale a casa sua da lasciar prevedere un’indagine della Corte penale internazionale. Trump ha anche affermato pubblicamente di aver seguito il percorso di Singapore nell’esecuzione degli spacciatori di droga. Uccidere i trafficanti di droga è una “dibattito sul quale dobbiamo iniziare a pensare”, ha detto a una manifestazione a marzo.

Per l’appunto durante questa Assemblea generale verrà di nuovo messa ai voti la risoluzione sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali. Sarebbe il caso che il Governo Conte ci pensasse (almeno) un paio di volte prima di aderire a questi “buoni propositi” trumpiani per il “controllo internazionale delle droghe”.