Legge sul testamento biologico: cosa ne pensa il medico?

dottor paolo malacarne

La legge 219/2017, la cosiddetta legge sul testamento biologico, segna sicuramente un passo in avanti importante che colma un vuoto normativo.

È una legge necessaria perché nel tempo è cambiato il processo del morire; è sempre più facile tenere in vita una persona anche in condizioni critiche. In Italia siamo arrivati veramente in ritardo: basti pensare che la prima proposta di legge risale a ben 35 anni fa. Fa riflettere che negli Stati Uniti un primo riconoscimento giuridico del consenso informato risale al 1891.

Uno dei nodi centrali di questa legge è il consenso informato e, quindi, il rapporto medico-paziente.

Pubblichiamo a seguire un estratto dell’intervista di Tiziana Paladini a Paolo Malacarne, Direttore dell’Unità Operativa Anestesia e Rianimazione dell’AOUP. L’intervista completa è disponibile QUI.

Secondo lei, dottor Malacarne, questa legge aiuta il medico e le equipe mediche non lasciandoli soli di fronte a scelte importanti? E al paziente garantisce davvero la libertà di scelta?

Assolutamente sì: finora il consenso informato, quando entrava nei processi, c’entrava o perché c’è nel codice deontologico medico o perché ci sono sentenze della Corte di Cassazione in materia, ma è la prima volta che un testo di legge parla di consenso informato.  L’articolo 1 dà sicuramente a noi medici maggior facilità di lavorare in tranquillità e ai pazienti il diritto e l’opportunità di vedere la loro volontà presa in considerazione da parte dei medici. Non è un articolo farraginoso, ma anzi molto chiaro e molto semplice e ci aiuterà moltissimo nella nostra professione.

La legge dice che come paziente ho diritto di essere informato, ho il diritto di rifiutare o di accettare le cure e il medico deve essere sicuro che io abbia capito: la legge prevede la pianificazione per il futuro, per il percorso della malattia e questa pianificazione il paziente la fa con l’aiuto del medico. Il comma 8 dell’articolo 1 dice che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Alla luce della sua esperienza come è cambiato o come dovrebbe cambiare la comunicazione tra medico e paziente?

Troppo spesso oggi il consenso informato si riduce a un mero strumento burocratico, una serie di fogli che il medico, sostanzialmente per tutelarsi, fa firmare a un paziente in modo un po’ burocratico; con questa legge il consenso informato non è più visto come un elemento puntuale ma è il frutto di un processo, di una relazione. Il comma 2 dell’articolo 1 dice: “È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico.” L’elemento che caratterizza la modalità di ottenimento del consenso informato è nell’articolo 3.
Il legislatore infatti non ha parlato di alleanza o di patto terapeutico, ma di un processo che viene fuori da una relazione di cura, e la relazione è dinamica, va avanti nel tempo ed è aperta: nella relazione di cura possono entrare anche i familiari. Ancora nel comma 2 si legge: “In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo”.
Oggi troppo spesso i medici hanno perso l’idea della relazione o per mancanza di tempo (penso per esempio a quanto i medici di famiglia sono vessati dalla burocrazia) o per paura della medicina legale, la cosiddetta medicina difensiva. Questa legge definisce per i medici qual è il loro ruolo. Per me, da medico, è ancora più importante l’articolo 5 sulla “pianificazione condivisa delle cure”:

Se la DAT è il frutto finale di una pianificazione condivisa delle cure, soprattutto nei malati cronici dove il medico spiega la traiettoria della malattia, il paziente ha il tempo di pianificare quello che lui vuole che venga o non venga fatto e non solo sugli aspetti pratici (se vuole o no la ventilazione meccanica, se vuole o no la dialisi) ma viene fuori la biografia del malato, le sue volontà, i suoi desideri e le sue percezioni. Anche se non scrive tutto per filo e per segno è sufficiente che il malato dia indicazioni chiare su cosa vuole fare della sua vita se non sarà più cosciente. Questo può venire fuori solo se c’è la pianificazione condivisa che è il frutto di una relazione di cura.

Il Presidente Nazionale dell’Ordine dei Medici, il dottor Anelli, a metà aprile in un convegno ha dichiarato «Dal punto di vista di noi medici, di questa legge non c’era bisogno, perché molti dei contenuti qualificanti della legge si trovano già nel nostro codice deontologico e la nuova legge li ha semplicemente mutuati. Ha indebolito invece alcuni capisaldi della professione. Il nostro codice deontologico ribadisce infatti che l’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità.”

Trovo che queste siano affermazioni molto gravi che la dicono lunga sull’orientamento – purtroppo – della maggioranza dei medici che pensano che questa legge sia un vincolo alla nostra professione. Dal mio punto di vista è una tutela e ci farà lavorare molto meglio. Penso che chi è contro questa legge probabilmente non lo dirà in modo esplicito e o tenderà a sminuirla o cercherà di non farla funzionare e di osteggiarla.

Ha mai trattato casi di minori? La legge secondo lei è chiara su questo aspetto?

Fortunatamente non mi è mai capitato di trattare casi di minori, ma anche su questo la legge è molto chiara: il figlio non è proprietà dei genitori. Se il medico ha un parere diverso rispetto ai genitori, ci si rivolge al giudice tutelare. Il problema sul piano etico è che quel che va fatto è il miglior interesse. Non possono decidere i genitori in maniera assoluta, ci deve essere qualcuno che comunque valuta se la decisione dei genitori è nel migliore interesse del bambino perché c’è un problema di sofferenza. Nei due casi di Alfie e Charlie quello che non è emerso è un aspetto molto importante: i medici non volevano continuare quelle cure perché quelle cure provocavano sofferenza al bambino senza una prospettiva ragionevole di recupero.

Come si possono convincere le persone a depositare le DAT e far capire loro perché è importante scriverle?

Con gli esempi e la testimonianza di persone come Piergiorgio Welby, Dj Fabo, Eluana Englaro. Io faccio sempre esplicito riferimento a questi esempi. Dobbiamo essere grati a queste persone e ai loro familiari perché portano a riflettere su una cosa che non si può più ignorare. Prima della rianimazione le persone morivano in casa e la morte era un fenomeno naturale. Ora la morte è stata scotomizzata, è governabile – per certi aspetti – e quindi è un problema di ordine culturale su cui queste persone ci fanno riflettere.