Figli di una legge da migliorare

Francesca è andata all’estero per diventare madre. Mariacristina ha dato alla luce una bimba sana solo grazie alla diagnosi preimpianto. Viviana è incinta dopo una fecondazione con donatori esterni alla coppia. A 14 anni dall’entrata in vigore della norma sulla procreazione assistita, Grazia racconta i suoi traguardi e i suoi limiti.  

«La nostra associazione, con le associazioni L’ Altra Cicogna, Cerco un bimbo, SOS infertilità, Un Bambino.it, Amica Cicogna, Liberi di decidere, HERA, AIDAGG, VOX Diritti, ha lanciato un appello al ministro della Salute perché sia possibile accedere realmente, anche nelle strutture mediche pubbliche e con tariffe accessibili, alla fecondazione assistita e affinché la diagnosi preimpianto sia inserita nei Lea, i livelli essenziali di assistenza».

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A parlare è l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni. Il suo appello è, nei fatti, una denuncia: nel nostro Paese mancano strutture in grado di garantire a tutti l’accesso alla fecondazione assistita e a quella eterologa, che si appoggia a un donatore esterno alla coppia. 

Eppure il 10 marzo è un anniversario importante: 14 anni fa entrava in vigore la legge 40, che disciplinava le norme per accedere alla fecondazione assistita. Una legge imperfetta, soggetta, da allora, a ricorsi e sentenze, che l’hanno progressivamente limata. Fino ad arrivare alla situazione attuale, in cui apparentemente c’è ampia libertà di scelta ma, di fatto, il sogno di diventare genitori è ancora un percorso a ostacoli.

Facciamo un passo indietro e vediamo che cosa è cambiato dal 2004 a oggi

«Nel 2008 una sentenza del Tar del Lazio ha cancellato il divieto di diagnosi preimpianto per le coppie infertili», precisa Gallo. «Nel 2009 la Corte Costituzionale spazza via il divieto di produrre più di tre embrioni e l’obbligo di impiantare contemporaneamente tutti quelli prodotti.

Nel 2014 viene eliminato il divieto di praticare tecniche di fecondazione eterologa (cioè con un donatore esterno alla coppia, ndr) che costringeva a viaggi all’estero e a grandi esborsi di denaro.

Infine, nel 2015, si consente alle coppie fertili, ma portatrici di patologie genetiche, di accedere alla diagnosi preimpianto».

Rimangono in vigore altri “paletti”: non è possibile l’uso di embrioni per la ricerca scientifica, e la fecondazione assistita è preclusa ai single e ai gay. Ma, soprattutto, mancano fondi e tra le varie Regioni ci sono enormi differenze nelle tariffe e nei ticket da pagare. Di fatto, viene impedito a molti di diventare genitori nelle 350 strutture, in maggioranza private, in cui dovrebbe essere possibile.

A spronare ad andare avanti è la riconoscenza dei figli dell’eterologa. 

Una di loro, Elisa Z., 30 anni, è stata concepita prima che entrasse in vigore la legge 40, in un periodo in cui la mancanza di norme lasciava grande libertà.

«Ho scoperto per caso, anni fa, facendo domande a mia madre, di non essere geneticamente figlia di mio padre. Sono nata in una clinica, a Milano, grazie a un medico che ha fatto partorire con procreazione assistita migliaia di donne», dice Elisa.

«I miei genitori sono stati dei pionieri: hanno fatto sforzi psicologici ed economici enormi per l’epoca. Per questo non mi arrabbio perché non vogliono parlarne troppo. Per reazione sono diventata “volontaria”: vado nelle onlus, come Strada per un sogno, a sostenere coppie che stanno decidendo se ricorrere o no all’eterologa.

Io consiglio di farlo: siamo persone normali, felicissime di essere nate. E, poi, suggerisco loro di dirlo ai loro figli: quando ho scoperto la mia storia, ho provato amore e ammirazione per i miei genitori che hanno lottato tanto per avermi. Bisogna far sì che tutti, indipendentemente dalle Regioni in cui abitano, accedano all’eterologa. Purtroppo chi ha soldi lo fa in Italia, ma nel privato. O all’estero, come nel periodo del “proibizionismo”».

Racconta Francesca Fiorentino, 48 anni, autrice d’un libro per bambini, Storia di cristallo di neve… Non di cavoli né di cicogne (Valentina Edizioni): «Per un problema ovarico non potevo esser madre. Ho fatto un pellegrinaggio di 6 anni a Barcellona e Praga. Dove sono rimasta incinta della mia bimba, che oggi ha 5 anni».

«Sottoporsi all’eterologa all’estero porta maggiori sofferenze: i viaggi, la lingua sconosciuta, le stimolazioni ormonali fatte in un Paese che non è il tuo. E poi i costi: ho speso circa 30 mila euro. E non dimentico qualche umiliazione patita in patria, come quando, chiedendo in un ospedale di avere con l’Azienda sanitaria locale i farmaci prescritti in Spagna, costosissimi, mi sono sentita dire: “Vada a Barcellona a farseli dare, visto che il figlio lo ha concepito lì.” Per fortuna l’eterologa non è più vietata, anche se non è ancora una passeggiata».

Non lo è. Nel 2015 in Italia grazie all’eterologa sono nati 601 bambini. A questi vanno aggiunti i 12.300 circa concepiti con altre tecniche di procreazione assistita. Potevano essere di più. I tempi lunghi sono dovuti anche all’assenza dei donatori. Per loro, non è previsto neanche il rimborso di 100 euro per gli uomini, e di 1.000 euro per le donne che ormai è prassi in Europa.

«Il “turismo procreativo” ora si fa in Italia: solo in alcune Regioni si accede alla fecondazione assistita con un ticket di pochi euro in centri pubblici e aspettando 6-12 mesi», dice il ginecologo Guglielmo Ragusa dell’ospedale San Paolo di Milano, esperto in Medicina riproduttiva.

 «Non è colpa dei centri pubblici e dei medici: abbiamo da recuperare un ritardo forte, anche culturale. Ora l’urgenza è quella dei donatori. Acquistare gameti nelle banche straniere porta un aggravio di costi e lunghi tempi d’attesa. La discriminazione, prima legale, ora è economica. Chi ha mezzi va nel privato».

Di certo, lo smantellamento della legge 40 coincide con storie felicità familiare. Come quella di Mariacristina Paoloni, 39 anni: ha chiamato la figlia Vittoria perché frutto della battaglia vincente contro la norma che negava la diagnosi preimpianto ai portatori di malattie genetiche.

«Avevo il 50 per cento di probabilità di trasmettere a un figlio la distrofia muscolare do Becker», dice. «E, infatti, col primo tentativo spontaneo scoprimmo, con l’esame della villocentesi, che il bimbo era malato. Interrotta la gravidanza, ci siamo rivolti ai giudici, sostenuti dall’associazione Luca Coscioni. Ce l’abbiamo fatta. A Roma abbiamo avuto, con diagnosi preimpianto e fecondazione omologa (cioè senza il ricorso a donatori esterni, ndr), Vittoria. Sanissima».

Il miglior augurio per la legge 40 è vedere nel 2018 sempre più bimbi nati grazie al suo superamento. 

«Mio figlio nasce quest’anno grazie a un’eterologa italiana fatta in una struttura privata», dice Viviana Z., 38 anni, incinta da due mesi. «Il meccanismo sta partendo, ma è lento: all’ospedale Careggi di Firenze mi hanno chiesto un anno per la prima visita. E per uno dei miei tanti tentativi ho aspettato per tre mesi la donatrice», spiega.

«Anche a livello culturale siamo indietro. Preferisco non usare il mio cognome perché la mia azienda non gradirebbe. Ma andiamo per gradi e priorità: la battaglia per i donatori è un’emergenza civile».

 

Articolo pubblicato sulla rivista “Grazia”, in edicola dal giorno 08/03/2018.