La Corte suprema iraniana ha confermato la condanna a morte per Ahmadreza Djalali, un ricercatore iraniano che ha lavorato al Karolinska Institute di Stoccolma e all’Università del Piemonte Orientale di Novara e che dalla primavera del 2016 è in carcere in Iran con l’accusa di spionaggio per Israele.
Djalali, il cui ambito di ricerca è la medicina nei disastri, si è sempre dichiarato estraneo alle accuse delle autorità della repubblica islamica e si è sempre rifiutato di confessare crimini che non ha commesso. Sicuramente non è il solo scienziato in carcere in Iran o nel mondo, ma è dentro per motivi estranei al suo lavoro.
L’Associazione Luca Coscioni si unisce all’appello lanciato su Nature da Eugene Chudnovsky, fisico della City University di New York, co-presidente del Committee for Concerned Scientists, che ha invitato gli scienziati a “chiamare in massa le missioni diplomatiche iraniane nei loro paesi ed esprimere le proprie preoccupazioni per il destino di Ahmadreza Djalali”.
Le accuse di aver collaborato con un governo ostile equivalgono allo spiare e sono quindi gravissime. Secondo Amnesty International, l’insinuazione di Teheran sarebbe che Djalali avrebbe fornito informazioni cruciali a Israele sugli spostamenti di alcuni fisici nucleari iraniani che sono stati uccisi in circostanze mai chiarite negli anni scorsi. A ottobre 2017, Djalali è stato condannato a morte dalla corte rivoluzionaria iraniana, contro la sua condanna 75 premi Nobel hanno scritto una lettera all’Iran.
Sempre secondo Amnesty International, l’avvocato di Djalali non sarebbe riuscito a presentare il ricorso contro la condanna a morte entro i 20 giorni previsti dalla legge perché gli impiegati della Corte Suprema non gli avrebbero fornito le informazioni necessarie per il disbrigo delle pratiche burocratiche. Non avendole mai ricevute per tempo, la Corte ha quindi confermato la sentenza. Adesso occorre che qualcuno chieda al Capo supremo della magistratura iraniana una revisione della sentenza, altrimenti per Djalali non resterebbe che accettare la condanna e chiedere successivamente il perdono. Cosa a oggi alquanto improbabile.
Nelle scorse settimane 75 Nobel hanno lanciato un appello per chiedere l’immediata liberazione di Djalali, da mesi è in atto una gran lavoro diplomatico, anche da parte dell’Italia, per scongiurare l’esecuzione dello scienziato. L’Iran dice che il governo non interferisce nel lavoro della magistratura, sappiamo che si tratta di un caso motivato politicamente e che quindi, politicamente, può esser risolto.
Per questi motivi occorre continuare a insistere, sia coi diplomatici iraniani che col Governo italiano, uno dei principali partner commerciali dell’Iran, per salvare la vita di Ahmadreza Djalali
Responsabile legale della Lista Referendum e Democrazia dal 2022 e Presidente del Comitato Promotore Referendum Cannabis Legale (2021), per l’Associazione coordina varie attività. Senatore radicale (2008 – 2013) per 20 anni ha rappresentato il Partito Radicale all’ONU. Ha collaborato con studi legali inglesi e fondazioni americane su questioni di diritti umani in Italia. Nel 2018 ha fondato Science for Democracy e nel 2021 è stato Sherpa per il Values 20 Group. Ha pubblicato “Operazione Idigov, Come il Partito Radicale ha sconfitto la Russia di Putin alle Nazioni Unite” e “Farnesina Radicale, memorie scelte di vent’anni in giro per il mondo per il Partito Radicale”, “Sgorga Tumulto, finzione, funzione non fazione politica” e curato “La Cannabis fa bene alla Politica”, “Terapie Stupefacenti” e “È la dose che fa ‘l veleno” (tutti con Reality Book). Per Fandango Libri, con Filomena Gallo ha curato “Proibisco Ergo Sum” (2018) e con Giulia Perrone “Così San Tutt3” (2021). È laureato in lingua e letteratura nord-americana.