Libertà di ricerca e revival globale per le sostanze psicotrope

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  • Di Bernardo Parrella

Oggi assistiamo al massimo sviluppo della ricerca medico-scientifica nell’ambito degli psichedelici. Soprattutto negli ultimi dieci anni, le sostanze psicotrope (come Lsd, psilocibina, Mdma) e le piante allucinogene (in primis ayahuasca e ibogaina) sono state oggetto di svariate indagini cliniche e sperimentazioni sul campo, con rinnovato ottimismo per il promettente ruolo terapeutico riguardo a diverse patologie. Non a caso dal 1990 al 2015 sulle riviste mediche specializzate sono stati pubblicati oltre 150 studi clinici con gli allucinogeni, man mano che le autorità di vari Paesi vanno aprendo le porte alla ricerca ufficiale pur nel regime proibizionista tuttora in vigore. Fra i tanti esperimenti in corso in Usa, fin dal 1999 alla Johns Hopkins University di Baltimore, in Maryland, si studia la psilocibina per contrastare le varie forme di depressione, la tossicodipendenza e per alleviare l’ansia della morte nei malati di cancro terminale. Mentre nel dicembre scorso una serie di test alla New York University ha rivelato che una singola dose di psilocibina, assunta sotto controllo medico e con l’ausilio della psicoterapia, può dare sollievo dall’ansia e dalla depressione associate con il cancro per almeno sei mesi. Da notare l’impegno a tutto campo della non-profit Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (Maps), fondata nel 1986 da Rick Doblin e motore primario dell’attuale rinascita psichedelica statunitense, dalla sperimentazione clinica alla divulgazione culturale alla presenza sul territorio. Assai attivo anche l’Heffter Research Institute, fondato nel 1993 a Santa Fe, in New Mexico, in particolare rispetto agli studi sulla psilocibina.

In Europa, nell’ospedale psichiatrico Burghölzli, presso l’Università di Zurigo, Franz Vollenwieder, pioniere negli studi su cervello e psichedelici, continua a fare ricerche soprattutto con l’Lsd per arrivare alla possibile definizione scientifica di processi quali l’evoluzione della coscienza e la dissoluzione dell’ego. C’è poi la Beckely Foundation, fondata nel 1998 da Amanda Fielding a Oxford, la cui partnership avviata da oltre dieci anni con l’Imperial College londinese ha portato a nuove importanti scoperte, a partire dal primo studio mai effettuato sulla mappatura del cervello umano sotto Lsd. Nella primavera 2016 sono state pubblicate le inedite immagini high-tech delle regioni cerebrali di soggetti a cui erano stati iniettati 75 microgrammi di acido lisergico. Le scansioni rivelano le trasformazioni neurologiche sottostanti alla ricchezza e all’intensità dell’esperienza multi-sensoriale innescata dall’Lsd, con l’aumento del flusso sanguigno nella corteccia visiva e il forte incremento della comunicazione tra quest’ultima e oltre 20 aree del cervello normalmente non coinvolte nel processo visivo «L’importanza di questo esperimento per la neuroscienza è paragonabile a quella del bosone di Higgs per la fisica», spiega il Prof. David Nutt, coordinatore dello studio, «ed è ora di considerare seriamente i trattamenti per la psichiatria e l’oncologia basati sugli psichedelici, come accaduto negli anni ’50 e ’60». Fra i progetti futuri, sono previste otto settimane di terapia assistita dall’Mdma su 20 soggetti volontari finalizzata a rimuovere le dinamiche psicologiche negative che sostengono la dipendenza.

Proprio il ruolo dell’Mdma (nota come Ecstasy o Molly, nella versione da strada) va rivelandosi cruciale come coadiuvante nella psicoterapia per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress (Dpts), per varie malattie mentali e contro la dipendenza. Ma anche per superare i traumi psichici derivanti da attacchi sessuali e altre violenze, l’ansia dovuta alle malattie terminali e alla paura della morte, le cefalee croniche, l’autismo, svariate forme di stress e altre condizioni psico-fisiche. All’inizio del prossimo anno prenderà anzi avvio la terza e ultima fase di due test clinici, avviati fin dal 1996 dalla Maps sull’impiego dell’Mdma per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress (Dpts). La seconda fase aveva coinvolto complessivamente 107 partecipanti affetti da questi disturbi mediamente da oltre 17 anni, il 61% dei quali non presentava più i sintomi del Dpts a due mesi di stanza dalle tre sessioni di psicoterapia coadiuvata dall’Mdma. Percentuale che all’ulteriore controllo dopo 12 mesi era salita al 68%. Si tratta di un campo d’intervento particolarmente urgente, visto che negli Stati Uniti il Dpts sta diventando una crisi socio-sanitaria di proporzioni simili alla dipendenza da oppiacei. Il 7-8% della popolazione sperimenterà disturbi di questo tipo a un certo punto della vita, e ogni anno, ne soffrono 8 milioni di adulti. Quest’ultima fase vede coinvolti 100-150 soggetti in centri medici di Stati Uniti, Canada e Israele: se tutto andrà come previsto, l’Mdma potrebbe essere legalmente prescritta dai medici statunitensi entro il 2021, e molti pazienti potranno trarre giovamento da questo che gli esperti definiscono “l’antibiotico della psichiatria”.

Nel complesso stiamo dunque assistendo alla forte ripresa degli studi avviati fin da quando, nell’aprile del 1943, Albert Hofmann sintetizzò per la prima volta l’Lsd nei Laboratori Sandoz (oggi Novartis) di Basilea. Nei 15 anni successivi l’editoria medico-scientifica pubblicò oltre un migliaio di studi sull’assunzione di Lsd o mescalina. Pur nell’ampia varietà delle opinioni sul loro valore intrinseco, sulle potenzialità terapeutiche o sugli obiettivi più lucrativi, già allora i resoconti popolari e scientifici si sono rivelati generalmente positivi, perfino ottimisti. Senza ovviamente negare rischi e problemi di queste sostanze, ma anzi proprio per definirli ed evitarli al meglio, l’odierna comunità di esperti internazionali è decisa a procedere con questi esperimenti approfonditi. Il punto è superare le mille restrizioni legali e farsi largo un “infernale labirinto burocratico” capace di dissuadere “perfino il ricercatore più accanito”, oltre a reperire i fondi per sopperire agli enormi costi a carico degli stessi centri di ricerca: solo per le sperimentazioni con l’Mdma rispetto al Dpts si stimano costi vicini ai 25 milioni di dollari complessivi, di cui 10 già ricevuti da vari donatori.

Monta al contempo il boom dell’ayahuasca, con migliaia di persone di ogni nazionalità che visitano i tanti centri di guarigione sorti nella giungla peruviana per alleviare una varietà di disturbi psico-fisici, in aggiunta a sedute spirituali organizzate in varie metropoli occidentali. Oggi sui molti aspetti legati al fenomeno dell’ayahuasca abbondano articoli, libri e film di ogni sorta (anche in italiano), in aggiunta all’ampia mole di dettagli reperibili su internet (inclusi i video su YouTube). È una bevanda allucinogena contenente Dmt, ricavata dalla miscela di due piante amazzoniche e impiegata da secoli sia come pianta medicinale e soprattutto come fondamentale bevanda sacra per creare lo stato allucinatorio nei riti sciamanici, per la visione e la comunicazione con il divino. Introdotta al pubblico anglofono negli anni ’50 dal biologo di Harvard, Richard Evans Schultes, produce allucinazioni e visioni inusitate, favorendo l’introspezione personale. disintossicazione”. Un intricato viaggio interiore i cui effetti durano tipicamente 4-5 ore. Secondo le prime indagini di laboratorio, gli effetti appaiono promettenti per la tossicodipendenza, la depressione, l’ansietà e la schizofrenia. Secondo Jordi Riba, ricercatore presso l’ospedale Sant Pau di Barcellona, un gruppo di alcaloidi dell’ayahuasca rivela grosse potenzialità nel trattamento di gravi disordini neurologici come il morbo di Alzheimer. Non mancano tuttavia rischi alla salute, al di là dei tipici attacchi di vomito e diarrea. Si sono registrati casi di deliri, turbe mentali e attacchi schizofrenici. E purtroppo si sono avuti alcuni decessi nella giungla peruviana dove avvengono queste cerimonie. Nel settembre 2015 ha avuto ampia risonanza la notizia della morte per arresto cardiaco del 24enne australiano Matthew Dawson-Clarke, andato in Perù spinto soltanto “dalla curiosità di provare la medicina sacra”: sentendosi male, era uscito dalla capanna della cerimonia per poi svenire nella giungla circostante, senza che nessuno degli assistenti locali accorresse in suo aiuto. Pur con certi inevitabili rischi, trattasi di un percorso di ampio respiro che trova spinta in eventi internazionali, tra cui la Seconda conferenza mondiale sull’ayahuasca svoltasi lo scorso autunno a Rio Branco, in Brasile, e nel convegno internazionale “Piante sacre delle Americhe”, previsto a fine febbraio 2018 nello stato messicano di Jalisco.

Altrettanto forte l’interesse dei ricercatori occidentali per l’ibogaina, l’alcaloide psicoattivo della Tabernanthe iboga, arbusto che cresce spontaneamente nell’Africa equatoriale e che contiene almeno 12 diversi alcaloidi. Produce un profondo stato psichedelico ed è usato da tempo nel trattamento della dipendenza da oppiacei, eroina, cocaina, etanolo, tabacco. Pratica questa solitamente svolta in appositi centri residenziali sorti in Canada, Messico, Olanda, Tailandia e altrove. Qui vengono somministrate dosi massicce (12-24 mg/kg) per circa una settimana, sotto stretta assistenza medica per controllare i sintomi dell’astinenza (soprattutto nel caso degli oppiacei) e potenziali effetti dannosi che possono includere bradicardia, problemi al fegato, combinazioni letali con altre sostanze. Spesso basta una sola sessione per fermare i sintomi di astinenza nel giro di 24-36 ore.

Un quadro promettente che finalmente va trovando ampia eco anche sull’informazione mainstream. Nel febbraio 2014 un editoriale della rivista Scientific American chiedeva esplicitamente la rimozione del divieto di ricerca sugli psichedelici, criticando l’intero settore delle malattie mentali per l’assenza nuove terapie dopo l’epoca d’oro degli anni 1950 e biasimando i legislatori per la proibizione a tappeto imposta sugli psichedelici, storicamente promettenti a livello clinico ma bollate fin dai primi anni ’70 come “droghe di facile abuso e di nessun valore terapeutico” perché associati con l’uso ricreativo e certi eccessi della controcultura di quegli anni. Posizione ribadita da testate internazionali di vario tipo, da Rolling Stone alla BBC, dall’Economist alla Fox News, incluso un intervento del luglio scorso sul New York Times in cui leggeva fra l’altro: “Viste le loro potenzialità nel contribuire a ridurre dipendenze assai serie e alleviare i sintomi delle malattie mentali, sembra strano continuare a rendere quasi impossibile la ricerca sulle potenzialità terapeutiche degli psichedelici”. Per non parlare della valanga di testimonianze dirette, forum e notizie d’ogni tipo rilanciate quotidianamente da internet e dai social media. Su Facebook abbondano gli Psychedelic Clubs e gruppi analoghi, mentre riviste digitali come Psymposia.com affrontano i vari aspetti del diffuso revival socio-culturale e siti web quali Erowid.org offrono un’imperdibile quantità di informazioni di prima mano e la necessaria documentazione storica.

È anzi proprio internet il medium preferito per informarsi e condividere esperienze rispetto alle microdosi psicoattive, pratica sempre più popolare svariati contesti sociali e professionali. Dove circolano anche dei protocolli di base da rispettare per trarne adeguato, puntando ad esaltare l’esperienza complessiva della propria giornata. Qui l’obiettivo non è quello di sperimentare i tipici effetti psichedelici, bensì di usare dosi minime di Lsd o di psilocibina (meno di un decimo della dose normale) come stimolanti generali, per risvegliare la concentrazione e la creatività, in maniera analoga a certe sostanze nootrope. “L’autorità” in tema è lo psicologo californiano James Fadiman, che ha anche messo a punto un questionario anonimo e volontario per indagare al meglio tale pratica. Il questionario, liberamente disponibile online è stato riempito finora da circa 1500 persone di oltre dieci Paesi diversi e i primi risultati incoraggianti sono stati presentati nel corso del recente convegno Psychedelic Science 2017. Alquanto diffuso nella Silicon Valley e simili ambiti business per stimolare la creatività e risolvere impasse professionali, il regime delle dosi sub-liminali può essere d’aiuto per superare la depressione e la dipendenza da nicotina, come è utile per chi è affetto dalla sindrome da deficit di attenzione e iperattività o dal disturbo post-traumatico da stress. Senza dimenticarne le potenzialità per la ricerca interiore e le esperienze spirituali. Un trend talmente diffuso da aver rapidamente conquistato l’attenzione delle testate mainstream (non solo quelle anglofone), accanto a una grande abbondanza di racconti personali, commentari e istruzioni per l’uso affidati al web. Fra le riviste più note e di settori anche diversi, mentre il sito-progetto TheThirdWave.co ha appena lanciato il primo corso online interamente dedicato alle microdosi psicoattive, con “l’obiettivo di fornirvi i migliori strumenti possibili per ottenere assolutamente il massimo dalla vostra esperienza con le microdosi”. Da notare che, pur a fronte delle popolarità delle microdosi, finora non esistono studi specifici sui loro effetti ma ci si basa sull’aneddotica popolare. Una lacuna che la Beckley Foundation e un gruppo di ricercatori britannici guidati dal Prof. David Nutt, si apprestano a colmare entro il 2017. L’iniziativa fa parte dell’ampio programma scientifico già menzionato che vede la Foundation e l’Imperial College di Londra impegnati a indagare effetti delle sostanze psicoattive in diversi contesti.

Analogamente, assai ricco il panorama degli eventi internazionali, dalla Breaking Convention, la cui recente edizione londinese ha visto la presentazione di oltre 150 relazioni dei maggiori esperti mondiali nell’arco di tre giorni, alla Psychedelic Science 2017, svoltasi la primavera scorsa in California sotto l’egida di Maps e rivelatosi il maggior evento pubblico sugli psichedelici mai organizzato finora, con svariate decine di interventi scientifici e oltre 2.500 partecipanti provenienti da almeno 39 Paesi diversi. Nel Regno Unito, da segnalare il lavoro a tutto campo della Psychedelic Society (fondata nel novembre 2014), mentre nel settembre scorso si è tenuto a Praga l’analogo convegno internazionale Beyond Psychedelics, con il seguito già programmato per la primavera 2018. Nei prossimi mesi Berlino ospiterà la seconda edizione della Altered Conference, mentre a New York City è prevista l’annuale Horizons Conference, entrambi eventi importanti per fare il punto sulla scena psichedelica internazionale. Con l’aggiunta di nuovi libri anglofoni e menzioni su riviste di ogni tipo, si arriva così a un network diffuso e partecipato che ribadisce la portata globale del rinascimento psichedelico in corso.

Una scena psichedelica variegata e dinamica, dunque, che contribuisce ad avvicinare ulteriormente l’opinione pubblica a tematiche fino a pochi anni fa considerate ancora tabù. Anche perché i tempi sono cambiati rispetto agli anni ’60-70 e allo stigma culturale che li accompagnava, mentre buona parte dell’establishment politico globale va abbandonando quella “war on drugs” fallimentare su tutti fronti. E dove l’ambito della ricerca scientifica rimane indubbiamente il pilastro portante. Per questo s’impone la libertà di portare avanti la ricerca medico-scientifica anche sulle sulle sostanze psicotrope attualmente bandite dalle normative internazionali. Anzi, il diritto alla conoscenza scientifica è riconosciuto a livello globale, e va applicato anche in Italia, come al solito in ritardo sugli sviluppi della ricerca odierna e sull’intera scena internazionale sintetizzati sopra. Motivo per cui è più importante che mai ricordare l’iniziativa organizzata per il prossimo 29 settembre a Torino dall’Associazione Luca Coscioni: una giornata di studi per affrontare i profili legali e scientifici del diritto alla scienza e della libertà di ricerca, con particolare riferimento alle sostanze allucinogene oggi ancora formalmente proibite e al loro possibile uso terapeutico.Verranno anche presentati aggiornamenti sulle più recenti indagini, grazie alla partecipazione di svariati ricercatori ed esperti internazionali direttamente convolti in queste attività.

Il quadro complessivo, succintamente descritto fin qui, s’impone quindi come percorso obbligato rispetto all’urgenza di strategie innovative a tutto tondo per sanare profonde lacune medico-sociali. Le sostanze psicoattive appaiono alquanto promettenti in questo ed altri ambiti importanti, e meritano di essere esplorate a fondo, come chiarisce il direttore di Maps, Rick Doblin: «Oggi va emergendo un forte potenziale per poter integrare gli psichedelici nella cultura occidentale. C’è bisogno di strumenti nuovi per consentire alla gente di affrontare in maniera più diretta la paura e altre emozioni soverchianti, in modo da trovare risposte adeguate per la violenza, le disuguaglianze e i danni ambientali del nostro tempo; per aiutarci a superare i traumi multi-generazionali; per affrontare serenamente la morte e ritrovare la gioia di vivere; per costruire una società basata su empatia e compassione reciproche; e per molto altro ancora».

*Questo articolo è adattato dal testo di un libro in lavorazione sul “Rinascimento Psichedelico”. Contatti: bernardo.parrella@gmail.com