Cappato: “Voglio che si affermi il diritto a interrompere la propria vita senza dolore”

Cappato in Svizzera con Fabo

Di seguito alcuni stralci di una splendida intervista rilasciata da Marco Cappato, Tesoriere di Associazione Luca Coscioni, a LetteraDonna. Cappato racconta il dramma di Fabo, la scelta di accompagnarlo in Svizzera senza coinvolgere la madre e la compagna del Dj, le conseguenze di quella decisione e la battaglia per i diritti, che non può fermarsi davanti a niente, nemmeno davanti all’ipotesi del carcere.

In Italia non c’è diritto al suicidio. Così il gip ha rinviato a giudizio Marco Cappato, che ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera. Per poi autodenunciarsi, con la speranza di cambiare le cose.

A cambiare il corso della sua vita era stato un grave incidente stradale. Che lo aveva reso cieco e tetraplegico. Immobile in un letto, dopo una vita passata in movimento. Tutti lo conoscevano come Dj Fabo, il suo nome d’arte. Una sofferenza senza fine ha scandito ogni sua giornata, fino alla decisione di sottoporsi ai trattamenti di fine vita in Svizzera, in una clinica vicino a Zurigo. Lontano da casa. Fabiano Antoniani se ne è andato così, il 27 febbraio 2016. Per morire, ha dato un morso a un pulsante in grado di attivare il farmaco letale. Ad accompagnarlo pubblicamente nel suo viaggio verso la Svizzera, Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. Che ora andrà a processo per aiuto al suicidio.
I magistrati milanesi, che avevano aperto un’indagine dopo l’autodenuncia ai Carabinieri dell’esponente dei Radicali, avevano presentato richiesta d’archiviazione dell’inchiesta, argomentando che «il diritto alla vita» di Antoniani era «affiancato» e dunque pari al suo diritto «alla dignità della vita». Impostazione respinta dal Gip Luigi Gargiulo. […]

D: Quale sarà l’oggetto del dibattimento del processo che dovrà affrontare?
R: Sicuramente i diritti e le libertà dei malati, di chi si trova a vivere un dolore insostenibile a seguito di una malattia irreversibile. È chiaro che sarebbe stato molto più utile che il Parlamento italiano si fosse assunto un qualsiasi tipo di responsabilità, visto che sono passati ormai 41 anni dalla prima proposta di legalizzazione dell’eutanasia, presentata da Loris Fortuna, e quattro anni da quando abbiamo presentato una legge di iniziativa popolare, con 67 mila firme. […]

D: Si è mai pentito di averlo aiutato?
R: No. Chi l’ha conosciuto e chi ha avuto modo di seguire la sua storia, di ascoltare con un minimo di attenzione le sue parole, sa quanto fosse forte e determinata la sua volontà. Le opinioni sono tutte legittime: ci possono essere persone che, nella stessa situazione, avrebbe scelto diversamente. Io non giudico questo. Non so nemmeno che cosa avrei fatto io, al posto suo. Quello che so per certo è che quella era la sua volontà e aveva il diritto di decidere.

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