Gli OGM e le ostilità legislative

parlamento europeo

Articolo della Dr.ssa Daniela Barone

Nel 2003, Stati Uniti, Argentina e Canada hanno contestato in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio l’attuazione di una serie di misure adottate dall’Unione Europea atte a limitare le importazioni e l’immissione in commercio di prodotti agricoli e alimentari geneticamente modificati provenienti dai Paesi oltreoceano.

Questo caso che va sotto il nome di EC-Biotech è emblematico per dimostrare come già nel 2003, attraverso la sospensione delle procedure di autorizzazione per il commercio di prodotti genericamente modificati, l’Unione Europea inizi ad assumere un atteggiamento di chiusura nei confronti della materia delle biotecnologie.

Ma può uno Stato facente parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio limitare le importazioni di un dato prodotto adducendo come motivazione un temibile danno alla salute? E, soprattutto, perché mentre altri Stati ammettono il commercio e il consumo dei prodotti GM, l’Unione Europea adotta una approccio così stringente?

In realtà, inizialmente nel 1994 la Commissione europea considera il settore biotecnologico come un terreno strategico per lo sviluppo economico e, a tal fine, garantisce regolamentazioni flessibili e procedure semplificate per incentivare una tecnologia sempre all’avanguardia. Successivamente inizia ad adottare un approccio maggiormente prudente in merito a una più ampia informazione sugli eventuali rischi ed effetti sulla salute umana e sull’ambiente, approccio che sfocia nella direttiva 2001/18/CE, contestata per l’appunto a livello globale perché contraria al libero commercio. Questa direttiva, infatti, per una sorta di un ingiustificato “panico” nei confronti degli OGM, si ispira a un elevato livello di protezione del consumatore e dell’ambiente e rigetta la tesi della sostanziale equivalenza dei prodotti ottenuti dall’ingegneria genetica con i prodotti ottenuti dalla selezione e/o dall’incrocio naturale. Con riferimento alla coltivazione di piante GM, l’Unione Europea ne riconosce il diritto ma stabilisce che i prodotti ottenuti da tale coltivazione debbano essere muniti di un’adeguata etichettatura che menzioni la presenza di OGM se è superiore allo 0,9%.

L’errore principale della direttiva 2001/18/CE è il suo soffermarsi esclusivamente sulla procedura e non sul prodotto – sul metodo utilizzato per produrre una nuova pianta e non sulle caratteristiche della stessa – così trascurando gli eventuali miglioramenti in campo agricolo, economico, scientifico e sociale che si sarebbero potuti riscontrare se si fosse adottato un approccio più aperto all’introduzione di biotecnologie.

Tale direttiva, infatti, si è rivelata immediatamente inadeguata ma ci sono voluti quattordici anni per averne una modifica e un aggiornamento. Solamente nel 2015, con la direttiva 412 l’Unione europea ha rinnovato la normativa precedente ma, se si auspicava un’apertura nei confronti delle biotecnologie, il risultato è stato un ulteriore restringimento. Basti pensare alla previsione in essa contenuta secondo cui ogni Paese membro dell’Unione europea può adottare misure che limitano o vietano la coltivazione di prodotti GM per eccezioni talmente generiche – pianificazione urbana, obiettivi di politica ambientale, ordine pubblico o, addirittura, per perseguire «l’esigenza di evitare la presenza di OGM in altri prodotti» – da essere facilmente manovrabili da parte delle amministrazioni nazionali.

Da quest’analisi si evince che la legislazione europea in materia di OGM è tendenzialmente negativa: nella gestione dell’incertezza scientifica, le autorità amministrative europee hanno adottato il principio di precauzione, cioè un approccio cautelativo atto a giustificare misure restrittive in tutti i casi in cui coesistano incertezza scientifica ed effetti potenzialmente negativi connessi al prodotto. Così facendo, l’Unione Europea ha preferito costruire dei binari molto stretti e circoscritti entro cui gli Stati membri hanno limitate possibilità di regolare: dunque, la “patata bollente” dell’incertezza passa dall’Unione europea alle amministrazioni nazionali. Ma, con una tale impostazione così stringente a livello comunitario, per gli Stati membri è molto più facile esimersi dall’adottare tali misure, è molto più semplice astenersi dalla coltivazione di prodotti OGM.

Inoltre, è necessario evidenziare che sì è possibile limitare il consumo e la produzione di prodotti GM ma non è possibile vietarne le importazioni: infatti, corn-flakes, cereali e barrette ai cereali, pop corn, pane di mais e pane imbustato, olio di semi, bibite gassate, salse ketchup e maionese sono tutti prodotti che contengono OGM, che entrano nel continente europeo e che utilizziamo per la nostra alimentazione quotidiana. Dunque, l’Unione Europea non tollera la coltivazione di prodotti transgenici nel proprio territorio perché probabilmente nocivi per la salute umana, animale e vegetale così limitando il progresso scientifico ma ammette le importazioni dei medesimi prodotti che poi vengono consumati quotidianamente. Tali complessi intrecci sul piano istituzionale dimostrano che la questione sulle biotecnologie agroalimentari è ancora molto aperta. E non si comprende il motivo di tale ostilità.

Innanzitutto, per OGM si intende un organismo, cioè un entità biologica capace di riprodursi, in cui il DNA, attraverso alcune operazioni di ingegneria genetica, viene modificato diversamente da quanto avverrebbe in natura. Nonostante i molteplici pregi, l’uso degli OGM è tradizionalmente percepito da un’ampia fetta dell’opinione pubblica in modo negativo, con pregiudizi giustificati da un’insufficienza di informazioni sui rischi che possono derivare a lungo termine. Possiamo incasellare tali rischi in quattro grandi categorie: la salute umana e animale, l’ambiente, l’economia e l’etica.

Con riferimento alla prima categoria, tra gli oppositori agli OGM nel settore agroalimentare c’è chi teme che, a seguito di un loro utilizzo prolungato, possano insorgere allergie o possano svilupparsi patologie tumorali. Ebbene, dagli studi effettuati è emerso che, allo stato attuale, non vi sono prove plausibili di pericoli per la salute dell’uomo o degli animali. Gli effetti delle alterazioni genetiche sono stati ampiamente studiati e, anzi, possiamo sostenere che i prodotti agroalimentari GM siano maggiormente controllati rispetto agli altri.

Ciononostante, ancora oggi si tende a giustificare un costo più elevato per i prodotti OGM-free come se questo testimoni una maggiore sicurezza. Inutile, poi, sottolineare che è innegabile che non si conoscono i possibili effetti negativi sulla salute nel lungo termine derivanti dal consumo di prodotti GM ma lo stesso può dirsi anche riguardo ad altri strumenti che continuiamo a utilizzare nella quotidianità, quali cellulari o computer.

Per quanto riguarda gli altri profili, si osserva come alcuni temano che l’uso dell’ingegneria genetica possa portare verso un impoverimento delle biodiversità con conseguente pregiudizio di interessi pubblici e privati. Anche su questo punto possiamo ribattere che l’uso della biotecnologia, al contrario di quello che si pensa, potrebbe invece contribuire a coltivare e a conservare piante pregiate: in Italia, ad esempio, si rischia l’estinzione di alcuni prodotti alimentari di pregio quali il riso Carnaroli, il melo della Val d’Aosta e il pomodoro San Marzano perché danneggiati dalle infezioni microbiche e dalle intemperie, danni che verrebbero limitati con l’aiuto della biotecnologia.

Un ruolo fondamentale nella fobia per gli OGM è stato poi giocato dall’opinione pubblica la quale, con le diverse obiezioni, ha insinuato poche certezze e molti dubbi, il tutto con l’appoggio di alcuni Stati: l’Italia, ad esempio, ha assunto un atteggiamento ostile nei confronti delle biotecnologie motivato dall’esigenza di tutelare un’economia prettamente agricola basata sul consumo e sull’esportazione di prodotti tipici, addirittura prevedendo per i prodotti GM un’ulteriore procedura di autorizzazione in aggiunta a quella europea, previsione giudicata poi illegittima dalla Corte di Giustizia.

Perché tale atteggiamento di chiusura? E sulla base di quali dati? Basti pensare all’innegabile importanza dell’introduzione degli OGM in campo farmaceutico: ad esempio, se per la cura del diabete una volta si utilizzava l’insulina di maiale che causava reazioni allergiche, oggi, con l’inserimento del gene nei batteri per l’insulina umana, si ottiene la produzione del farmaco che viene iniettato per la cura del diabete. Lo stesso può dirsi per la produzione di vaccini alimentari e di altri farmaci.

In campo agricolo, invece, l’apertura italiana alle biotecnologie potrebbe salvare alcune specie al rischio, aumenterebbe la resistenza di molte colture alle temperature climatiche o all’attacco dei parassiti e aggiungerebbe componenti nutritizi.

Accettare delle modificazione genetiche, dunque, non significa annullare la varietà e le tradizioni italiane nel campo agricolo ma significa piuttosto sfruttare i progressi scientifici al fine di migliorare e aiutare la produzione.

Ora bisognerà vedere quale approccio adotteranno le istituzioni dell’Unione europea nel regolare il genome editing, ovvero una tecnologia di modifica del genoma che permette di guidare l’evoluzione dei geni attraverso un taglio al DNA e una successiva introduzione di mutazioni. Questa nuova tecnica assolutamente innovativa potrebbe avere un notevole impatto sul miglioramento genetico delle piante e per l’agricoltura del futuro. Infatti, le domande di risorse alimentari sempre crescenti e la richiesta di controlli qualitativi possono essere ben bilanciate dall’introduzione del genome editing.

I prodotti ottenuti con questa tecnica sono del tutto simili ai prodotti ottenuti attraverso un incrocio naturale tanto che non esiste un metodo per scoprire la differenza. Per questo, si ammette che le piante ottenute in tal modo non vadano annoverate tra gli OGM; si tratta piuttosto di un miglioramento genetico vegetale che aumenterebbe competitività, efficienza produttiva, sostenibilità del sistema agricolo, favorendo anche la tolleranza ai cambiamenti climatici. Ad esempio, proprio in Italia, il metodo genome editing è stato utilizzato per creare una mela che resiste alla ticchiolatura o per migliorare la qualità delle proteine nel grano duro. Le altre colture che riceverebbero numerosi benefici sarebbero olivo, pesco, albicocco, agrumi, melanzana, melo, ciliegio, pomodoro, pioppo: ovvero, colture che costituiscono parte integrante del patrimonio agricolo italiano e che si prestano alla produzione su larga scala.

L’Unione Europea, ancora in silenzio su questo tema, potrebbe adottare due approcci differenti: se classificherà il genome editing come OGM sappiamo già come verranno considerati e, quindi, ne verrebbero vietate coltivazione e produzione; oppure, conscia dei numerosi benefici che porterebbe l’introduzione del genome editing nelle colture, potrebbe finalmente iniziare ad aprirsi alle biotecnologie.

Anche alla luce del parere tecnico dell’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare, la quale nel 2012 ha ammesso che le piante ottenute con tecniche genome editing non presentano alcuna differenza in termini di pericolosità rispetto a quelle costituite attraverso un normale processo di incrocio, si auspica che l’Unione Europea abbandoni la politica di zero tolleranza nei confronti delle biotecnologie per avvicinarsi alle innovazioni tecnologiche.