Non lasciamo sprofondare la ricerca italiana!

Immagine di un ricercatore che guarda nel microscopio

Articolo di Federico Binda

Quando si parla di ricerca scientifica, tecnologica o di base, l’Italia è al ventesimo posto nel mondo per investimenti sul PIL, ampiamente superata da tutti i maggiori paesi, europei e non. La risposta del Governo? Una piccola mancia per i ricercatori, disperdendo le (poche) risorse disponibili. Eppure gli stessi scienziati hanno indicato una strada, che il Governo ha l’opportunità di seguire

Andiamo con ordine. Con il promettente titolo “Finanziamento e semplificazione delle attività di ricerca”, l’Articolo 41 della Legge di Stabilità, approvata e votata lo scorso Dicembre dal Parlamento, prevede l’istituzione di una nuova sezione all’interno del Fondo per il finanziamento ordinario (FFO) delle Università statali, denominata “Fondo per il finanziamento delle attività di base di ricerca”.

Lo stanziamento previsto è di 45 milioni di euro annui, a decorrere dal 2017. Una goccia nel totale del FFO e una cifra risibile in confronto agli investimenti dei maggiori competitor europei – Germania, Regno Unito e Francia in primis -.

Un’enormità se paragonata agli stanziamenti previsti per i Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, i cosiddetti PRIN, ossia gli unici fondi competitivi con cui il MIUR finanzia la ricerca pubblica universitaria. L’ultimo bando, del 2015, prevedeva un impegno finanziario totale di 92 milioni di euro per il triennio 2016-2018: meno di 32 milioni di euro all’anno, che hanno consentito di finanziare solo il 4% del totale dei progetti presentati.

Il nuovo “Fondo per il finanziamento delle attività di base di ricerca” arriva quindi con in dote il 140% dei fondi annui per i PRIN. Come vengono ripartite queste nuove “importanti” risorse?

Anzitutto gli esclusi dal finanziamento: non possono usufruirne i ricercatori che siano vincitori di finanziamenti provenienti dall’European Research Council (ERC) o dal Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB), dagli stessi PRIN o da “ulteriori finanziamenti pubblici, nazionali, europei o internazionali”. Sono cioè in primo luogo esclusi precisamente quegli scienziati e ricercatori che hanno dato prova di riuscire a vincere in scenari competitivi nazionali e internazionali. 

Ma a quanto ammontano questi finanziamenti? Si tratta di assegni individuali, dall’importo di 3000 euro. Una cifra talmente esigua da risultare totalmente ininfluente, di certo insufficiente al supporto di qualsiasi attività di ricerca che vada oltre l’acquisto di qualche volume o di un nuovo personal computer.

Viene poi dato all’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) il compito di creare appositi indicatori, uno per ciascun settore disciplinare, atti ad indicare la “produzione scientifica”. Beneficiano automaticamente del finanziamento tutti i ricercatori in servizio nelle università statali – con le notevoli eccezioni ricordate sopra – che ne facciano richiesta e la cui produzione scientifica sia superiore alla soglia quantitativa determinata dall’ANVUR.

Il finanziamento viene quindi dato su principi di assoluto meccanicismo, senza prevedere alcun tipo di valutazione personale del profilo del ricercatore che vada al di là del superare o meno sulla carta un certo parametro standard. Approccio che configura semplicemente la riedizione dei finanziamenti top-down a pioggia, molto lontano dal sistema dei bandi competitivi sulla base di concreti progetti presentati, divenuto standard nella comunità scientifica internazionale.

Il provvedimento, letto nel dettaglio, ha più i connotati di una “mancia” irrisoria data ai ricercatori italiani – e, come abbiamo visto, senza dubbio non solo ai più meritevoli, esclusi a priori – che quelli di un vero programma per il finanziamento delle attività di ricerca.

Senza dubbio non in grado di influire minimamente sulla “attività di base di ricerca”, come da intenzione dichiarata dal titolo del provvedimento.Ancora più grave appare questa scelta del legislatore di fronte ad una cronica e ormai drammatica penuria di risorse per la ricerca scientifica. Un vero e proprio spreco, difficilmente giustificabile, di risorse che si sarebbero potute utilizzare, ad esempio, per il potenziamento dei PRIN. E questo accade in un paese che, nonostante un bassissimo numero di ricercatori rapportato alla popolazione (dai dati OECD, nel 2015 la percentuale dei ricercatori ogni mille occupati in Italia era pari al 4,73% contro una media europea del 7,40%) riesce a posizionarsi al di sopra della media mondiale per impatto medio della produzione scientifica (rapporto ANVUR 2016).

Un sistema che riesce dunque ad esprimere notevoli eccellenze, nonostante le condizioni economiche mettano i nostri scienziati in continua difficoltà.Restiamo quindi convinti dell’assoluta necessità di incrementare fino a decuplicare l’attuale investimento pubblico in ricerca di base. Necessità ricordata e rilanciata dal nostro appello, disponibile sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, avente come primi firmatari Michele De Luca, Gilberto Corbellini, Giulio Cossu e Roberto Defez e già sottoscritto da diversi docenti e ricercatori.

Per firmare il nostro appello per decuplicare i fondi alla ricerca CLICCA QUI