Il Biologo Redi: “Non è creare la vita, è riassemblarla come un Lego”

Il biologo Redi, Accademico dei Lincei, spiega le nuove innovazioni scientifiche che potrebbero portare incredibili benefici alla vita umana: “Impiegare ciò che è già vivente e sintetizzarlo: così potremo ‘portare in provetta’ la malattia e studiarla.”

Le scienze della vita, la biologia, in queste ultime due decadi hanno visto rivoluzionare i propri paradigmi concettuali e strumentali e passare dalla tradizionale «descrizione» del vivente alla capacità di «sintetizzare» il vivente.

Si badi bene, non «creare» ma sintetizzare: in altri termini impiegare ciò che è già vivente e riassemblarlo in termini diversi, in una sorta di «Lego» delle strutture del vivente. Già Craig Venter con la sintesi di Syntia aveva dimostrato questa capacità dei biologi. Oggi si aggiunge un’altra evidenza di grande rilievo grazie al lavoro di Sarah Ellys Harrison e colleghi (guidati da Magdalena ZernickaGoetz) dell’Università di Cambridge.

Mescolando cellule staminali embrionali e cellule staminali di derivati extra-embrionali (cellule precursori di strutture che partecipano alla formazione della placenta) i biologi di Cambridge sono riusciti a sviluppare in vitro strutture che mimano tutti i fenomeni biologici delle primissime fasi dello sviluppo embrionale pre-impianto. In altri termini hanno messo a punto un sistema sperimentale per studiare in modo puntuale, riduzionista ed estremamente fine a livello molecolare gli accadimenti cellulari e molecolari che caratterizzano il passaggio da embrione composto da pochissime cellule ad embrione nel quale si originano anche le cellule germinali.

L’intuizione alla base dello studio è una sorta di uovo di Colombo: coltivare le cellule su uno scheletro di proteine tridimensionale e non bidimensionale! In tal modo le cellule acquisiscono quella che si chiama «informazione da posizione» e riescono ad indirizzare tutte le fasi della morfogenesi mimando lo sviluppo degli embrioni naturali con la differenziazione cellulare verso tutti i tipi cellulari che vengono a comporre l’embrione nelle primissime fasi dello sviluppo.

Grazie al dialogo che si instaura tra le cellule staminali embrionali e quelle dei derivati extra-embrionali (trofoblasto) l’insieme delle cellule messe in coltura accende un’autorganizzazione che ricapitola esattamente la costruzione architetturale degli embrioni naturali.

In tal modo è stato possibile non solo mettere in evidenza i fattori di crescita (geni, proteine) che intervengono nel decidere la differenziazione cellulare di queste primissime fasi ma anche stabilire la cascata di eventi, in una architettura spazio-temporale, che G vede legati in una precisa gerarchia, in un preciso ordine. È questo un solido avanzamento del sapere embriologico che aiuterà a capire perchè in natura la stragrande maggioranza degli eventi di fecondazione non giungano all’impianto dell’embrione (più del 50% degli eventi di fecondazione vanno persi prima dell’impianto).

Questo modello di embriologia sperimentale dei mammiferi realizza poi una delle promesse della biologia delle cellule staminali embrionali: «portare in provetta la malattia» e studiare sin dalle primissime fasi dello sviluppo embrionale l’evolversi della malattia. Le staminali embrionali sono una necessità della biologia, non un’alternativa alle sta-minali somatiche (impiegate per terapie).

Sarà infatti possibile impiegare staminali embrionali di ogni malattia (o derivare staminali indotte simil-embrionali) e studiare l’evolvere delle primissime fasi embrionali in condizioni patologiche e, ad esempio, provare molecole per verificarne la capacità terapeutica o pensare di correggere con le tecniche di genome-editing (CRISPRcas9 per tutte) le mutazioni genomiche dannose.

Nel passaggio epocale del millennio delle scienze della vita ci si augura che filosofi, antropologi, giuristi e tutta la società civile voglia dibattere, al di la di legittimi pregiudizi ideologici o religiosi, questi avanzamenti del sapere biologico per sviluppare nuove forme di cittadinanza, una cittadinanza scientifica che permetta ad ogni cittadino di esprimersi in autonomia su ciò che desidera diventi possibile: viviamo in democrazie cognitive.