«La mia è una “malattia stronza”. Andrò in Svizzera per l’eutanasia»

Scatoloni contenenti le firme della proposta di legge di iniziativa popolare Eutanasia Legale

Ha deciso di morire perché non vuole più vivere con il dolore addosso. Ha deciso di morire perché – dice – la sua non è più una vita da vivere ma una condanna da scontare.

Vuole l’eutanasia, la vuole presto, prima che anche le ultime energie per questo viaggio senza ritorno gli vengano meno. Si chiama Davide T., ha 53 anni, vive in Toscana. Non vuole si sappia il suo cognome perché in Italia l’eutanasia è vietata e teme che la legge si metta di traverso. Parla a fatica, fa tante pause che sono silenzi pieni di rabbia, ma il tono è deciso. In una lunga telefonata racconta la sua storia. Da quando la Sla, che lui chiama «la malattia stronza», gli è entrata nel corpo. Aveva 27 anni, amava il calcio e la musica, aveva tante idee e la forza di realizzarle. Col passare degli anni, la malattia è diventata sempre più stronza, sempre più crudele, e così un mese fa Davide ha chiesto ad una clinica di Lugano il preventivo per il suicidio assistito. Ha supplicato la sua mamma anziana e malata di scrivere per conto suo la più atroce delle lettere. Ma morire costa.

Quanto le hanno chiesto?

«Servono 9500 euro, ma da solo non ce la faccio. Ho una pensione di 790 euro al mese. Ho chiesto aiuto a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che sta mettendo insieme la cifra per questo viaggio attraverso la disobbedienza civile www.soseutanasia.it».

Una precisazione: Cappato ha aiutato altri malati come Welby, Nuvoli e Walter Piludu a interrompere le cure. Ha accompagnato Piera Franchini in Svizzera, mentre a Dominique Velati ha dato i soldi per il viaggio e subito dopo si è autodenunciato dai carabinieri. Perché l’aiuto al suicidio in Italia è reato ed è punito con il carcere. Non è stato aperto nessun procedimento penale ma lui ripete «sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità penali pur di affermare il diritto di una persona a scegliere di non soffrire più».

Davide, perché vuole l’eutanasia?

«Ho tanti dolori in tutto il corpo. Ventiquattro ore al giorno, senza tregua. Posso muovermi sempre meno e qualsiasi movimento, anche il più piccolo, mi procura atroci sofferenze. Non voglio più vivere così».

Le medicine non leniscono la sofferenza?

«Prendo farmaci molto forti per placare il dolore ma non sono più efficaci. Non ho nessuna prospettiva, so che domani sarà peggio di oggi. Da un anno la mia vita è solo sofferenza».

Cosa potrebbe farle cambiare idea?

«Niente».

Neanche la notizia di una nuova terapia o una scoperta contro il progredire della sua malattia?

«Non ho nessuna speranza perché mi sono sottoposto a un ciclo di chemioterapia molto tossico, il massimo consentito. Quindi se anche un genio dovesse trovare una cura risolutiva, io non potrei riceverla avendo già fatto questa terapia molto invasiva».

Come ha scoperto la malattia?

«Era il 1993, avevo 27 anni. All’epoca facevo il barista e ho scoperto di avere la Sla perché non sentivo più un lato del mio corpo. Potevano spegnermi una sigaretta addosso, darmi una coltellata, ma ero completamente insensibile».

È stato subito così male?

«No. All’inizio la malattia era in una fase buona, quella remittente. Da dieci anni sono in un’altra fase, secondaria progressiva, e peggioro continuamente. Un peggioramento veloce, velocissimo».

Ha perso l’autonomia?

«Negli ultimi tre mesi non riesco più a far nulla. Non posso sfogliare un giornale, non posso star seduto a tavola per mangiare. Non riesco più ad abbassarmi per allacciarmi una scarpa».

Con chi vive?

«Con mia madre che ha vent’anni più di me. Ha 73 anni e ha molti problemi di salute».

Non ha una compagna?

«Dopo sedici anni, mi ha lasciato tre anni e mezzo fa. Mi ha detto che si era stancata di stare con un invalido. Mi ha portato da mia madre, in un posto bruttissimo. Da qui non riesco a vedere nemmeno il cielo perché davanti alla finestra c’è un palazzone orribile. Per sapere che tempo fa devo guardare il tablet. Questo era l’ultimo posto in cui volevo stare».

Ha amici?

«Sono spariti. Perché la malattia fa paura, ma non credevo spaventasse così tanto».

Come passa le giornate?

«A letto o in sedia a rotelle. Ho sempre lo stimolo di andare in bagno, prendo delle pasticche contro il dolore».

Quante?

«Non le conto più. Credo più di quindici. Sto prendendo anche il metadone solo che ha effetti collaterali».

Riesce a dormire?

«Questa mattina ci sono riuscito alle sette. Ho passato la notte a trovare la posizione meno dolorosa. Non ho neanche voglia di mangiare».

È molto magro?

«Ero alto un metro e novantadue, adesso sono tutto schiacciato e di lungo mi sono rimaste solo le gambe».

Non ha paura?

«Ho paura di non riuscire a fare il viaggio. Ogni giorno che passa peggioro sempre più. Vorrei fare tutto in fretta, temo che se passa troppo tempo non sarò più in grado di arrivare in Svizzera».

Ha mai pensato al giorno in cui potrebbe andare in Svizzera? Magari la paura ha il sopravvento.

«Se potessi partirei tra mezz’ora. Per me sarebbe una liberazione. La liberazione. Sarebbe come un sogno, una vacanza. Riesco ad accennare a un sorriso solo quando penso a questo viaggio».

Come immagina la fine?

«Serena, molto dolce. Ma io ho troppa voglia di andare via in fretta».

Sa cosa succede una volta in clinica?

«Mi daranno da bere un liquido e io lo berrò».

Domani è il decimo anniversario della morte di Welby. Chiedeva il diritto all’eutanasia, alla fine il suo medico staccò le macchine. Ha seguito la sua storia?

«Anche allora ero favorevole all’eutanasia. Sapevo che le mie condizioni di salute sarebbero peggiorate, ma non credevo di potermi ridurre in questo stato, di avere delle sofferenze così atroci».

Cosa amava fare nella sua vita precedente?

«Amavo vivere, facevo tante cose. La musica, lo sport. Ma adesso non me ne frega più niente. Perché vede, se io avessi dolore solo a una gamba, sarebbe più facile. Ma no, tutto il corpo mi fa male. Vivere mi fa male adesso».

Sua madre cosa dice della sua scelta?

«Mi vede tutti i giorni in questo letto… Mi capisce, soffre ma mi capisce».

I medici hanno cercato di farle cambiare idea? Non le danno qualche speranza?

«Non mi dicono niente. Io so che sono nella fase più stronza di una malattia stronza».

Gli altri familiari?

«Ho quattro fratelli, ma loro non li vedo da un po’».

La sua ex è sparita?

«No. Ogni tanto si fa viva».

Sa della sua decisione di ricorrere all’eutanasia?

«Sì. Non dice nulla ma è chiaramente d’accordo con me anche perché sa che io ho deciso e rispetta la mia scelta».

Ha pensato a un oggetto che le piacerebbe portare con sé per le sue ultime ore di vita?

«Sì».

Quale?

«Un sasso che mi regalò un amico quando eravamo in Sardegna come simbolo della nostra amicizia. Mi raccontò una bellissima leggenda sulle pietre e gli amici, ma adesso non la ricordo più».

Come immagina l’aldilà?

«Come il nulla, sono ateo. Secondo me dopo non c’è nulla».