È compito dello scienziato rifiutare la censura

Per una «restrizione insensata» nel 2009 le fu negato di partecipare a un bando per la ricerca sulle staminali. La censura della conoscenza, anche della conoscenza degli errori, è un crimine contro l’umanità. Per questo libertà di ricerca e censura devono vivere su due piani che non si incontrano mai. Parla Elena Cattaneo

Creare una Agenzia nazionale della ricerca in grado sia di porre il governo al riparo da nuovi “casi Stamina” sia di tutelare il mondo della ricerca da censure politiche. È tra le priorità della farmacologa e biologa Elena Cattaneo da quando nel 2013 è stata nominata senatrice a vita. Lei stessa nel 2009, come ricorda nel libro Ogni giorno. Tra scienza politica appena uscito per Mondadori, si vide negare da un bando del ministro Sacconi destinato alle ricerche sulle staminali la possibilità di partecipare alla gara con i suoi studi sulla Corea di Huntington.

Senatrice Cattaneo, quel bando dimostrò che c’è un modo istituzionale molto sottile per sopprimere o tenere sotto controllo la ricerca. Ci racconta quell’esperienza?

Quella vicenda racconta come da un fine nobile e proprio della politica, vale a dire finanziare un bando per la ricerca sulle cellule staminali e le loro potenzialità terapeutiche, il governo possa finire con l’ingerirsi nella scelte scientifiche che invece sono proprie degli scienziati, pretendendo di definire le strategie di ricerca per raggiungere quel fine. Il bando del 2009, ad esempio, precisava: «A esclusione delle cellule staminali embrionali». Inseriva una restrizione insensata, pesante al punto da escludere una ricerca legale e scientificamente inerente all’oggetto del bando. Per me era ed è un puro atto di censura ideologico-politica. Un semplice e illogico abuso di potere ai danni degli studiosi e dei cittadini. Dinamiche simili avvengono ogni giorno. Ed è compito degli scienziati rifiutarle.

La ricerca di base dovrebbe essere libera da condizionamenti ma in alcuni casi pare che solo lontano dall’Italia un ricercatore ha la possibilità di realizzare la propria identità professionale e sociale.

Premesso che non c’è ricerca di base senza un finanziamento dignitoso, credo che la ricerca in toto debba essere libera da ogni condizionamento. Una società che fa di questo concetto un “cardine” pone le condizioni per dare un’identità sociale al ricercatore. Il problema si pone quando la libertà di ricerca viene calpestata, ad esempio distribuendo le risorse, spesso irrisorie, in modo non competitivo, con strutture amicali o – peggio – inseguendo il puro consenso o, ancora, quando gli stessi ricercatori si prestano, magari descrivendosi come improbabili servitori dello Stato, a far parte di strutture di potere che governano da inamovibili soldi pubblici e carriere. Se un ricercatore sceglie di andarsene da luoghi simili, perché non si presta a questo, fa bene a se stesso e alla scienza. Se, invece, sceglie di restare e battersi è anche meglio perché fa il bene del Paese. Ovunque ci si trovi, reclamare diritti per sé e chiamarsi fuori quando le questioni toccano altri e quando è rischioso esporsi, è utilitaristico.

Quali strumenti ha un ricercatore per impedire che la politica condizioni il suo lavoro?

Prima di tutto se stesso e il rispetto del metodo a cui ha dedicato la vita, che impone libertà e confronto tra ogni idea, lottando contro ogni abuso di potere anche per non permettere la censura di un altro scienziato. Con le colleghe Elisabetta Cerbai e Silvia Garagna nel 2009 vivemmo in prima persona situazioni di questo genere: semplicemente, abbiamo denunciato l’abuso di potere, con il sostegno anche di altri colleghi. Sperimentando i cavilli a cui si aggrappa chi vuole impedire alla ragione – intesa come razionalità – di avere giustizia.

Dove finisce la libertà di ricerca inizia la censura, oppure il confine è meno marcato?

La ricerca è libertà. La ricerca della conoscenza, però, non può essere confusa – alcuni lo fanno ad arte come forma di censura subdola – con alcune assurdità, anche criminali, che la storia ci ha proposto. La censura della conoscenza, anche della conoscenza degli errori, è un crimine contro l’umanità. Per questo “libertà di ricerca e censura” devono vivere su due piani che non si incontrano mai, a meno di saltare da un piano all’altro. Alla libertà si associa sempre la responsabilità così come all’incomprimibile sete di conoscenza segue la proiezione tecnica della conquista conoscitiva. Quest’ultima può e deve essere discussa dalla società per individuare il miglior utilizzo di una scoperta. Nel rispetto di ciascuno, nell’interesse di tutti.