Diritti civili e libera ricerca

In questo articolo de Il Sole 24 Ore Michele De Luca, Co-presidente dell’Ass. Luca Coscioni e  Direttore del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” all’Università di Modena e Reggio Emilia, sottolinea ancora una volta l’importanza di una ricerca scientifica libera e l’assurdità dei divieti imposti alla scienza di oggi

Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta» (Dante, Purg. I 70-72)

Nella nostra Costituzione, largamente riconosciuta come una delle più belle del mondo, la radice liber- compare ben 31 volte. Meno frequente, ma ben delineata, è la presenza della scienza. L’articolo 9 riporta infatti che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e l’articolo 33 specifica che la scienza, insieme all’arte, è libera.

Nella realtà le cose stanno davvero così? La scienza non può essere libera, come la Costituzione prevede, se mancano le condizioni indispensabili per lavorare, come risorse umane e finanziarie da un lato e una politica aperta all’innovazione e al passo coi tempi, che sappia dotare il Paese di strumenti normativi che favoriscano il progresso scientifico e tecnologico, anziché frenarlo o addirittura vietarlo.

Vietare la libertà di ricerca significa impedire ai cittadini di beneficiare dei risultati della ricerca stessa e persino ledere le loro libertà civili, quando tali impedimenti normativi toccano da vicino le sfere più private della loro esistenza.

Mi riferisco ad esempio all’impossibilità sancita dalla Legge 40 di fare ricerca sulle blastocisti umane, impropriamente chiamate “embrioni”, come ho sottolineato più volte da queste pagine, che di fatto esclude i pazienti italiani che potrebbero beneficiare di nuove terapie a base di cellule staminali embrionali. Terapie che sono già in sperimentazione clinica con risultati molto promettenti all’estero, per esempio sulla degenerazione della retina, o molto vicine alla clinica, come gli studi su patologie neurodegenerative come il morbo di Parkinson a base di neuroni dopaminergici derivati dalle cellule staminali embrionali.

Discorso analogo vale per il decreto legislativo sulla sperimentazione animale che, recependo in maniera restrittiva il regolamento europeo (da cui la procedura di infrazione contro il nostro Paese), rende di fatto impossibili alcune ricerche che potrebbero avere un impatto significativo sulla salute pubblica, come lo xenotrapianto per le ricerche in campo oncologico.

Tali divieti imposti al progresso della scienza, e le implicazioni che ne conseguono, sono ancora più incomprensibili e civilmente intollerabili se a motivarli non sono impedimenti di tipo scientifico, come dimostrano i risultati positivi ottenuti nei Paesi i cui tali ricerche sono possibili, bensì prese di posizione ideologica che non hanno nessun fondamento scientifico. «Io non lo farei, quindi vieto anche a te di farlo» sembra essere il principale leitmotiv della società italiana e di certa politica, che ne è lo specchio. Con questo meccanismo opinioni squisitamente personali e individuali, fatte proprie da alcuni legislatori, finiscono per imporsi sulla libertà di opinione e di scelta di chi invece ha opinioni discordanti, contravvenendo così all’articolo 3 della Costituzione, in cui si afferma che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

–> Leggi anche l’intervista a Michele De Luca su  “L’importanza della ricerca per curare malattie gravi”

Questa privazione della libertà individuale e dell’uguaglianza investe anche altre libertà «civili» come le scelte procreative, la costruzione di un nucleo familiare con la persona che si ama indipendentemente dagli orientamenti sessuali o le scelte sul fine vita. Senza considerare che lasciare a qualcuno la possibilità di fare qualcosa non significa imporre a chi non è d’accordo di farla, cosa che parimenti rappresenterebbe una privazione della libertà. Legalizzare il divorzio non è equivalso a imporre a tutti di divorziare, così come legalizzare l’autodeterminazione del fine vita non equivarrà a costringere chi vuole vivere fino all’ultimo respiro sopportando atroci sofferenze a porre fine alla sua vita.

Se la dottrina cristiana, attraverso il libero arbitrio, concede all’essere umano la possibilità di compiere scelte anche contrarie ai dettami della religione ovvero di «peccare» (altrimenti non avrebbero senso né la confessione né il «perdono»), perché proprio i cattolici sono in prima linea nel privare altri esseri umani dello stesso libero arbitrio in scelte così private della propria vita? Se «peccare» significa scegliere per me di morire con dignità e umanità, quale altro essere umano può arrogarsi il diritto di impedirmelo o giudicare se sia giusto o no? In questi contesti non esiste una scelta giusta o sbagliata. Esiste solo la libertà di scegliere o la negazione di questo diritto, che ritengo sia la forma di violenza più odiosa da tollerare. E mi sento ancora più rassicurato quando leggo, proprio in questi giorni, che a invocare la possibilità di tale scelta non è solo un laico come me, ma anche un religioso (e premio Nobel per la pace) come l’arcivescovo Desmond Tutu, che di diritti umani decisamente se ne intende.

–> CLICCA QUI per riascoltare l’intervista a Michele De Luca su Radio 3 in merito alla decisione della Consulta sull’impossibilità di utilizzare embrioni malati per la ricerca