Le risorse per la ricerca non finiscano a pochi noti

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Corradino Mineo

La senatrice a vita contesta la scelta del governo Renzi di affidare Human Technopole, grande progetto di ricerca su genoma e Big data, all’Iit di Genova, che già riceve ingenti fondi pubblici e li accantona. Intervista a Elena Cattaneo

Da quando Napolitano l’ha nominata senatore a vita, Elena Cattaneo usa il laticlavio per sostenere la ricerca italiana, affermarne il metodo, difenderne la necessaria autonomia. Questo impegno la porta ora a denunciare una scelta del governo Renzi che non condivide affatto. Quella di concentrare le risorse per la ricerca in poche mani. Mani libere di agire con i criteri che usano nel privato, efficienza manageriale innanzitutto, rapporti privilegiati con le grandi aziende, discrezionalità. «Nella scienza, così come in tutti gli altri ambiti, i ruoli devono essere distinti in base a obiettivi e competenze. È un bene che il governo decida di impegnare cospicue risorse pubbliche in un grande investimento per la ricerca – e sappiamo tutti quanto ce ne sia bisogno – ma non dovrebbe decidere tutto da solo, né improvvisare» dice la senatrice. A ciascuno il suo ruolo, dunque. «La politica, dopo aver acquisito le opportune informazioni, dovrebbe scegliere gli obiettivi da perseguire ma lasciare la selezione dei mezzi migliori per raggiungerli alla libera competizione fra idee e proponenti.Esperienze e analisi internazionali dimostrano che è un errore stabilire per legge quale progetto scientifico sostenere e che concentrare il denaro pubblico in poche mani produce una resa minore, una produttività scientifica inferiore, rallenta l’innovazione e ostacola l’eccellenza scientifica. E la diversificazione competitiva tra le idee, invece che la concentrazione su una proposta, che andrebbe perseguita».

In un documento depositato in Senato, Elena Cattaneo sostiene che l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, scelto da Renzi per il dopo Expo e che dovrebbericevere dallo Stato almeno 1,5 miliardi in 10 anni, non ha le competenze indicate per sviluppare Human Technopole. E già si comporta come collettore di competenze esterne e distributore di fondi pubblici.Quali i guasti di tale metodo?

Dal 2003, anno in cui è stato istituito, ad oggi, in Parlamento diverse interrogazioni chiedevano se il governo avesse in qualche modo approvato la trasformazione dell’Iit in agenzia di finanziamento, senza averne titolo né diritto. Di fatto, l’Istituto di Genova negli anni ha selezionato discrezionalmente e proposto il finanziamento a partner di ricerca da lui prescelti, utilizzando parte delle risorse disponibili, che – ricordiamo – sono fondi pubblici. Ciò ha permesso di attivare collaborazioni e di rinforzare la propria produzione scientifica attraverso l’acquisizione di lavori e idee di altri, non sviluppandone o stimolandone di nuove. L’aspetto che più mi preme è che, in altre parole, Iit ha “coinvolto o finanziato” studiosi che avrebbero titolo per competere presso la fonte delle risorse pubbliche direttamente, essendo loro gli ideatori della linea di ricerca, senza passare attraverso altri enti intermediari. Inoltre, la gestione di fondi pubblici comporta una serie di doveri e responsabilità: centri di ricerca come l’Iit, che appunto nasce come fondazione di diritto privato finanziata con ingenti risorse pubbliche, non possonosottrarsi alle pubbliche rendicontazioni e all’amministrazione trasparente, come più volte rilevato dalle agenzie di controllo.

Hai dimostrato come i brevetti di Iit siano molti meno di quelli vantati, e come la Corte dei Conti ha rilevato che ben 430 milioni di denaro pubblico siano stati accantonati da lit. Dunque si può mettere in dubbio la stessa efficienza, privatistica, dell’istituto?

Non possiamo prescindere dai fatti. Se guardiamo ai brevetti, i dati sul trasferimento della proprietà intellettuale di Iit sul mercato non sembrano provare che il “modello Iit” abbia funzionato. Tra il 2013 e il 2015, sono solo quattro le aziende, la maggior parte di piccole dimensioni, che detengono diritti per sei brevetti. Infine per quel che riguarda il numero di brevetti di lit, va precisato che, sebbene più volte sia stato riportato che detenga oltre 300 brevetti, nella realtà si tratta in misura significativa di mere domande, depositate a fronte di un semplice pagamento annuale e che non ha valore di protezione della proprietà intellettuale fino al momento del rilascio del corrispondente brevetto (quindi trattasi di brevetti potenziali). Inoltre, è possibile desumere dall’analisi del sito internet di lit che tali domande coprono al più 180 invenzioni indipendenti (ogni invenzione può essere coperta da diverse domande di brevetto, per esempio in diversi Paesi).

Se dovessi spiegare a un giovane ricercatore perché le scelte del governo aiutino, cosa gli diresti?

I miei interventi sono legati anche allo svilimento dei ricercatori italiani, giovani e meno giovani, scoraggiati perché convinti che se non sei amico di qualcuno che conta non riceverai il finanziamento, se denunci condotte deviate rischi di essere escluso mentre se taci potrai aspirare alla “spartizione della torta“. A questo si aggiungono i mille difetti del sistema di finanziamento della ricerca pubblica italiana: la frammentazione, la discontinuità e la scarsa garanzia di valutazione. Le ultime scelte operate dal governo continuano ad andare in questa direzione. Oltre ai tagli al fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica del Miur e ai fondi destinati a iniziative per la diffusione della cultura scientifica, oggi, di fronte alla prospettiva di un investimento di oltre un miliardo di euro in dieci anni per HT, il governo fa carta straccia dei principi alla base del metodo scientifico, cioè assegna denaro pubblico con decisione discrezionale, senza competizione. Non è questo il modo di favorire il merito né di stimolare le nuove idee. E senza idee un Paese condanna a morte la propria competitività.

Di recente, il presidente del Cnr Inguscio si è prodotto in una strana esternazione contro le vestali dell’etica, nel mondo scientifico. Esternazione duramente e giustamente ripresa da numerosi intellettuali e scienziati. Vedi un rapporto tra questa sparata di Inguscio, che sembrava rivolgersi pure a te, e la politica del governo?

Non posso sapere se le affermazioni del presidente del Cnr siano state stimolate da mie dichiarazioni, né se abbia voluto apertamente difendere la decisione del governo. A mio parere, ciò che conta è la mancata comprensione dei danni che produce al sistema italiano della ricerca l’operazione che il governo sta attuando nell’area ex-Expo, quindi la decisione di conferire a un ente beneficiario una notevole quantità di soldi pubblici in modo totalmente arbitrario, che è una vera “corruzione” dell’etica della scienza e dell’etica pubblica. Sono soldi dei cittadini quelli di cui si parla e giudico immorale che si mettano 80 milioni di euro per legge nella disponibilità di un beneficiario senza essere sicuri che si tratti del più meritevole e senza sapere fin da subito come saranno spesi. lo non conosco altro modo per stabilire chi sia meritevole, se non un confronto libero e trasparente na ogni idea, ente e proponente.

Proponi un’agenzia per la ricerca: come potrebbe funzionare?

Accennavo alla frammentazione delle modalità con cui vengono erogati i fondi per la ricerca e alla scarsa valutazione che accompagna le assegnazioni. L’Italia, inoltre, è tra i pochissimi Paesi in Europa, insieme a Montenegro, Polonia e Serbia, in cui i finanziamenti alla ricerca sono distribuiti dai ministeri, cioè da istituzioni politiche. L’agenzia costituirebbe invece un ente terzo e indipendente dalla politica, cui spetterebbero la decisione sui piani di investimento, e dalla comunità degli studiosi, a cui spetta adoperarsi per raggiungere gli obiettivi stabiliti da governo e Parlamento. L’agenzia deve essere competente e trasparente. I suoi compiti andrebbero dallo sviluppo delle procedure per l’erogazione di denaro pubblico al controllo sulle procedure stesse, dalla supervisione nella distribuzione dei finanziamenti pubblici competitivi al monitoraggio dei risultati che con quei finanziamenti si intendono raggiungere, dal monitoraggio delle aree strategiche della ricerca scientifica su cui investire a un possibile ruolo di consulenza per il governo per la politica della scienza. L’agenzia non comporterebbe maggiori spese per lo Stato. Basterebbe reindirizzare finanze e risorse umane oggi frammentate in più enti e istituzioni, per concentrarli in un’unica struttura. Nello stesso tempo si potrebbe provvedere a una dotazione finanziaria sufficiente a garantirne l’immediata operatività, reindirizzando verso questo nuovo ente una parte dei flussi di finanziamento pubblici, classificati dallo Stato come investimenti, ma oggi destinati inspiegabilimente a soggetti che li trasformano in “accantonamenti finanziari” di centinaia di milioni di euro, come lit.

Promette Giannini che il governo investirà di più nella ricerca. Una buona novella?

È di sicuro un bene che nel nostro Paese si senta parlare di ricerca, che si sia risvegliato un dibattito pubblico sull’argomento e anche le intenzioni del governo di riprendere a investire in questo settore sono una buona notizia, ma solo se accompagnate da procedure competenti, rigorose e trasparenti per le assegnazioni. Come dimostra il caso di Human Technopole, non è l’investimento in sé che conta, quanto come si decide di portarlo a termine. La politica deve avere più fiducia nella scienza, affidarsi al suo metodo. E gli scienziati non possono pretendere il metodo scientifico “a giorni alterni” dimenticandosene quando sono i diretti beneficiare di fondi pubblici. Politica e scienza devono perseguire unicamente l’interesse del cittadino. La libera competizione tra idee, proponenti, enti seguita da selezione terza, competente e indipendente è l’unica modalità per garantire al cittadino il miglior impiego del denaro pubblico.