Trump, puniresti Valentina perché ha abortito?

donald trump.jpg
VanityFair.it
Monica Coviello

Una «qualche forma di punizione» per le donne che abortiscono. La sancirebbe Donald Trump, candidato repubblicano alla Casa Bianca, in un intervento sull’emittente Msnbc. Salvo, poi, correggere il tiro: è il medico che pratica l’aborto che «dovrebbe essere ritenuto responsabile, non la donna». Il businessman newyorkese, che nel 1999 aveva detto che l’aborto non gli piaceva, ma che era comunque per la libertà di scelta, sembra avere cambiato idea.

In Italia, una «punizione» per le donne che abortiscono sembra già in atto. Lo spiega Filomena Gallo, segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, che ci racconta la storia di Valentina, una giovane donna a cui ha dato assistenza.

«Valentina era incinta, ma era portatrice di una traslocazione, un errore cromosomico. Gli esami medici hanno evidenziato, nel feto, malformazioni incompatibili con la vita: anche se la gravidanza fosse stata portata a termine, la neonata sarebbe morta».

«Potete immaginare come la gioia della gravidanza sia stata annientata dal dramma di doverla interrompere. Valentina si è rivolta a diverse strutture, ma trovava sempre medici obiettori di coscienza, che non l’avrebbero aiutata a interrompere la gravidanza. Poi ne ha trovato uno disposto a seguirla».

«Quando Valentina era ricoverata, l’iter proseguiva correttamente fino a quando era in turno il medico non obiettore. Appena finiva il suo orario di servizio, nonostante lei avesse già cominciato la terapia, nella camera arrivavano persone che cercavano di dissuaderla dall’interrompere la gravidanza, e le mostravano santini e immagini. Inoltre, gli altri medici, gli obiettori, non la seguivano, come se non fosse una paziente».

«Poi Valentina ha sentito il bisogno di andare in bagno e si è sentita male. Non avrebbero dovuto lasciarla andare: la sensazione di dover urinare è una tappa dell’interruzione di gravidanza, e in quel momento la donna deve essere monitorata. Così non è stato. Senza saperlo, Valentina ha espulso il feto, nella tazza del gabinetto. Il marito se ne è accorto e ha chiamato il personale, che ha tagliato il cordone ombelicale e ripulito tutto».

«A lei non hanno detto quello che era accaduto: l’hanno portata in sala parto per il raschiamento, quando la sua piccola era già stata espulsa».

Valentina ci ha messo anni a riprendersi e a trovare la forza di raccontare la sua esperienza. E dice: «Non so davvero perché io abbia dovuto subire tutto questo: c’è una legge che tutela la maternità».

Filomena Gallo spiega che la legge 194 del ’78, in vigore, tutelerebbe effettivamente la maternità: «E’ una norma ben fatta, ma in Italia non è applicata. Fino a quando lo era, aveva contribuito alla scomparsa della piaga dell’aborto clandestino, un pericolo per la salute della donna. 

Ma in questi anni numero dei ginecologi obiettori è aumentato in numero sproporzionato, e le donne che devono interrompere la gravidanza spesso iniziano una via crucis che sembra infinita, prima di riuscire a trovare chi le aiuterà». Così l’aborto clandestino «sta tornando, viene praticato con i farmaci acquistati su internet, e per le donne che lo praticano è anche previsto l’arresto».

Invece, come sostiene l’associazione Luca Coscioni, «anche senza mettere in dubbio l’obiezione di coscienza, dovrebbe essere obbligatorio il turn over dei medici non obiettori: le pazienti devono essere assistite anche quando il loro ginecologo finisce il turno, e le strutture dovrebbero provvedere a garantirlo, non lasciare le donne abbandonate a se stesse. Se manca il medico per il turn over, bisogna comunque assicurare che il servizio non si interrompa, chiamando un medico a gettone. Servirebbe anche un albo pubblico dei medici non obiettori: è quello che chiediamo come associazione».

«L’opinione comune è che le donne che hanno preso la decisione di abortire debbano essere punite, e nel peggiore modo possibile – dice Gallo -. Purtroppo qua è già una realtà».