“La scienza medica aiuta molto, ma è anche molto esigente in termini di tempi e di rispetto dei vari protocolli e delle varie terapie ma posto che sono stata messa, senza volerlo, di fronte a un’altra sfida da affrontare non ho alternativa che affrontarla con fiducia, se volete, ma anche con molta disciplina e molta determinazione, come immagino facciamo in molti. Senza per questo, come dire, essere bollati, ristretti o identificati con la nostra malattia. In realtà sono sfide o problemi che fanno parte di un percorso di vita.
Quello che da liberale o da persona normale trovo assolutamente stravagante, e quindi inaccettabile, è che quando la scienza trova delle tecniche per alleviare delle sofferenze o comunque per superare degli ostacoli che la vita ti propone, molto spesso viene poi fuori una specie di antiscientismo completamente gratuito. Lo vediamo in tanti campi in cui tra lo scienziato e Frankenstein non c’è molta differenza. Gli scienziati sono visti e dipinti come stregoni che si inventano chissà che cosa, mentre la disciplina della ricerca è una delle discipline più accurate che esistano e anche delle più rigide, peraltro con un controllo orizzontale tra i vari ricercatori, i vari istituti di ricerca molto forte.
Lo dico per molti campi, ma è come se nel nostro Paese si fossero venute accomunando negli ultimi anni due stereotipi ideologici particolari, uno è esattamente quello tradizionale che è sempre attribuito alla chiesa o ai cattolici. Dico bene attribuito perché spesso è vero, verissimo. Chiunque ricordi il 2005 e il referendum della Legge 40 del 2005 non può dimenticare l’interferenza, molto pesante, della chiesa, all’epoca guidata dal cardinale Ruini, non per dire ai credenti non lo fate, no, per dire esattamente non votate. Ricordo uno degli slogan più efficaci dal punto di vista del risultato, cioè far fallire il referendum, dell’epoca fu “sulla vita non si vota”. Se riflettete su quello slogan, che peraltro era un puro slogan da Realpolitik, quale è stato il calcolo di Ruini? La chiesa, la parte più clericale in Italia, sulle domande semplici, referendarie sì o no, che sia sul divorzio o sia sulla legalizzazione dell’aborto contro l’aborto clandestino, quando si è schierata per il no ha sempre perso, sempre. Quando si schierò contro il divorzio ha perso, nel dibattito diretto sì o no, che poi alla fine è chi decide di fronte a scelte impegnative e drammatiche della vita, alla fine chi decide? La chiesa ha sempre perso, la parte più clericale della chiesa. Qual è stata l’astuzia di Ruini? L’astuzia di Ruini fu, un calcolo da puro politichese, in Italia normalmente il 25% delle persone non va a votare comunque che si tratti di referendum o che si tratti di qualunque altra cosa, e che quindi bastava convincerne solo un altro 25% per far fallire il referendum.
Voi dite questi calcoli li deve fare qualche politicante raffinato, no, li ha fatti proprio Ruini, semplici, semplici, matematici. Il 25% comunque non va, poi tanto metteranno il referendum il 15 giugno, 30 gradi, pieno di famiglie che sono andate al mare, e infatti puntuali non si scampa da questo. Potessero mettere i referendum, non possono per legge, il 15 agosto sarebbe sicuramente la data ritenuta più adeguata perché uno è in relax e quindi non ci pensa. Per fortuna per legge non si può, e quindi va tenuto entro il 15 giugno e ci fa piacere.
L’idea è: il 25% non va, comunque a noi basta che convinciamo il 25% e ci riuscì. In quella mobilitazione furono sfiorate veramente le 8000 parrocchie italiane. Non so chi ricorda il clima di quella campagna in cui noi proponenti, in particolare una parte dei proponenti, sbagliammo anche la campagna, lo dico ai compagni del Pd che sono stati fondamentali per raccogliere le firme, ma l’impostazione voluta dare alla campagna fu un’impostazione che non ci aiutò, ci trasformò tutti in pseudo scienziati. Per questo alla fine nei dibattiti, com’è tipico di un referendum, tra chi decide, chi sceglie qual è la libertà individuale legata alla responsabilità, ci eravamo tutti trasformati in pseudo scienziati, lasciamo perdere quelli televisivi che furono pochissimi, ma anche quelli che riuscivamo a organizzare in giro per l’Italia era una roba in cui ognuno di noi che parlava era assolutamente costretto a sapere tutto di gameti, questo per la procreazione assistita. Per fare figli nessuno deve sapere niente, giusto? Vengono così! Per aiutare a farli bisogna essere degli scienziati che è una roba abbastanza particolare e ci avevi sempre lo scienziato di turno, magari vero, magari no, che ti contestava su chissà quale sigla possibile immaginabile.
Abbiamo accettato una campagna elettorale secondo un’impostazione che non era il nostro mestiere, perché alla fine il punto era, è e rimane sempre quello sulle scelte della vita chi decide al posto degli adulti italiani. Che sia la morte dignitosa, che sia l’eutanasia, tutti quelli che da ragazza mi hanno insegnato a chiamare diritti civili, improvvisamente sono diventate questioni eticamente sensibili, poi invece sono diventati principi non negoziabili, non so quale altra cosa ci inventiamo, trattasi banalmente di diritti civili e già basta e avanza nell’implicazione che questo implica nel rapporto tra cittadini e istituzioni e cittadini e lo stato.
Oggi trattiamo una questione che certamente attiene a un momento altro della vita di molte coppie rispetto per esempio a quello di una morte dignitosa o rispetto a quello di divorziare o non divorziare, ma fanno sempre parte del percorso e delle difficoltà della vita. La risposta di uno stato liberale non può essere, a mio avviso, in questi momenti in cui magari non c’è neanche la certezza, di premiare la responsabilità individuale perché comunque non ti puoi sostituire, non è che puoi impedire il divorzio a qualcuno perché metti un Carabiniere a ogni coppia. Non è che puoi impedire dei fenomeni sociali, li puoi legalizzare, ordinare, puoi dare delle regole. L’esempio francese insegna che queste regole possono anche essere progressive, possono mutare nel tempo, evolvere nel tempo, preso atto di un’evoluzione della società, perché questo la legge richiede, non di bloccare una società ai tempi passati ma di accompagnare, mettendo un po’ di regole, l’evoluzione di una società.
L’impostazione francese che l’ambasciatore Colonna ha chiarito molto bene, cioè la prevalenza medicale nel favorire un progetto di coppia quando ci siano ostacoli medici, sta evolvendo perché stanno dibattendo adesso, e beati loro che dibattono, che ancora hanno il gusto del dibattito o comunque di discutere di questi temi senza troppi tabù. Sta evolvendo adesso, per esempio, sulla fecondazione medicalmente assistita di coppie di donne lesbiche, che non è un problema di medicalmente assistito, è un problema di decidere se una domanda definita sociale è oggi parte del panorama di vita di un paese o non lo è.
Credo che tenere conto dell’esperienza, dell’evoluzione della società è un principio importante e prudente. La proibizione non tiene conto di questo, non tiene neanche conto se funziona o meno, perché alla fine si andava alla Sacra Rota. Mi scuserete se io torno sempre su questo lungo filone dei diritti civili, ma perché cambiate le modalità, le circostanze, il tema di fondo rimane sempre quello con divieti particolari di questa Legge 40 che già quando passò sono veramente orrendi, pensate alla proibizione della diagnosi preimpianto per le coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche no, quelle no! Ricordo anche un dibattito particolarmente astruso che era quello su tre embrioni. Provando a dire: ma c’è un qualche protocollo scientifico perché non cinque, perché non sette, avete tirato a sorte, qual è il criterio? Risposte? Nessuna. Oppure l’idea di impiantarli tutti.
È un dibattito del 2004, la legge è del 2004, non parliamo di un dibattito che avvenne in un altro tipo di società un secolo fa, stiamo parlando di un dibattito parlamentare con voto parlamentare avvenuto dieci anni fa.
Alla fine abbiamo perso il referendum oltre per la furbizia del clero ma anche sostenuti da un notevole schieramento anche di tipo politico, si dicono delle stranezze ogni tanto che se uno riflette… i parlamentari avevano appena votato sulla Legge 40, lo slogan era “sulla vita non si vota”, cioè i parlamentari votano, voi cittadini andate al mare. Se uno ci riflette vi dà anche il senso di una distorsione istituzionale di grande preoccupazione.
“Sulla vita non si vota”, già lo slogan è peculiare, diciamo, ma il Parlamento aveva appena votato, ma chi non poteva votare erano magari gli utenti possibili o i cittadini che comunque utenti o non utenti ritenevano che questa possibilità fosse data con regole alla responsabilità individuale.
Nella scheda in cartellina trovate l’elenco dei divieti che coppie come voi assistite dalla Luca Coscioni o da altri avvocati portati di fronte alla Corte sono riusciti a far cadere. È un elenco abbastanza impressionante che ti porta a chiedere: ma come ha potuto il Parlamento italiano votare una legge che è così piena di limitazioni, dichiarate successivamente anticostituzionali? Com’è stato possibile che mille parlamentari o quanti siamo, si riesca a votare un mostro giuridico tale? Se guardate l’elenco è abbastanza impressionante. C’è un elenco che non finisce mai e in più con un divieto ancora in vigore sulle coppie dello stesso sesso, ma gli altri o per via della CEDU, o per via della direttiva europea o per sentenza della Corte ti viene da chiederti ma com’è stato possibile avere votato un mostro giuridico di questa portata?
Mi sembra che se qui siamo lo dobbiamo agli sforzi delle associazioni tutte quante insieme, agli sforzi delle coppie e anche all’aiuto di alcuni giornalisti che almeno provano a fare conoscere. Quello che trovo fantastico in tutta questa discussione sui diritti civili sono le cosiddette riforme senza spesa. Costa la proibizione ai cittadini, perché ognuno va in giro spendendo migliaia di euro, ogni coppia, in una specie di turismo sanitario che è sempre quello dai tempi dell’aborto clandestino. Finendo in situazioni che pesano. Come se fosse una tassa aggiuntiva, non sta scritta da nessuna parte che è una tassa, però alla fine il divieto te la crea, con in più un peso psicologico di tensione non indifferente.
Sulla morte dignitosa davvero ti viene da dire: potreste per favore pensare a togliere agli italiani l’umiliazione di dovere tentare di andare in Svizzera per riuscire a morire dignitosamente? Non è che qui uno sta chiedendo chissà quali privilegi, semplicemente l’idea di sceglierselo, decidere di riuscire a terminare o comunque a completare un percorso di vita che termina obiettivamente con la morte, com’è noto, in un modo possibilmente dignitoso e che nessun altro può scegliere per te. Tutto questo sembra non prioritario in questo Paese in cui la questione dei diritti civiliè come se si fosse a un certo punto fermata, essendo divenuti non negoziabili o comunque eticamente sensibili si è semplicemente fermata in un qualche modo, ma la società va avanti per conto suo ed è diseducativo anche nel rapporto stato-cittadini che di fatto ognuno se la veda per i fatti suoi, tornando al vecchissimo “si fa ma non si dice”, con delle storture fantastiche.
L’idea che sulla ricerca scientifica non possiamo utilizzare gli embrioni ma li importiamo, ragazzi se ci pensi non è male come credibilità istituzionale. Guardi, noi li buttiamo però i suoi francesi noi li compriamo volentieri, i nostri li buttiamo, non si preoccupi non fa niente e andiamo in giro a comprarne altri. Sono cose che ti danno la parte ipocrita e schizofrenica di una situazione che la comunità scientifica ha da tanto tempo denunciato, ma non c’è verso di andare avanti. È un po’ come la questione antiscientifica sulla quale non si può riflettere, su cui almeno discutere sarebbe importante, ma c’è questo antiscientismo che è diventato imperante nel nostro Paese che si combina con la parte più reazionaria o quella che si vuole impegnare di meno. C’è tutto il grande scandalo degli Ogm, peccato che ne importiamo tonnellate ogni anno e finiscono in tutti gli alimenti che mangiamo, però non si possono produrre da noi.
Uno dei meriti, secondo me, di questi eventi è di tenere viva la voglia di discutere, perché una società che non discute più, che ha paura di dibattere, una società dal conformismo per cui è meglio tacere, per cui è meglio che ognuno se la sbriga per i fatti suoi, è una società che spaventa, almeno che mi spaventa. Una società e una classe politica che è portata a qualunque tipo di micro conflitto possibile immaginabile, su cui avete dichiarazioni di tutti i tipi tutti i giorni in politichese puro, ma che ha paura di affrontare l’evoluzione della società e quindi di applicarsi e anche solo di discutere, è una società di cui avere paura, perché è una società di grande connessione tecnologica, in cui tutti pensano di sapere tutto, in cui tutto si semplifica a un tweet di 140 battute, anche quello che non è semplificabile, in cui tutti e in particolare i politici devono reagire a tamburo battente. Succede una cosa alle 8,30, bisogna assolutamente reagire alle 8,31, possibilmente proibendola perché così viene più semplice! Questo però implica la negazione della complessità, mentre oggi la leadership vera, a mio avviso, quella più difficile da esercitare è quella di governare le complessità. Eliminare le complessità è impossibile, negare le complessità, la leadership più complessa non è negare l’immigrazione, la leadership vera è riuscire a capire quale politica può porre un po’ d’ordine in un fenomeno che è sociale, che appartiene all’umanità, qui pare che l’immigrazione l’abbiamo scoperta ora con i barconi. Ogni famiglia in casa nostra ha perlomeno un nonno o uno zio emigrato, basterebbe leggere alcune lettere per capire cosa era all’epoca, neanche tanto tempo fa peraltro. No, noi proibiamo e facciamo prima. L’importanza di governare la complessità questa è la leadership che ci serve oggi in questo momento così appiattito del nostro Paese, così conformista, forse meno sguaiato di quel dibattito, per esempio, su EluanaEnglaro che non dimenticherò mai in Parlamento. Fu veramente un dibattito sguaiato, terribile, una pagina istituzionale da cancellare per dignità istituzionale.
Credo questo sia, al di là del tema specifico che vi riguarda e vi coinvolge, l’importanza di tenere vivi i diritti civili. La debolezza è che ognuno storicamente anche in questo Paese un po’ ovunque capisce l’importanza dei diritti civili e negati quando ci passa, ma difficilmente si allarga agli altri e quindi questo divide et impera, per cui chi si occupa di gay lo fa perché è gay, chi si occupa di Legge 40 è perché ci passa, chi si occupa di un’altra cosa perché lo vive, chi scopre le carceri perché ci finisce, perché se no prima la questione giustizia o mala giustizia non ci aveva mai pensato e la questione insopportabile delle carceri non l’aveva mai vissuta, se ci capita lo capisce nel giro di circa 24 ore qual è la situazione. Diventa, poi alla fine, la nostra fragilità, questa incapacità in qualche modo di uscire che umanamente è assolutamente comprensibile, nessuno di noi ha tempo di fare chissà quali cose. Dobbiamo anche riflettere che se noi mettessimo la violazione del diritto nel nostro Paese, dalla mala giustizia alla Legge 40, a tutto quello che volete, la grande maggioranza di cittadini e cittadine italiane si troverebbe col diritto violabile o col diritto calpestato.
La cosa più importante da tenere in mente nei progetti di vita di ciascuno, sia quelli personali, sia sociali, è che il diritto è lo strumento in qualche modo più utile, quando c’è, dei deboli. In fondo i forti e i prepotenti non è che ne hanno tanto bisogno, ma lo stato di diritto è il vero strumento di difesa e di promozione del cittadino in quanto tale, anche di quello più debole, anche di quello meno potente. Nel nostro Paese mettete insieme i vari settori e vedete quanti sono i cittadini che per un verso o per un altro hanno diritti negati, e senza lo stato di diritto rimangono solo pratiche molto popolari nel nostro Paese: le raccomandazioni, le questue, i favori. Siccome non c’è stato di diritto alla fine ci si arrangia. Questo veramente è un degrado della dignità del cittadino che ha anche il diritto, se gli si chiede di essere un bravo cittadino, di avere in cambio uno stato di diritto che funzioni.
Gli arroganti e i potenti dello stato di diritto a breve termine non ne hanno bisogno, per il cittadino in quanto tale lo stato di diritto è l’unico strumento di difesa che ha. Per questo credo nell’importanza, al di là del tema specifico e dell’aberrazione che abbiamo visto in questi anni, di tenere vivo e di promuovere anche momenti così conformisti come questo l’idea delle istituzioni, del rapporto stato-cittadino, dei diritti e dei doveri e del rapporto libertà e responsabilità. Credo questi siano i temi che definiscono una società.
Avere perso il gusto di dibattere su questo, di scontrarsi su questo ci ha fatto solo precipitare e non siamo più in grado di affrontare i conflitti, siamo precipitati nelle microconflittualità. I grandi conflitti anche ideali ci spaventano e invece sono il sale del dibattito e della terra. L’alternativa è la microconflittualità imperante che vedete in gran parte del dibattito partitico in questo Paese.
Grazie dell’iniziativa, della vostra forza, della vostra costanza e l’augurio è di riuscire a fare sponda davvero con tutte quelle altre parti e associazioni che si occupano di altre attività della vita dei diritti violati.”
(Testo non rivisto dall’autore)
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L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.