Non solo Stamina. Difendersi dalla pseudo scienza

Domenicale Sole 24 ore
Corbellini, De Luca

Siamo allergici all’illogicità e al relativismo, ma non siamo esperti di diritto. Così abbiamo chiesto a parenti, amici o colleghi professionisti in diversi ambiti della giurisprudenza di spiegarci come mai nella vicenda Stamina, a fronte delle stesse leggi e decreti, e sostanzialmente di tesi e documentazioni fotocopie presentate dalle parti per chiedere e opporsi alla somministrazione dello pseudo-trattamento di Vannoni & Co presso gli Spedali Civili di Brescia, due terzi circa dei giudici hanno “prescritto”, cioè obbligato gli Spedali Civili a somministrare il trattamento. Mentre un terzo ha giudicato infondate le richieste. Abbiamo anche chiesto come sia possibile che dei tribunali italiani ammettano l’esistenza di relazioni di causalità tra la somministrazione del vaccino trivalente e l’insorgenza di disturbi autistici, dando credito a perizie fantasiose e pseudoscientifiche. Abbiamo ricevuto risposte vaghe e quasi tutte insoddisfacenti. Sarà anche vero, come sostengono alcuni giuristi, che nella vicenda Stamina sarebbe bastata una legge che evitasse la disapplicazione dell’ordinanza amministrativa AIFA che nel maggio 2012 bloccava l’attività Stamina negli Spedali Civili, per evitare questi problemi. Certo, qualche dispositivo normativo servirebbe per tutelare l’ingente, costoso e qualificato lavoro che AIFA svolge per vigilare sulla sicurezza e l’efficacia dei farmaci pagati con le nostre tasse. Ovvero sarebbe saggio prevenire il rischio che un qualsiasi giudice, senza motivazioni di natura tecnica (o penale) ma solo formali, possa vanificare decisioni ponderate e giustificate da perizie di qualità e attendibilità superiore. Pensiamo tuttavia che diversi illogici pronunciamenti di tribunali su materie, dove le prove in discussione avevano una natura scientifica o tecnica, sollevi una più generale questione sullo stato dei rapporti tra diritto e scienza. Quantomeno in Italia. Riteniamo cioè urgente una riflessione sulla necessità di ridurre i margini di arbitrarietà dei giudizi dei tribunali su tali materie. Onde evitare che un giudice dell’ormai famoso Tar del Lazio possa, come ha fatto, disapplicare il decreto con cui il Ministero aveva nominato la Commissione scientifica che valutava il trattamento Stamina, perché alcuni degli scienziati arruolati si erano già pronunciati contro. Ovvero che un altro possa, come ha fatto, addirittura nominare il vice presidente della Fondazione Stamina commissario ad acta degli Spedali Civili di Brescia per assicurarsi che il trattamento sia garantito a un bambino. Per contro sarebbe salutare favorire decisioni come quella, in linea con la logica e con i fatti, del giudice di Torino che ha respinto la richiesta di proseguire un trattamento Stamina perché mancava di qualunque presupposto di sicurezza ed efficacia scientificamente accertate. In sostanza, è ritenuto normale che giudici diversi possano decidere sui medesimi fatti producendo sentenze così divergenti? Se qualcuno pensa di sì, vuol dire che prevale un’idea singolare del diritto, radicalmente formalistica e relativista. Che a noi pare più neotribale, che civile. Ci sono due questioni sulle quali abbiamo ragionato. Mentre è stato chiarito dagli storici che il diritto e la scienza, così come si sono sviluppati nell’età moderna, hanno condiviso la fiducia in un metodo comune per accertare i fatti, cioè quello scientifico, troviamo singolare che in maniera quasi sistematica i filosofi del diritto, e quindi l’atteggiamento dei giudici siano diventati abbastanza diffusamente antiscientifici. E questo nonostante la scienza stia dimostrando al meglio la sua efficacia e le sue potenzialità anche educative, cioè come formazione alla costruzione e al rispetto di regole razionali costruite su fatti accertati e accertabili. Inoltre, pensiamo che vi siano l’esigenza e le condizioni per avviare in Italia una riflessione del tipo, per esempio, di quella promossa cinque anni fa nel Regno Unito, dove la Commissione Giustizia produsse un’ampia consultazione e uno studio per regolamentare, secondo criteri di affidabilità o attendibilità (reliability), l’ammissibilità di esperti portatori di prove scientifiche nei processi penali. Anche se la commissione britannica affrontava solo il versante penale, l’origine della questione risiedeva, come dovrebbe essere noto, nell’impatto che ebbe l’introduzione dei criteri Daubert da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1993, per evitare che venisse troppo spesso usata della pseudoscienza o “junk science” nei tribunali di quel Paese. Lo standard Daubert prevede che il giudice accerti che il metodo usato dall’esperto ammesso al dibattimento, sia scientifico. Ovvero il giudice è vincolato a prescindere dalla notorietà, coinvolgimento, simpatia o pertinenza dell’esperto sul piano di sue dichiarazioni o prese di posizione in materia. Ovvero, deve accertare se la conoscenza scientifica che egli apporta è attendibile. Attendibilità che viene stabilita sulla base della presenza di fattori che coincidono con il metodo falsificazionista proprio della scienza sperimentale. Quindi la teoria o tecnica ammessa deve essere controllabile e falsificabile; deve essere visibile e quindi pubblicata su riviste con sistema di referaggio dei pari (peer review); deve essere definito un tasso di errore; devono esserci standard e controlli per la tecnica costantemente aggiornati; infine, la teoria e la tecnica deve essere generalmente accettata dalla comunità scientifica di riferimento. In Italia questi criteri sono stati discussi e usati nella sentenza della Cassazione nota come “sentenza Cozzini” (Quarta Sezione della Cassazione, 17 settembre 2010, n. 43786) che faceva riferimento allo standard Daubert per chiarire l’uso delle categorie di causalità e causalità della colpa relativamente alla relazione tra l’insorgenza di un tumore e l’esposizione all’amianto. Ma l’analisi epistemologicamente corretta della sentenza Cozzini è stata messa in discussione da una sentenza più recente, sempre della Quarta Sezione della Cassazione, cioè la sentenza sul “caso Fincantieri” (27 agosto 2012, n. 33314 Senza entrare nel merito, rimane il fatto che per alcune questioni meno complicate di quelle relative all’eziopatogenesi del cancro lo standard Daubert spazzerebbe via ogni possibile inganno. Infatti, nessuno degli esperti usati da coloro che hanno chiesto al giudice di disapplicare l’ordinanza ALFA possono essere considerati tali, e tantomeno portatori di un metodo scientifico nella presentazione della prova scientifica. Lo stesso vale per i presunti esperti che sostengono esservi una correlazione tra vaccino trivalente e autismo. E diversi altri esempi si potrebbero fare. Il problema sollevato meriterebbe una riflessione, nel contesto di un dibattito sulle riforme istituzionali, che riguarderanno presto anche la giustizia, che dovrebbe essere ispirato all’uso di metodi e competenze attendibili e controllabili, se si vuole rigenerare la fiducia nel sistema democratico. In questo processo, gli strumenti della scienza andrebbero considerati come delle risorse, quali, in effetti, sono da secoli, per rafforzare i valori della convivenza civile e quindi le libertà. E non come minacce.