La medicina senza test è solo attività illecita

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La Stampa
Paolo Bianco e Luca Pani

Caro Direttore, da quando è esploso il caso Stamina il termine “cure compassionevoli” sembra essere diventato quasi di uso comune. Eppure pochi sanno che non esiste una categoria a se stante di terapie che si possano chiamare “compassionevoli”.

Il termine denotava un programma ad hoc che la Food and Drug Administration (FDA), l’ente Usa che regolamenta i farmaci, varò dopo la vittoria legale di Robert C. Randall contro gli Stati Uniti d’America sull’uso non perseguibile di marijuana nel glaucoma. Il programma della Fda consentiva in via eccezionale a un limitatissimo numero di pazienti, e sotto la vigilanza di organi tecnici del Governo, l’uso di una sostanza altrimenti considerata illegale. Il medesimo programma fu chiuso dal Presidente George HW Bush quando l’esplosione dell’Aids (la marijuana ha effetti antiemetici e analgesici) negli Anni 80 portò a un numero di richieste di trattamento che avrebbe trasformato il ricorso eccezionale in uso legale di massa di marijuana. La storia serve a illustrare che il termine compassionevole non implica solo l’uso di un farmaco non approvato per il commercio, ma anche e soprattutto il suo uso in circostanze eccezionali. L’uso ristretto e limitato, e non di massa, è la prima caratteristica che definisce l’uso detto “compassionevole” di un farmaco, che non è generalmente percepita in ambito mediatico. La seconda caratteristica generalmente ignorata è che perché un farmaco si possa usare in modo “compassionevole”, deve essere comunque approvato, e l’uso “compassionevole” autorizzato. Le caratteristiche tecniche del farmaco devono essere note, precise e dettagliate proprio come nel caso in cui lo si voglia sottoporre a formale sperimentazione clinica. In America occorre presentare un dettagliato dossier che comprende la completa e puntuale descrizione di caratteristiche chimiche o biologiche, le modalità di produzione, i dati nell’animale, e quant’altro necessario a rendere plausibile l’innocuità ed efficacia del nuovo prodotto. Solo avendo ottenuto dalla Fda lo status di farmaco sperimentale, un prodotto può essere oggetto di sperimentazione clinica e usato in modo “compassionevole”. L’industria che produce il farmaco sperimentabile ne promuove la sperimentazione per stabilirne innocuità ed efficacia, assumendosene i costi, in collaborazione con esperti clinici delle malattie che costituiscono indicazione per il farmaco. Durante la sperimentazione, un medico che abbia in cura pazienti con le stesse malattie, può richiedere l’autorizzazione a usare quel farmaco per un caso singolo, per il quale si ravvedano necessità e urgenza. Chi concede l’autorizzazione all’uso singolo è sempre e solo la Fda (ovvero l’Aifa in Italia), e lo fa in base al dossier tecnico che il produttore del farmaco ha precedentemente presentato alla stessa Fda e questa ha approvato. Lì si trovano le caratteristiche tecniche che giustificano sia la sperimentazione del farmaco, sia il suo uso in via “compassionevole”. Senza quel “passaporto” che rende un farmaco sperimentabile, non è legale nessuna sperimentazione clinica, e nessun uso singolo del farmaco. Il decreto ministeriale del 2003, che regola l’uso “compassionevole” in Italia, si riferisce esattamente alle circostanze previste dall’Fda, ovvero a medicinali già sperimentati o in corso di sperimentazione. Il successivo decreto del 2006 dei Ministri Turco e Fazio, di recente interpretato, violato e distorto a piacimento, si riferisce invece a “medicinali” cellulari per i quali non siano in corso sperimentazioni cliniche. Nessun medicinale è mai usato in modo compassionevole senza che si sappia cosa è e che proprietà ha, e lo si sappia da un dossier dettagliato e approvato dall’Agenzia Regolatoria del Farmaco. Nel caso di cellule, la situazione non è diversa. L’uso nel caso singolo (“compassionevole”) non può essere autorizzato in assenza di quei dati che identificano il medicinale cellulare e le sue proprietà, e ne dimostrano purezza, potenza, qualità, profilo di sicurezza ed efficacia plausibile, senza che esista un razionale per invocarne l’uso nell’uomo, anche se nel caso singolo. Non si può dunque trattare direttamente un paziente senza autorizzazione e senza aver prima mai presentato un protocollo o un dossier di questo tipo e tanto meno procedere all’uso indiscriminato di massa di un preparato cellulare rivendicandone una immaginaria natura intrinseca di “terapia compassionevole”. Secondo la legge europea (Regolamento (CE) n. 1394/2007) un preparato cellulare è un medicinale, e non esiste un “medicinale compassionevole”.

Chi produce cellule in laboratorio, non produce “medicinali compassionevoli”. Produce un medicinale, che può essere usato nel caso singolo (“compassionevole”) solo se ammissibile a essere sperimentato. Le competenze in materia di produzione dei farmaci cellulari per uso singolo (“compassionevole”) sono assegnate dalla legge europea all’autorità regolatoria nazionale in materia di farmaci, che in Italia è l’Aifa. Non esiste “uso compassionevole” in casi singoli se non l’uso autorizzato nel caso singolo di un farmaco sperimentato o, quanto meno, sperimentabile, e con un preciso razionale clinico. Il resto non è medicina, è attività illecita.