Bioetica, rompiamo il silenzio

Unità
Carlo Flamigni

Del tutto recentemente il presidente del consiglio ha nominato il nuovo comitato nazionale per la bioetica, destinato a restare in carica per quattro anni, e ho avuto la netta percezione che nessuno se ne sia accorto, a parte forse i Comitati di bioetica degli altri Paesi europei che hanno, per il nostro Cnb, un rispetto probabilmente immeritato ma che personalmente non mi dispiace. Mi viene in mente che durante l’ultima guerra mondiale c’erano, in tutti i bar, cartelli che avvisavano che «qui non si parla di politica né di alta strategia». Ebbene, adesso c’è un nuovo manifesto invisibile, sulle nostre teste, che dice che qui non si parla di etica. Si è così creata una situazione che, per usare un understatement, è per lo meno peculiare: il nostro Comitato ci consente di partecipare a tutti i tavoli che in campo internazionale si occupano di etica, di diritti dell’uomo e di altri argomenti altrettanto fondamentali, consente al nostro primo ministro di non doversi vergognare quando questi temi sono all’ordine del giorno in Europa, e intanto lo stesso primo ministro sta togliendo al Comitato tutto il personale che collabora alla sua funzionalità, in modo da renderlo del tutto inefficiente.

Una volta questo si chiamava masochismo, con l’involgarimento della cultura probabilmente oggi si dovrebbe parlare di coglioneria. Ma lasciatemi continuare. Debbo dire che nessuno in questo Paese si è accorto che il nostro Cnb, pur non essendo certamente un esempio assoluto di laicità, è più laico oggi di quanto non lo sia mai stato in passato, tanto che in molti documenti si è dotato di uno stile descrittivo e non prescrittivo: ciò significa che sembra aver perduto la vecchia abitudine di usare la sua inevitabile maggioranza cattolica per stabilire naturalmente a colpi di maggioranza la scelta morale più adatta da suggerire al governo per preparare le sue leggi e si è adattato a un lavoro molto più onesto, laico e democratico che consiste nella corretta esposizione delle varie teorie esistenti per lasciare poi alla politica il compito di mediare, scegliere e decidere.

Nessuno si è nemmeno accorto che su un certo numero di temi che avevano a che fare con la bioetica e che sono stati recentemente oggetto di dibattito nel Paese, il Cnb aveva scritto documenti che meritavano (almeno) di essere letti: cito a memoria quelli sull’obiezione di coscienza dei medici nei confronti delle interruzioni volontarie di gravidanza, sullo stato di salute dei carcerati, sui suicidi dei detenuti nelle nostre malfamate prigioni, sulla sperimentazione dei farmaci, sulla cosiddetta pillola del giorno dopo e così via. Ma la politica ha fatto di peggio, e qui mi permetto di togliere un dolorosissimo sasso che mi è finito in una scarpa: oltre a disinteressarsi completamente di quello che il nostro povero Cnb ha fatto e scritto, quei pochi partiti che hanno ritenuto necessario destinare qualcuno a occuparsi del problema «bioetica» hanno scelto persone della più straordinaria, ineffabile incompetenza.

Tutto ciò solo per dire che dei problemi di bioetica, dei quali un tempo si parlava almeno di tanto in tanto, oggi nessuno parla proprio più, come se il fatto di attraversare una crisi economica epocale togliesse significato e valore alla sofferenza di tanti cittadini e allo scempio della loro dignità: non conta l’angoscia dei malati terminali che vorrebbero poter disporre della propria esistenza e non essere invece costretti a vivere (si fa per dire) in un tunnel di dolore, paura e disperazione; non conta l’ansia di tante giovani donne, messe incinta da un compagno imbecille, che non vogliono rovinarsi la vita con una gravidanza non desiderata; non conta l’umiliazione delle molte persone che stanno pagando il loro debito con la società e che sono costrette a farlo in un carcere ricavato direttamente da Ima porcilaia; non conta la rabbia di chi vorrebbe evitare di mettere al mondo figli portatori di gravi malattie genetiche ed è costretto ad andare all’estero.

Vorrei anche che i compagni che leggono queste righe non pensassero che si tratta di temi di nicchia, che possono benissimo aspettare tempi migliori: una delle parole che vengono usate con maggior frequenza nelle discussioni tra bioeticisti è «dignità», il riferimento è naturalmente alla dignità dell’uomo, quella sorta di cenestesi dello spirito la cui importanza ci risulta chiara solo quando qualcuno cerca di ferirla e umiliarla: per capire quanto questa parola sia attuale pensate al lavoro, che è la nostra maggior sorgente di dignità personale, quella che ci fa guadagnare il rispetto degli altri. Provate a considerare in questo modo il problema del lavoro, forse sarete costretti a rivalutare i problemi dell’etica.

Spero che ci sarà spazio in avvenire proprio su questo giornale per riprendere la discussione su questi temi, per parlare di salute e di malattia, di modelli di medicina e di dignità; e mi piacerebbe che si aprisse su di essi una franca discussione tra di noi, non importa se laici o cattolici, con una sola regola: non possono esistere, in una democrazia, temi intoccabili perché protetti da un dogma, la democrazia esige razionalità e logica, non accetta motivazioni metafisiche e «perchè si». Qui, su questo giornale, perché questo giornale è il giornale storico della sinistra, chi altri potrebbe farsi carico di questi problemi? Se interrogate la gente della mia generazione, vecchi (proprio vecchi) laici, democratici, quasicomunisti, materialisti storici, su quale tipo di morte vorrebbero incontrare, avrete due risposte prevalenti: alcuni vi diranno che vorrebbero morire, a 90 anni, uccisi da un marito geloso; gli altri che vorrebbero essere uccisi a rivoltellate, alla stessa età, da un fascista ubriaco mentre vendono l’Unità per strada.