Staminali embrionali dalla pelle umana. Torna il metodo Dolly

La Stampa
Paolo Comoglio

La vita degli organismi, uomo compreso, è limitata nel tempo. Questo in realtà è un vantaggio per la specie, perché il susseguirsi delle generazioni permette alla natura di selezionare individui di qualità sempre migliore. Alla limitazione temporale della durata di vita delle cellule dei tessuti e degli organi (cellule dette «somatiche») fanno eccezione le cellule staminali, che garantiscono la continuità della specie perché sono «immortali» e capaci di generare tessuti e organi in ogni nuovo individuo. E’ antica ambizione della scienza utilizzare le proprietà delle cellule staminali per riparare tessuti ed organi dagli insulti del tempo, inseguire il mito della eterna giovinezza e – paradossalmente- della «immortalità». Al di la del mito, difficilmente raggiungibile, una numerosa coorte di ricercatori, in tutto il mondo, si sforza di isolare o generare cellule staminali umane, espanderle in vitro, e studiarne l’impiego per rigenerare i tessuti e riparare i danni prodotti dalle malattie o, semplicemente, dalla senescenza. Questi sforzi hanno generato un buon numero di false partenze o, addirittura, di falsi materiali che hanno comunque appassionato l’opinione pubblica e scatenato gli anatemi di censori creduloni. Ricorderò il coreano Hwang WooSuk, che pubblicò falsi risultati ottenuti (particolare pruriginoso) dal trapianto di nuclei di cellule somatiche negli ovociti prelevati dalle sue assistenti. Invece un solido corpus di dati sperimentali, riproducibili e con gli adeguati controlli, ha dimostrato che è possibile generare cellule con proprietà staminali partendo dal patrimonio genetico di individui adulti trapiantato in cellule germinali (ovociti). Tra questi, il risultato che verrà pubblicato sulla prestigiosa rivista «Cell» a firma di due gruppi dell’Oregon Health and Science University (Ohsu) e del Centro di ricerca sui primati dell’Oregon (Onprc), coordinati dallo scienziato Shoukhrat Mitalipov. Questi hanno trasferito il nucleo di una cellula umana della pelle all’interno di una cellula uovo (ovocita) de-nucleata con un raggio laser. Il nucleo adulto ha cominciato a ricevere dall’ambiente interno all’ovocita una serie di segnali che l’hanno indotto a tornare indietro nel suo sviluppo e a esprimere proprietà di una cellula indifferenziata con tutte le caratteristiche di una cellula staminale. La progenie di questa cellula ha dimostrato la capacità di trasformarsi in diversi tipi di tessuti, proprio come fanno le normali cellule staminali, dando origine a cellule di cervello, fegato e cuore. Il risultato è bello e foriero di sviluppi per la medicina rigenerativa, che si propone di utilizzare cellule staminali per riparare i danni dell’infarto miocardio e di una serie di altre malattie. Nulla di fantascientifico né di immorale. Possiamo stare tranquilli, nessuno vuole clonare esseri umani. Il risultato non è neppure così nuovo, perché ripropone la tecnologia utilizzata da Ian Wilmut, Keith Campbell e colleghi, al Roslin Institute di Edimburgo, in Scozia, nel 1996. In quegli esperimenti le cellule erano di pecora, e nessuno si è preoccupato di problemi etici. In realtà neppure la pecora Dolly fu una grande novità, perché John Gurdon nel 1958 fece uso di tecniche di trasferimento nucleare per clonare una ranocchia della specie Xenopus laevis, realizzando la prima donazione di un vertebrato da una cellula adulta completamente differenziata. John Gurdon e il giapponese Shinya Yamanaka ricevettero il premio Nobel per la Medicina nel 2012 per le loro ricerche – indipendenti – sulla generazione delle cellule staminali pluripotenti a partire da cellule adulte (non derivate da embrioni, tecnica che ingenera problemi etici). Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, soltanto la confortante rassicurazione che la Scienza, quella seria, avanza lentamente ma in maniera costante, e contribuirà a darci un futuro migliore.